Il Salotto: intervista a Veronica Tomassini


Intervista a Veronica Tomassini


Ciao Veronica e benvenuta su CriticaLetteraria.
Grazie, è un vero piacere.


Non posso che presentarti come l'autrice di Sangue di cane, che non è il tuo primo libro, ma è il tuo primo romanzo. Il romanzo ha avuto un successo incredibile e – sondando i cicalecci delle riviste e dei blog letterari – mi sono reso conto che il pubblico trema di curiosità per scoprire quante copie sono state vendute. In un periodo in cui si parla di crisi dell'editoria sono eventi questi, come il tuo successo, che fanno sperare. E molto.
Essì, soprattuto perché Sangue di cane è uscito nel catalogo di Laurana, giovanissima editrice, ma che ha scelto di puntare sulla qualità, avvalendosi dei preziosi consigli di Giulio Mozzi, e del coraggio del direttore Calogero Garlisi.
Cosa risponderesti a tutti quelli che parlano di un'editoria morta, rarefatta, controllata solo da piccole lobby?
Risponderei che esiste la buona editoria che guarda alla qualità, al nuovo, che investe ancora sul potere della parola scritta.

Sono rimasto molto colpito da un commento al tuo libro scritto da Roberta Salardi per il blog Il primo amore. Scrive R. Salardi:

Il romanzo Sangue di cane di Veronica Tomassini (Laurana, Milano 2010, pp 230, € 16.00) è la storia dell’amore sconvolgente di una donna per un polacco alcolista che chiede l’elemosina a un semaforo. E’ ambientato in una Siracusa metropolitana, ma potrebbe svolgersi alla periferia di qualunque centro abitato circondato da baracche di emarginati. I ripetuti tentativi della ragazza di salvare lo slavo sono occasione per rapportarsi con un mondo di esclusi […] Tomassini, al suo esordio, si annuncia come un’autrice che ha il coraggio e la necessaria ambizione di parlare coi dannati. (qui il testo completo)

Il coraggio e la necessaria ambizione. Vorrei tanto un tuo commento.
Non saprei. Posso dire che la letteratura non mente, per questo deve sporcarsi le mani. Credo che alcuni vincoli di vassallaggio la letteratura debba pagarli, al dolore intanto e dunque alla vita. Lo scrittore recluso nel suo privilegio rischia grosso, rischia di essere gabbato dal suo stesso accademico compiacimento. La Salardi usa una bella immagine: "il coraggio di parlare coi dannati". Non so, io ho sempre nutrito una segreta ammirazione per l'altro. Ho amato le differenze da sempre, da ragazzina (non le disuguaglianze), la diversità che ha in serbo una recondita risorsa morale, una inedita versione del mondo, delle cose della vita.

Sfogliando le pagine di Sangue di cane si capisce subito che c'è qualcosa che ti lega alla pagina, qualcosa di misterioso. E questo qualcosa è uno scontro vertiginoso fra una metafisica altissima e una bassissima ricognizione del dolore e della violenza. In questo continuo contrasto si costruisce – ibridandosi con il romanzo-inchiesta, il romanzo-saggio, la prosa poetica, la fiction – il velocissimo moto dell'animo e degli eventi. La chiave di volta per colmare queste contraddizioni – come sempre – è l'amore. Un Amore che tu descrivi con leggerezza e crudeltà, in una maniera che non smette di stupirmi. Vorrei mi commentassi questo collage che ho scelto da Sangue di cane:

L'amore semplifica molte cose perché erudisce nella sconsideratezza (p.85)

Dopo, il matrimonio durò quel che durò. E di nuovo il parco, la rogna, la vodka. Eppure io e te insieme eravamo armonia. Era straordinario, l'universo si predisponeva tranquillo (p.167)
La verità eterna dell'amore, questo è un fatto, questo ho sondato. Attraverso le vie del fuoco, l'amore insegna la misericordia, la pietas, tenace e insofferente ad ogni reticenza consegnata da una certa ordinata e composta coscienza collettiva. La protagonista del romanzo è provata col fuoco, non retrocede, nell'abiezione raccoglie il mistero della vita, il senso del nostro passaggio in terra. Ragioni irragionevoli la resero coraggiosa e necessaria affinché si compiesse un disegno superiore. Lei era la vedova bianca che Isaia esortava a giubilare, la sposa giovane che non saggiò ilsuo talamo. Era una predestinata.

