Il Salotto: intervista a Sara Bellodi


Ciao Sara,
grazie per questa possibilità di chiacchierare insieme e soffermarci ancora sul tuo romanzo, Sospeso nel vuoto. Abbiamo lasciato passare le vacanze estive, ma ricordiamo ai nostri lettori che possono ritrovare la recensione qui.

Ciao Gloria! Grazie a te per avermi offerto questa possibilità…ne sono lusingata!

E ora, veniamo a noi. Per i nostri lettori che non ti conoscono (e che possono trarre ben poche informazioni dietro al volume), vuoi sussurrare chi è Sara Bellodi?
Chi è Sara?

Bella domanda…a volte me lo chiedo anche io. Comunque direi che Sara è una ragazza che ama sognare, ma che ha anche i piedi per terra (o almeno, ci provo). Adoro scrivere, è il mio modo per sfogarmi e rilassarmi. Purtroppo con gli impegni universitari, sono ferma da parecchio, ma dopo la laurea (meno due esami) chissà! E forse, grazie alla mia laurea in psicologia, riuscirò a ritrarre meglio i miei personaggi. L’aspetto psicologico è quello a cui tengo maggiormente.

Mi hai raccontato durante il nostro primo incontro che la storia ha visto gli albori molto tempo fa, quando eri un'adolescente: possiamo pensare che i personaggi sono cresciuti con te, o da subito sono rimasti come monoliti nella tua immaginazione?
Sicuramente sono cresciuti con me. Anzi, direi anche se sono stati loro a farmi crescere e maturare. Non è stato semplice immedesimarmi in loro e oserei dire che ad un certo punto sono stati loro a far andare le vicende in un certo modo. So che può sembrare strano e anche io, quando l’avevo sentito dire da parecchi autori non riuscivo a crederci, tuttavia, c’è un momento in cui i tuoi personaggi prendono il sopravvento e ti costringono a far andare la vicenda in un certo modo.

Se mi permetti un aut-aut, direi che i tuoi personaggi si amano o si odiano, senza mezze misure. Era questo uno dei tuoi obiettivi?
Ni. Come dicevo prima è stato voluto fino ad un certo punto. Ammetto comunque che provano sentimenti molto forti e decisamente contrastanti, però direi che non l’avevo programmato, o almeno, non a livello conscio.

Innanzitutto, c'è questa violenza endemica che trasuda quasi da ogni pagina. Vogliamo ribadire, una volta per tutte, che non è solo frutto di una fervida fantasia?
Molto volentieri. È vero, c’è molto violenza in questo libro e so che può sembrare qualcosa di totalmente assurdo e irreale, tuttavia, per scrivere Sospeso nel vuoto ho letto parecchi articoli di cronaca e purtroppo, la realtà supera l’immaginazione. Ero rimasta scioccata da alcuni pezzi, non riuscivo a credere che potessero esistere delle situazioni del genere, eppure, ci sono. Ci tengo anche a dire che io ho una famiglia normalissima e non ho mai vissuto vicende del genere, tuttavia, quando ho scritto questo romanzo, stavo vivendo un periodo piuttosto negativo, quindi diciamo che Aleksander e Yuki hanno svolto la funzione di capro espiatorio.

L'amore, al contrario, è tenero, non è mai violenza tra i due protagonisti. Resta invece ancora il demone della seduzione, la tentazione di tante donne che affascinano il protagonista, uomini che cercano di possedere con la forza la giovanissima Yuki: come spieghi questa contrapposizione così netta, nei dialoghi come nelle situazioni?
Bella domanda. Sai, probabilmente ciò è avvenuto perché volevo mettere in risalto il loro rapporto. L’amore tre Sasha e Yuki è qualcosa di incontrollabile, ossessivo, quasi morboso, ma soprattutto è eterno. Volevo mostrare, che nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli, questo amore sarebbe comunque rimasto intatto e si sarebbe solidificato poco a poco.

È singolare anche la scelta di raccontare la storia attraverso gli occhi di Aleksander: fin da subito hai voluto vestire i suoi panni, o la decisione è maturata in un secondo momento?
Inizialmente volevo narrare la storia dagli occhi di entrambi i protagonisti, tuttavia, mentre scrivevo mi sono resa conto che sarebbe stato un lavoro immane. Rileggendo poi le parti che avevo già scritto, mi sono accorta che la storia era più incisiva nei momenti in cui era Aleksander a raccontare e quindi… Comunque è stato davvero molto difficile immedesimarmi in un ragazzo e infatti sono stati vitali alcuni amici, da cui ho attinto comportamenti, idee e atteggiamenti. Alek racchiude in sé molte persone.

