Pillole di autore - La passione in terzine di Patrizia Valduga

Come si può scrivere l'amore? Come declinare la passione nel pieno della mercificazione del corpo e della serialità? Patrizia Valduga (1953) è una delle poetesse contemporanee che meglio sanno restituire al verso la carnalità dell'incontro amoroso, fondendo il lessico aulico della tradizione alla più quotidiana, concreta e materialissima terminologia sessuale. Un vocabolario misto, mai stridente ma spesso violento nell'effetto dirompente e sfacciato: eppure non vi si legge provocazione, ma verosimiglianza, intimità spogliata della sua originaria privatezza, in nome della parola in verso. O meglio, della parola in rima, abbracciata da schemi strofici della tradizione. Ci ha insegnato tanto Novecento che la forma chiusa non è, di per sé, vincolo coercitivo e improduttivo; al contrario, per Valduga sonetti, quartine (come non ricordare le sue Cento quartine d'amore?), madrigali e terzine innescano un processo ideativo fecondo, senza che nei lettori si avverta la forzatura della strofa.



Per celebrare (crediamo doverosamente) la bravura metrica della poetessa, abbiamo scelto per questa puntata di #PilloleDiAutore alcuni estratti da una sorta di poemetto degli anni '80, La tentazione, in cui la terzina dantesca con rima incatenata racchiude la fantasia sessuale di un rapporto orgiastico. Vi sono tutti gli elementi della selva oscura, a cominciare dai prestiti lessicali, fino all'idea onirica che piega all'incubo di queste forze virili e psicologiche che tanto opprimono e violano il corpo e la fantasia sessuale dell'io lirico. Una lotta impari, vana, che si inzuppa di umori e di violenza ("Or godi e taci, or... ti resti dentro"): una passione suo malgrado, di una mente che vorrebbe ribellarsi ma di un corpo che sperimenta il piacere, braccato dalla presenza incombente di questi sconosciuti (poi davvero sconosciuti o vi si intravede l'amore combattuto per Tadeusz Kantor?). Un movimento ondulatorio tra amore e odio, "al di là del principio di piacere", per dirla con Freud. Il risultato non è mai soddisfacente: o meglio, l'apparente soddisfazione della domanda lascia lacanianamente un "residuo di una obliterazione.
Tra questi poli non contraddittori ma ambigui (quanto è ambiguo il sentimento), la Valduga compone un poemetto apparentemente "neoclassico", come ha detto tanta critica in un primo tempo; in realtà, vi si legge tutta la modernità di una donna che lotta tra la propria sensualità pulsionale (a volte oscura, a volte quasi ingenuamente sconvolta) e la ragione.

(Testo di riferimento: Patrizia Valduga, La tentazione, Milano, Crocetti Editore, 1985)

I

In questa maledetta notte scura
con una tentazione fui assalita
che ancora in cuore la vergogna dura.

Io così pudica, così compita,
vedevo un uomo a me venire piano
e avvolgermi quasi avido la vita;


un altro ne veniva e con la mano
oh delicatamente lui mi apriva,
e un altro e un altro e un altro ch'era vano

a guerra apparecchiarmi d'armi priva,
già incatenata, e senza una catena,
nel tempo che la vita non par viva.

"Non vuoi? piccola piccola sirena..."
Posso io non volere e star da lato?
"Oh lasciatemi" e respiravo appena,

il cuore dalla sua sede saltato.
Con cento mani vinte le mie braccia
tutte le ossa mi avevano contato,


ad ogni cavità davan la caccia;
nel denso, nelle viscere spremuta
in una tomba di carne che schiaccia

[...]

da La Tentazione, II
Da La Tentazione, IV
Da La Tentazione, V



Selezione dei testi e nota introduttiva a cura di Gloria M. Ghioni