Vorrei parlare molto della religiosità che trapela dalle pagine di questo romanzo. Ma non è certo una religiosità formale, liturgica. C'è fra le righe di Sangue di cane il senso della discesa dell'idea sulla terra, il senso di una discesa dolorosa, ma eroica (nel senso di eros). Potrebbe dirsi – a mio azzardato parere – romanzo epico, per questa sua caratteristica. Nella tradizione sufi Dio si nasconde dove nessuno può trovarlo: dentro il cuore degli uomini. Dove si nasconde il Sacro in Sangue di cane?

E c'era quella quiete a noi sconosciuta che penetrava le stanze, poltrendo sugli oggetti persino, sulle tende bianche che si gonfiavano con l'aria tiepida della sera. Non ci parlava di Dio, lo rappresentava piuttosto, era il Crocifisso vivente. Non era possibile ignorare la mano superiore...
Se non Dio chi era Colui che reggeva la fronte al becero, che sollevava le braccia inutili di un barbone senza stomaco, sepolto dai suoi escrementi, che raccoglieva nella sua preziosa otre il sangue dell’empio, bruciato dall’abiezione? Chi era Colui che asciugava le lacrime dell’accattone malato di alcol e di solitudine in una stanza di ospedale? Io lo chiamo Padre.

Il contrasto con la narrativa isolana (e post-moderna) degli ultimi cinquant'anni salta all'occhio, tenacemente. La tua non è una scrittura iperletteraria, non è una penna la tua che ha paura di calarsi nel pathos della vita. Cosa risponderesti a questo commento di Bufalino?

Perché si scrive, mi chiedo. Perché ci si affanna a tessere sogni e raggiri, si dà corpo a fantocci e fantasmi, si fabbricano babilonie di carta, s’inventano esistenze vicarie, universi paralleli e bugiardi, mentre fuori così plausibile piove la luce della luna nell’erba, e i nostri moti naturali, le più immediate insurrezioni dei nostri sensi c’invitano al gioco affettuosamente, divinamente semplice della vita?
(Gesualdo Bufalino, Le ragioni dello scrivere, 1985)
Perché non potevo fare altro.


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C’è un freddo cane. Scrivo molto poco di questi tempi, ho il moleskine con le paginette ruvide, color panna, ancora immacolate. Non saprei da dove iniziare. Inizio da qui. Chi ha frequentato a lungo le mense dei poveri, di solito, non abbandona un'abitudine: l’abitudine a non masticare. Si fa prima, si finisce prima, così si è pronti prima degli altri, col piatto vuoto, per il secondo giro, la ripassata, si dice. Quest’uomo che ho di fronte non mastica. Sediamo allo stesso tavolo, nella mensa di Paganica, frazione dell’Aquila. C’è un insolito sole, ma non scalda. Si ferma ad osservare noi, dalla finestra a vetri opachi del container. Le cucine fumano bene, c’è buon odore. Forse servono le fettuccine coi funghi rosolati, qui le sanno fare. L’uomo che ho di fronte non è di Paganica, non è italiano. In tasca tiene un pezzo di panettone con i canditi, lo hanno servito in mensa la sera prima, nel dormitorio di Coppito. Ci avrebbe fatto colazione, l’altro pezzo lo tiene in tasca per ogni evenienza. Lo guardo in tralice, poi abbasso gli occhi con disagio. E’ chiaro di capelli, gli occhi dovrebbero essere azzurri, ho avuto vergogna ad indugiarvi oltre. Se venisse una guerra, una calamità, la fine dei tempi, quest’uomo sarebbe in grado di sopravvivere un giorno più di me.
Io sono una pigra.
(Veronica Tomassini, apparso su InOut 2006)

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Veronica Tomassini, siciliana di origini umbre, scrive sul quotidiano La Sicilia dal 1996. Sangue di cane non è il suo primo libro, ma è il suo primo romanzo. Maggiori info a questo indirizzo.