Dimmi: cosa vuol dire scrivere e poi dover correggere le bozze di un romanzo di 500 pagine? Hai sacrificato molto per la stampa?
Argh! È la prima parola che mi è venuta in mente! È stato un lavoro molto lungo e piuttosto noioso, anche perché è parecchio difficile riuscire a trovare gli errori quando hai in testa la frase giusta. Purtroppo infatti ci sono un po’ di sviste qua e là, nonostante il lavoro mio e della casa editrice. Come si dice, errare è umano, soprattutto con 500 pagine di libro!
No, fortunatamente non ho dovuto sacrificare assolutamente nulla e infatti il costo elevato è dovuto alla mole del libro.

E scrivere 500 pagine, al giorno d'oggi, come pensi che possa essere visto dai lettori? Vuoi dire qualcosa in merito?
Ti dirò, ho incontrato pareri contrastanti. Alcuni si sono lasciati intimidire, altri hanno apprezzato molto questo dato. Io come accanita lettrice, oltre che come scrittrice, amo i “tomi”. Penso che un libro permetta di tuffarci per qualche ora in un altro mondo, è un modo per evadere e per sognare, quindi sono dell’idea che più lungo è, più permette di volare con la fantasia.

Come mi piace spesso chiedere, che ne è adesso di Sara Bellodi? Stai continuando a scrivere? Mi avevi accennato che molti tuoi lettori speravano in un seguito di Sospeso nel vuoto: pensi sia possibile?
Come dicevo prima, al momento la priorità è la laurea, poi vedremo. Comunque no, non credo sia possibile un seguito, o meglio, sarebbe possibile ma non ho intenzione di scriverlo. Nella mia testa esiste, tuttavia sono convinta che se una storia nasce come una saga, allora sì, è giusto che ci sia un continuo, altrimenti è qualcosa di “attaccato”, magari sfruttando il possibile successo del primo

E altre proposte editoriali?
Qualche idea c’è, comunque è ancora tutto avvolto nella nebbia!

Se vuoi, fatti una domanda e datti una risposta!
Una domanda e risposta? Un piccolo consiglio per chi vuole iniziare a scrivere: avere sempre il coraggio di osare, senza aver paura di sbagliare, perché quando si scrive non esiste questo rischio. È una sensazione meravigliosa riuscire a mettere su carta le proprie emozioni.

Un grande in bocca al lupo per tutti i tuoi impegni universitari e per il mondo editoriale. Grazie ancora per aver seduto al nostro Salotto. A presto!
Crepi il lupo e grazie ancora per la splendida recensione e questa piacevole chiacchierata!

Gloria M. Ghioni

Belgioioso, 28 settembre 2008

Oggi, a Parole nel tempo ho avuto modo di ammirare - con una certa calma, visto il luogo un po' defilato rispetto gli stands - l'anteprima della mostra intitolata "Dipingere l'immenso. Traduzioni pittoriche della letteratura del Novecento", organizzata da Libreria Archivi del '900. Nonostante le foto non rendano né i giusti colori né l'impatto delle opere, eccone solo un assaggio:



Volete vedervi con calma gli scatti rubati alla mostra? Collegatevi al mio album di foto.

Vorrei sottoporvi, poi, un volume uscito pochi giorni fa per l'editore Effigie: si tratta di una fotobiografia dedicata a Luigi Meneghello, intitolata Volta la carta la ze finia. Non fa parte della nostra cultura italiana concepire filologia e biografia legate a un'immagine fotografica, ma vi assicuro che l'impresa curata da Giulia Adamo e Pietro De Marchi per ora è un unicum. In parte perché la raccolta delle immagini è stata aiutata da un Meneghello ancora vivente; in parte perché non si mira a dare l'immagine polverosa dello studioso, ma si ritrova la sagace vivacità della sua persona, con una mescolanza di ricordi personali e di autografi riprodotti. Il tutto è per giunta accompagnato da utili didascalie che, come oggi ha sottolineato De Marchi, hanno la funzione di cucire insieme la fitta trama della vita del nostro autore, senza mai sovrapporsi o giustapporsi alla fotografia. Per i più appassionati, alle singole foto sono spesso aggiunte citazioni più o meno note, e il volume è introdotto e congedato da fondamentali saggi di esimi critici (ad esempio, uno scritto di Cesare Segre)e da un'intervista quasi interamente inedita a Luigi Meneghello. Non solo un libro, non solo una biografia, ma una vera esperienza di un'intera vita.

