Sarò breve. Ti è mai capitato di leggere un libro di filosofia e di trovarti in contrasto con i concetti sostenuti dall’autore? In biblioteca stavo leggendo i commenti di Averroè al De Anima di Aristotele. Nulla mi lega ad Aristotele, anzi faccio di tutto per evitarlo. Non mi piace come scrive. Lo trovo noioso. E anche geniale, eccessivamente geniale. I suoi ragionamenti, che somigliano a camicie perfettamente stirate, caramelle ben confezionate, mi danno i nervi. Eppure, nonostante mi sforzi per evitare lo Stagirita, finisco sempre per sbattere contro i suoi testi, o contro qualcuno che parli di lui, i quali tollero ancor meno. Tuttavia, ammetto che Averroè abbia scritto il più originale commento al De Anima di Aristotele. Perché? Perché non si è limitato a riprodurre i concetti aristotelici associandoli a quelli di Alessandro di Afrodisia [1] (questa è una tecnica che hanno utilizzato in tanti… in troppi), ma ha fornito una teoria nuova: ha gettato nell’immenso oceano di commenti al De Anima, che ciarlano e ciarlano senza sosta, un sassolino in grado di scatenare un maremoto. Prima di lui, nella storia del pensiero arabo, da Al Kindi ad Avicenna, l’intelletto attivo era stato “separato” dall’uomo, perché di natura divina. Averroè, invece, “separa” anche l’intelletto potenziale. Per quale ragione? Ebbene, se l’intelletto potenziale -scrive- è in grado di trasformarsi in intelletto attivo, si presuppone che sia divino anch’esso. Ma come può esserlo? È una contraddizione evidente. 
Secondo il filosofo andaluso, dunque, l’anima umana parteciperebbe (esatto: parteciperebbe) all’intelletto attivo e, attraverso tale partecipazione, si avrebbe la conoscenza. Tutto qui. Arrivati a questo punto, una domanda dovrebbe fare toc toc sulla tua fronte, questa: “C’è soltanto un intelletto unico per tutti gli uomini?”. 
Dario Orphée
[1] Secondo Alessandro di Afrodisia vi sono: intelletto attivo, acquisito e potenziale. 
[2] Traduzione: “Il distributore sta male? Ladri senza cervello, hanno rubato tutto!”. 
[3] Falso. Questa parta l’ho inventata. La storiella termina così: i libri di Averroè finirono al rogo, il distributore automatico fu licenziato, la bellissima signora che scriveva poesie mi regalò un sorriso (che io non seppi interpretare in maniera corretta), il ragazzo raffreddato trovò un fazzolettino di carta e l’uomo con la cravatta si addormentò. Mi hanno detto che la “macchinetta” è stata per un periodo in analisi. Adesso vive in Islanda, ha ritrovato lavoro presso un ufficio informazioni e ha sposato una fotocopiatrice.