Il letto di formiche


Il letto di formiche
di Donato Dallavalle
Milano, Excelsior 1881, 2009

€ 12,50
pp. 147


Avere un protagonista fuori dagli schemi è impegnativo, e portarlo avanti con coerenza di pagina in pagina, ancora di più. Se addirittura si assume il suo punto di vista per narrare una storia cruda, violenta, insolita ma così disperatamente verosimile, ci si trova davanti a una vera e propria impresa. Questa via viene intrapresa coraggiosamente da Donato Dallavalle, giovane scrittore piacentino, con il suo primo romanzo, Il letto di formiche. E Donato traccia la storia con un lapis pesante che scava nel foglio, e lascia un solco che non si cancella nel tempo. La vicenda è terribile e, al tempo stesso, struggente: il protagonista Emilio, ex terrorista, torna dal carcere e ad accoglierlo c’è la casa diroccata e fatiscente del fratello defunto. Dentro, nessuna traccia dell’amata nipote Lucia, ma solo la presenza enigmatica di Anna, compagna del fratello, ma invaghita dello stesso Emilio. Fuori, l’intrico degli alberi, l’inquietudine di terra smossa di recente, l’instillarsi continuo di dubbi che non permettono mai a Emilio di fidarsi di chi resta.

Ma non sono questi gli unici spazi degni di nota. Fuori, Emilio si mostra determinato a indagare sulla sparizione di Lucia, un po’ come pronto a restaurare la propria vita sulle macerie. Dentro, invece, un passato che rimorde in flashback fulminei: ogni oggetto, in casa, scatena un ricordo feroce, perché ormai forzatamente andato. Resta solo una speranza fragile, che è forse l’unica nota che alleggerisce il clima altrimenti sempre mortifero e decadente.

Pronta a oltrepassare tutti i limiti, Anna è un personaggio interessante, tutto da indagare. Il suo sentimento per Emilio (o siamo davanti a un’ossessione?) è tale da portarla a perdere addirittura la propria identità, a stringere il suo corpo sformato nei vestiti della nipote, pur di rassomigliarle: «Perché se anche divento ridicola, quando sono lei, io mi sento bella, magnifica… perché allora il mio amore per te è appagato totalmente» (p.114). Patetica rincorsa d’amore, la sua, e patetico il tentativo di Emilio di illudersi, nonostante lo squallore.

D’altra parte, l’autore non ha affatto paura di raccontare un mondo desolato, né di indugiare sull’orroroso. Al contrario, va a riscoprire con un certo compiacimento il gusto barocco per la distruzione, il disfacimento di ciò che è stato e di ciò che è, a costo di rasentare il macabro, e affondarci le mani e la penna. Sangue raggrumato e sangue ancora a scorrere, sulle sue pagine.

Ad accompagnare il tutto, una vera e propria invasione di formiche (da qui il titolo), simbolo di disgregazione e animali necrofagi per eccellenza. Tant’arte contemporanea ha eletto le formiche a sintomo di decomposizione, anche allegorica: si pensi anche solo alle opere di Dalì, in cui le formiche rappresentavano la corruzione dei valori tradizionali e la precarietà dell’uomo contemporaneo. Basta anche solo una scena per riproporre l’intreccio di incubo e di immaginazione, in una apparizione quasi surrealistica: «Per poco non urlò. L’interno era tappezzato di formiche che, spaventate dal rumore e dalla luce, correvano al riparo. Davanti a lui si crearono strani e colossali disegni animati, come dovuti a un fitto tratteggio di china. Ed Emilio le guardava scappare e seguiva i mutamenti di quello che gli era sembrato un fiore e che divenne una sorta di tentacolo retrattile. Sentì il rumore delle loro zampette, distinse le urla della formiche impazzite. Salvate la regina, salvate la regina!» (pp. 118-119).

Infine, non posso non soffermarmi sullo stile scrittorio: rapido, personalissimo, originale; tanto scorrevole da calamitare, facendo passare in secondo piano alcuni piccoli problemi di editing che senza dubbio scompariranno in una seconda edizione che speriamo possa arrivare presto. Il pregio dell’opera è tutto qua, nella sua struttura così ben calibrata in capitoli sapientemente divisi; l’attenzione alla prosa e alla suspense; e soprattutto la capacità dell’autore di straniarsi e non commentare l’operato di Emilio, rischiando di far cadere il romanzo in una banale opera moraleggiante. Perché, in fondo, anche Emilio, personaggio altamente discutibile, non solo non viene giudicato, ma non risulta neanche giudicabile in tutto il libro: crudamente umano, senza orpelli né abbellimenti, Emilio è logico nella sua tormentata esistenza, a tratti incantatore per coerenza e perseveranza, a tratti odioso per il martellare ossessivo di certe idee, ma sempre credibile e ben focalizzato.

GMG