Anathea

Parole nel tempo, Belgioioso 27 settembre 2008



Qualche foto colta al volo... (per non fare torti, non vedrete foto rubate alle diverse conferenze).




Il castello, sede della mostra...



La fruttuosa spesa...


... e tanto lavoro futuro per voi!


E domani altro ancora! Se vorrete passare, sarà un piacere incontrarvi
Anathea (Gloria Ghioni)

Di noi tre


“Di noi tre”
di Andrea De Carlo.
Torino, Einaudi

472 pg.

Livio, Marco e Misia: tre amici. La storia di un’ amicizia, un’ amicizia incredibile (nel senso che forse non è veramente possibile un’ amicizia così intensa e invadente), viscerale, vibratile, ma anche distruttiva, forse la storia di un’ ossessione. Livio, neo-laureato in Storia medievale, trova di fronte a sé il mondo, e non sa cosa fare. Marco, troppo coerente con se stesso per laurearsi, troppo lucido nella propria follia idealista, decide di mollare gli studi e fare un film. Appare Misia: è bellissima, è luce densa e movimento, è ritmo e musica, è fluido elettrico che si diffonde e spacca le formalità e i conformismi, e quando invade irreparabilmente le vite di Marco e Livio, non c’ è per loro alcuna possibilità di difesa. Livio, invasato dallo sguardo vitale di Misia, incomincia a dipingere, e Marco riesce a portare a termine per la prima volta nella sua vita un progetto: il film.
Le biciclette, i bagagli, i viaggi, i dischi, i parchi di Milano, le cantine di Londra, i cieli lividi delle città e delle periferie, il mare, le comuni, pellicole, restauri e colori sulle tele. Troverete tutto questo nel libro, troverete gli anni settanta, con la loro musica, e troverete gli anni ottanta italiani, scalzati con schifo come anni di rimbambimento triste davanti ai colori sgargianti della televisione, ai sorrisi finti di starlette scosciate. Gli anni ottanta come la fine di una vita sociale autentica e la televisione come simbolo della solitudine disperata. Troverete la storia di tre persone che hanno tentato di essere autentiche, perché questo è ciò che può dar senso alla vita, di liberarsi senza reti di protezioni, familiari, lavorative, che si sono sempre domandate quanto lontano da se stessi stessero sprofondando, ed hanno sempre deciso di voltarsi e cambiare il senso del tragitto, veramente qualunque cosa questa scelta potesse costare. Troverete la storia di una scalata al cielo, forse dell’ ultima generazione, bella e violentata, che l’ abbia tentata. Troverete un’ analisi per suggestioni delle istituzioni di potere della società: la vita familiare come prigione, il mondo del lavoro e soprattutto quello dello spettacolo come circo che chiede di piegare la dignità, gli ospedali come luoghi di controllo ineludibile, nei quali l’ individuo viene spogliato di ogni peculiarità, e poi le convenzioni sociali, la sicurezza soverchiante delle posizioni nel mondo, la droga come tentativo di fuga e autodistruzione. Troverete albe e sconfitte, un senso di pessimismo circa la condizione umana e sociale, la difficoltà sempre maggiore di dirigere la propria vita. La mia critica a questo testo è che vite come quelle dei protagonisti possono esistere solo dal punto di vista di condizioni sociali privilegiate, come dev’ essere stata quella dell’ autore in gioventù, e una costruzione così fatta dei personaggi rischia di renderli irreali. Ma d’ altronde questo è un romanzo, ed è un romanzo bellissimo.

Il salotto: intervista a Daniela Averna

Gentile prof.ssa Averna,
mi permetta innanzitutto di ringraziarla per aver accettato di rispondere a qualche domanda per i lettori di Critica Letteraria. Per maggiori informazioni, consiglio ai lettori la lettura della nostra recensione della sua raccolta di racconti, “Le condizioni di equilibrio”.

