Pillole d'autore: Amelia Rosselli


Amelia Rosselli è una delle personalità più vulcaniche apparse sulla scena poetica italiana del secondo Novecento. Fu scoperta da Pier Paolo Pasolini, che pubblicò per primo alcune sue poesie in Menabò 6 (1963) individuando in esse due grandi temi, la «Nevrosi» e il «Mistero». Ma Amelia Rosselli, di formazione cosmopolita, ha un amplissimo orizzonte culturale e poetico. La sua ispirazione trae origine dalle tendenze «confessionali» di certa poesia statunitense (si pensi ad Anne Sexton, ma soprattutto alla sua amatissima Sylvia Plath) per declinarle in un modo tutto nuovo: la Rosselli violenta lingua e prosodia nel tentativo, mirabilmente riuscito, di aprire un varco alla sua prorompente sensibilità. Morta suicida nel 1996, Amelia Rosselli ha traghettato in Italia un nuovo modo di concepire lo sperimentalismo linguistico. L'antologia che segue è tratta da variazioni belliche (Garzanti, 1964), la silloge che colpì Pasolini e che ritengo la più godibile. Gran parte dell'opera di Amelia Rosselli è consultabile nel volume Le poesie (Garzanti, 2004) insieme a una illuminante prefazione di Giovanni Giudici.


e cosa voleva quella folla dai miei sensi se non
l'arsa mia disfatta, o io che chiedevo
giocare con gli dei e brancolavo
come una povera mignotta su e giù
l'oscuro corridoio - oh! lavatemi gli piedi, scostate
le feroci accuse dal mio
reclino capo, reclinate
le vostre accuse e scombinate ogni
mia viltà!: non volei io rompere il delicato strato di ghiaccio
non volei rompere la battaglia crescente, no, giuro, non volei
irrompere fra le vostre risa
irrisorie! - ma la grandine non ha altro scopo che
servire e l'orientale umido vento della
sera ben si guarda dal portar
guardia ai miei
disincantati singhiozzi da leone: non più io correrò
dietro ogni passaggio di bellezza, - la bellezza è vinta, mai più
smorzerò all'attenti quel fuoco che ora balugina come
un vecchio tronco
del cui cavo le rondinelle fanno deriso nido, gioco d'infanzia,
incalcolante miseria, incalcolante miseria di simpatia.

Stesa a terra pugnalavo il mio miglior amico. Ma gli affari
restavano quelli che erano. Risollevavo il miglior amico
ed egli mi piantava una grana che non finiva più, luce
negli orecchi che non si scandalizzavano. Finiva la gran
gloria in una bottiglia di cognac. In una bottiglia di
cognac finiva la parabola del pescecane che non ammetteva
disordine. L'ascesi era finita ma il gran dio non si sobbarcava
facilmente a grandi fatiche inutilmente. Gli alberi tornando
a casa erano delicatissimi. Io ero delicatissima tornando
a casa! Io giacevo supina come una mosca imbrattata di
miele. Lui era il mio re debolissimo io la sua regina imbrattata
di sangue. Tu sei il mio re debolissimo imbrattato di porpora!

Chiudiamo un occhio su delle camorre dei pittori. Chiudiamo
le palpebre su delle camiciette delle signore. Chiudiamo
bottega e spariamo. Spariremo nella bruma con la revolverata
discesa a terra.

Se l'anima perde il suo dono allora perde terreno, se l'inferno
è una cosa certa, allora l'Abissinia della mia anima rinasce.
Se l'alba decide di morire, allora il fiume delle nostre
lacrime si allarga, e la voce di Dio rimane contemplata.
Se l'anima è la ritrosia dei sensi, allora l'amore è una
scienza che cade al primo venuto. Se l'anima vende il suo
bagaglio allora l'inchiostro è un paradiso. Se l'anima
scende dal suo gradino, la terra muore.

Io contemplo gli uccelli che cantano ma la mia anima è
triste come il soldato in guerra.

Per il parolaio ch'io fui domando d'esser viva. Nel parolaio
che vive domando d'esser iscritta. Nel parolaio che muore
muore la noia. Tu sarai innocente sì: ma l'alba ha un tiro
a segno più forte.

Contro del re dell'universo gridavano anacoreta e
amorosa.

Anacoreta e vergognosa. Anacoreta vergognosa si vergognava
della sua pulchritudine. Studiava piani ed etmisfere
senza controllo. Con la bottiglia d'acqua calda addosso
studiava piani e emisferi. Con il contagoccie della
solitudine frenava la sua passione al bello. Con la
sua passione al bello frenava la sua corsa alla solitudine.

Con la sua passione al bello decifrava la solitudine.
Lo specchio della solitudine gridava! Gridava che essa
aveva trovato il bene, la pulchritudine e le essenzialità
della vita - gridava di ridar vita gridava forte che
la vita era tornata e che era donare. Non danaro,
non la forza né il tempo né altre essenzialità
ma: - una corsa alla forca che imperterviava contro
ogni generosità contro ogni essenzialità contro ogni
ostacolo. Il bene cadeva supino disteso sul letto
bocconi fra delle sue quattro candele morte. La notte
lo reinvolgeva nel suo scialle misterioso fatto di
lana grassa e smorta - un vero inferno.

L'alba si presentò sbracciata e impudica: io
la cinsi di alloro da poeta: ella si risvegliò
lattante, latitante.

L'amore era un gioco instabile; un gioco di
fonosillabe.

Laura Ingallinella