Pillole d'autore: Leonardo Sinisgalli


La critica migliore è quella che è divertente e poetica; non quella, fredda e algebrica che, col pretesto di spiegare ogni cosa, non ha né odio, né amore, e deliberatamente si spoglia di qualsiasi traccia di passione.



Leonardo Sinisgalli (Montemurro, 9 marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981) è un poeta, matematico- poeta/matematico-ingegnere e pubblicitario italiano. Nel dopoguerra a Roma fonda e dirige una delle più importanti riveste  dell’epoca Civiltà delle macchine (1953-1958) edita da Finmeccanica, le sue cariche lo vedono consulente dell’Agip di Enrico Mattei, consulente pubblicitario part-time dell’Alitalia e dell’Eni. Nonostante ciò, la scrittura per lui non sarà mai intervento nelle questioni di carattere pubblico, le sue liriche hanno sempre una certa malinconia di fondo e un senso di inquietudine nella sua condizione di emigrante. L’ambiente famigliare, il paese e la Lucania  ispirano gran parte della produzione di Leonardo Sinisgalli.
Negli anni Venti e Trenta del Novecento si afferma una corrente letteraria che, generalmente, viene definita ermetismo. Aprono la strada a questa corrente proprio poeti come Leonardo Sinisgalli e  Libero De Libero, per i quali l'etichetta ermetica può indicare, con significato piuttosto ampio, l'intenzione di coniare per la poesia un linguaggio diverso da quello fatto proprio dal regime fascista. Si comincerà a parlare di poesia ermetica vera e propria nel 1932, con l’uscita delle opere Isola di Alfonso Gatto e  Oboe sommerso di Salvatore Quasimodo. Si rivolge qui l’attenzione a Leonardo Sinisgalli: la sua poesia, raffinatissima e sempre rivolta al suo mondo originario, è ingiustamente poco nota ai lettori rispetto ad altri grandi nomi dell'ermetismo.



Da I nuovi Campi Elisi, Mondadori, Milano 1947

Lucania

Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte
con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.

Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d’oro, problematico e sottile,
divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati.

Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l’odorosa palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull’erba
sulle selci lascia le grandi chiazze
zeppe di larve.

Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granturco, granofino)
e il vino non è squillante (menta
dell’Agri, basilico del Basento)
e l’uliva ha il gusto dell’oblio,
il sapore del pianto.

In un’aria vulcanica, fortemente accensibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo.
Cumuli di macerie restano intatte per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l’inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo può sporgersi agli orli
dell’abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare
e di tarantole.

Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse.
tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Udrò fumare le stoppie, le sterpaie,
le fosse, udrò il merlo cantare
sotto i letti, udrò la gatta
cantare sui sepolcri?


Da L’Albero Bianco, edito nel 1999


Io dico qualche volta per celia che sono morto a nove anni, dico a voi amici che il ponte sull’Agri crollò un'ora dopo il nostro transito; mi convinco sempre più che tutto quanto mi è accaduto dopo di allora, non mi appartiene, io sento di aderire che con indifferenza al mio destino, alla spinta del vento, al verde, al rosso.

Dalla plaquette Come un ladro, 1978


Povertà
La povertà è pulizia.
Non un acino di polvere,
un pelo di gatto,
una penna di gallina
sul coperchio della madia  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  
Da Cineraccio , 1961


Pianto Antico
I vecchi hanno il pianto facile.
In pieno meriggio
in un nascondiglio della casa vuota
scoppiano in lacrime seduti.
Li coglie di sorpresa
una disperazione infinita.
Portano alle labbra uno spicchio
secco di pera, la polpa
di un fico cotto sulle tegole.
Anche un sorso d’acqua
può spegnere una crisi
e la visita di una lumachina.     


 Da Vidi Le Muse , 1943

Vidi Le Muse

Sulla collina
Io certo vidi le Muse,
Appollaiate tra le foglie.
Io vidi allora le Muse
Tra le foglie larghe delle querce
Mangiare ghiande e coccole.
Vidi le Muse su una quercia
Secolare che gracchiavano.
Meravigliato il mio cuore
Chiesi al mio cuore meravigliato
Io dissi al mio cuore la meraviglia.

Da L’Albero Bianco , edito nel1999

Forse siamo in pochi a lamentarci di non saper più trovare una patria fuori dalle nostre colline.
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Introduzione e selezione dei testi a cura di Isabella Corrado