Partiamo con qualche considerazione sulla sua esperienza di scrittrice. Insegnante di fisica presso un istituto superiore e scrittrice di delicati racconti: come si conciliano questi due interessi, apparentemente opposti?
Prima di iniziare, cara Laura, vorrei esprimere l’immenso piacere con cui mi pongo a rispondere alle tue domande ed in particolare a questa tua prima, poiché sembra davvero inconsueto che un’insegnante dell’area scientifica possa coltivare il gusto della scrittura creativa.
La mia formazione di base è classico-umanistica e in essa si è poi innestata la cultura scientifica, ma proprio l’amore per la scienza mi ha ricondotta ad apprezzare l’armonia e la bellezza che in ogni forma d’arte si esprimono anche sotto forma di equazioni matematiche o leggi fisiche (basti pensare alle proporzioni nell’architettura di un tempio, alla composizione dei colori e della luce in un dipinto, alla sovrapposizione delle armoniche in musica, ai ritmi di una poesia).
La passione per la scienza e lo stupore dello studioso nell’indagine del mondo fisico inducono un’intensità emotiva che inevitabilmente deve uscire fuori dall’animo e, nel mio caso, ha avuto sfogo nell’insegnamento e nella scrittura.
Pirandello ha saputo formulare l’equazione perfetta arte-scienza: “ Come spontanea è la scienza nell’arte, così spontanea è l’arte nella scienza”.
I due amori, per la scienza e per l’arte, crescono dunque, come diceva Nietzsche, in due distinte “camere cerebrali che stiano l’una accanto all’altra ma senza confusione; è questa un’esigenza di salute”, una condizione di equilibrio, direi io.

Da cosa nasce l’idea, ben delineata, che anima la sua raccolta?
Lo studio dell’equilibrio costituisce uno tra i temi fondamentali della fisica e la definizione scientifica di equilibrio è precisa e rigorosa; in essa non possono tuttavia rientrare le condizioni di equilibrio psicologico, poiché soggettive, e allora mi sono incuriosita in quest’indagine dei meandri della psiche, in cui l’unico strumento utilizzabile è la sensibilità.

Parliamo dei suoi personaggi, “maturati nella fantasia”, come ci spiega prima dell’inizio della raccolta. Quanto ha influito nella genesi di questi caratteri l’osservazione del mondo che la circonda?
Come dice l’io narrante di uno dei racconti “ i comportamenti inusuali stimolano il mio senso materno e il mio spirito indagatore” e di personaggi strani se ne incontrano parecchi, basta avere l’attenzione giusta; osservandoli un po’ ci si rende conto, però, che quegli atteggiamenti insoliti, quelle “vene di pazzia” sono per loro assolutamente normali, poiché l’animo si accomoda in condizioni di equilibrio che dall’esterno sembrano folli, ma dal punto di vista di chi le vive sono quasi gratificanti, elevando lo spirito al di sopra della banalità di un equilibrio solo apparentemente più stabile.
A volte l’ispirazione a scrivere è nata proprio da queste osservazioni, anche se i personaggi sono stati trasfigurati dalla fantasia e piegati a rappresentare condizioni di equilibrio dell’animo umano talora paradossali.

La “maturazione” non esclude degli esiti surreali.
La mente scientifica è deputata a mitigare l’attitudine irrazionale, ma io credo nei miracoli come nell’esistenza di altre forme di vita, non necessariamente più evolute nella nostra, nell’universo e allora, ogni tanto, libero il freno a quella parte di me che, d’istinto, non esclude gli esiti surreali.
La scrittura creativa, d’altra parte, mi consente qualche licenza, no?

I racconti di “Le condizioni di equilibrio” riservano spesso un ruolo importante al mondo della scuola. Molti personaggi sono professori, segretari, alunni: la sua esperienza di insegnante ha avuto grande influenza…
Sì, specialmente da quando mi sono dedicata all’insegnamento, sono passati davanti ai miei occhi migliaia di alunni, loro genitori, docenti e dirigenti, così i personaggi dei racconti hanno spesso aspetti caratteristici di persone diverse che vengono miscelati insieme a creare una figura unica non reale, ma in cui ciascuno può riconoscere qualcosa di sé.

Ma sembra non aver dimenticato, al contempo, la sua esperienza di studentessa.
Beh! Gli anni trascorsi tra i banchi di scuola sono indimenticabili; è allora che vengono scritte le prime poesie, le più belle pagine di diario o i primi racconti.
Proprio a tutti i miei insegnanti, dalla maestra della scuola elementare al professore con cui ho elaborato la tesi di laurea, ho voluto dedicare la mia raccolta “Per l’incantesimo che mi hanno donato: il piacere di scrivere”.

Una curiosità. Qual è il racconto che sente più suo?
E’ il racconto che chiude la raccolta e che si intitola “I tarallucci del professore”.

Perché?
Perché nel contesto scolastico odierno l’insegnamento è veramente difficile, nel senso che il disamore di tanti ragazzi per la cultura o forse la distrazione indotta da tante, troppe, sollecitazioni estranee al mondo dello studio non consente loro di apprezzare le delicate armonie dell’arte, in ogni sua poliedrica sfaccettatura, non permette loro di capire lo splendido binomio arte-scienza di cui ti parlavo all’inizio ed io vorrei, invece, guidare i miei allievi in questo percorso.
Sai quando mi sento veramente gratificata? Nel momento in cui i miei ragazzi comprendono la complementarietà tra sapere scientifico e sapere umanistico e cominciano ad affezionarsi a questo curioso esemplare di insegnante che parla di infinito matematico e dell’infinito dell’anima, di tempo fisico e del tempo dello spirito.

La ringrazio infinitamente per la sua disponibilità e per le sue risposte, davvero illuminanti per chi ama la conoscenza, in tutte le sue forme.
Io ti ringrazio per lo spazio che hai dato a queste mie riflessioni, per la possibilità che mi hai offerto di condividerle ed invito te e chiunque fosse interessato alla presentazione locale del libro che si terrà il 10 ottobre prossimo, alle ore 19.30, presso la Libreria Mondadori di Augusta.

Per maggiori informazioni, è possibile consultare il blog della libreria.

Il "rozzo amore per la vita" di Scipio Slataper


Il mio Carso
di Scipio Slataper
Rizzoli BUR, Milano

1^ edizione: sulla <>, 1912

Quest'operetta in prosa lirica, quasi un prosimetro, è la prima pubblicazione dei cosiddetti "Vociani", uscita nel 1912 ma già ideata nel 1908 ed eleborata tra il 1910 e il 1911. La critica ha accolto subito la novità del libro, non romanzo, ma più che altro una autobiografia monologante, agìta verbalmente. Bisogna però aggiungere che, pur con le sue innovazioni, l'opera resta un'esperienza letteraria giovanile, a volte imperfetta (in particolare, la terza parte).

La struttura è discontinua e frammentaria: divisa in tre sezioni numerate (inizialmente avrebbero dovuto essere intitolate: Bimbo, Adolescente, Giovane), è poi costituita da un numero variabile di frammenti di lunghezza irregolare.
Molto spesso drammatica, sia per contenuti, sia perché impregnata di dialoghi o di monologhi verso/contro qualcuno. E queste allocuzioni cambiano, sono instabili tanto quanto i raccordi tra i diversi frammenti, connessi solo dalla memoria o, talvolta, completamente irrelati.
L'autore non smette mai comunque di snidare l'interlocutore (tra i tanti, gli amici Vociani, la donna amata, la natura, o se stesso), a volte con costrutti e vocaboli tratti dal dialetto triestino.

E' infatti questo uno dei tanti modi per sottolineare la sua forte appartenenza a Trieste (nonostante le sue origini fossero slave), alla "città vecia", come scrive spesso, così contrapposta alla Trieste borghese da cui si sente escluso. La vera patria dell'autore è però il suo carso*, con la sua natura arida e impietosa, irta di rocce, pronta ad accogliere i momenti di sconforto e di riflessione del giovane io narrante-Slataper (si vedano il precoce frammento genetico intitolabile "La calata", e "La salita" che era stato precedentemente pubblicato sulla "Voce" col titolo "Sul Secchieta c'è la neve").
Natura che comunica quindi la sua primitiva forza vitale, riversando sul giovanissimo Scipio (era nato nel 1888) un prepotente e a tratti violento vitalismo, fino a un sadismo gratuito. E' la stessa formazione del ragazzo a vivere di queste contrapposizioni, oscillando tra desiderio di costruzione e di decostruzione: ci sono istanze anarchiche che non si realizzano, ma anche contraddizioni che il protagonista non riesce a risolvere. Così, il mondo del lavoro, che è vero e proprio simbolo di integrazione nella società, viene avvicinato con disgusto, e poi allontanato in una serie di improbabili professioni ideali (sogna ad esempio di diventare legnaiolo in Croazia, o di essere sorvegliante sadico in una piantagione di caffè).
Lo stesso rapporto sociale viene spesso turbato da desideri combattuti. Gli amici vociani, per quanto cercati con un "voi" o con un "fratelli" allocutori, sono sempre sentiti come altro da sé: Scipio ha una minor cultura, ma sente nelle sue vene un vigore, una forza vitale che i compagni non possono condividere, e ne è fiero.
L'amore è quanto procura più sofferenze al Scipio: traumatizzato dal suicidio della fidanzata (maggio 1910), occupa la terza sezione dell'opera con una serie di riflessioni e di episodi sul dolore e sull'inspiegabilità della morte e del suicidio. L'Anna reale viene così trasfigurata nella figura di Gioietta (a cui peraltro viene dedicato il libro), che mai ha lasciato trapelare simili intenzioni. Scipio si strugge per non aver capito le intenzioni della ragazza, e solo il ritorno al carso sembra infondere la tanto ricercata quiete.

Lo stile necessita qua e là di un labor limae più sapiente, ci sono punte da rivedere, ma appare la forte ricerca di secchezza sintattica, nonché l'uso insistito di iterazioni (con funzioni diverse), parallelismi, anacoluti. Come già detto, l'incidenza del triestino è forte, e contribuisce a dare al lessico elementarietà (specialmente nella prima sezione, in cui sono più presenti i ricordi di bambino), contrastata solo da neologismi.
Composito dunque il linguaggio, come composito il contenuto: un classico italiano forse sopravvalutato, ma senz'altro da annoverare tra le letture irrinunciabili.

Anathea



Il titolo riprende la definizione di Emilio Cecchi.
* Manteniamo la minuscola rispettando quanto Contini ha scritto nella sua Letteratura della Nuova Italia.

Se l'amore è tradimento, e il tradimento è catastrofe


A handful of dust
di Evelyn Waugh

Versione italiana:
Una manciata di polvere
traduzione di M. Stella Ferrari, Milano, Bompiani, 2003

Nei romanzi di Waugh, l'ironia è sferzante e contagiosa, pronto strumento di una morale a sfondo religioso, ma non per questo fortemente bigotta. E' soprattutto ai valori tradizionali della famiglia e del quieto vivere in comunità che si appella lo scrittore inglese, salace critico che precorre i tempi, nello sviscerare i germi di tanta corruzione dei costumi.

In particolare, in questo romanzo, è l'amore ad essere sezionato ed analizzato. Innanzitutto c'è l'amore che il protagonista, Tony Last, nutre per la sua dimora vittoriana, Hetton: pur di risiedervi e di mantenere i costosi restauri, priva sé, la moglie Brenda e il figlioletto John Andrew di un lusso che potrebbero permettersi, se solo rinunciassero a parte dei domestici e dei giardinieri. E' proprio in questo clima di freddezza neogotica che la moglie Brenda, non ancora trentenne, matura noia e indifferenza davanti alla quotidianità così piatta. Non meraviglia affatto che l'incontro con un singolare giovane uomo, John Beaver, poco più che conoscente del marito, le sarà fatale. Così, i soggiorni londinesi della donna si faranno sempre più frequenti, e l'amore per Tony e John Andrew sarà rimpiazzato dal fuoco di una passione stimolante e sconvolgente. Neanche una tragedia riuscirà a riportare la donna a casa, ma sancirà la sua partenza definitiva, costellata di cinismi e di vere e proprie cattiverie nei confronti del marito tradito. Sarà proprio Tony ad occupare una corposa ultima parte di narrazione, con un finale quanto mai strampalato, inverosimile e quasi grottesco, che sembra suggerire l'insignificanza della storia e, secondariamente, della vita (da qui il titolo).

Un altro aspetto di grande interesse è se immaginiamo che questo romanzo è stato scritto nel 1934, nello stesso periodo cioè in cui Barbara Pym stava per elaborare il suo Crampton Hodnet (cfr. la nostra recensione. In entrambi i romanzi, l'amore e il giudizio morale sono sempre filtrati dai gossip del paese: non esistono valori, senza qualcuno che li ribadisca e li difenda, sembrano suggerire i due scrittori. E non mancano ammiccamenti piuttosto giocosi al lettore, né la prosa è scabra o essenziale: al contrario, un buon approfondimento della psicologia dei singoli rende la lettura coinvolgente, fino a suggerire in anticipo le reazioni di ogni personaggio.

Gloria Ghioni [Anathea]

Lungo l'impalpabile filo di fumo di Marzocca



Fili di fumo

di Fabio Marzocca
Graphe.it, 2007

pp. 65

Otto racconti accomunati, come allude il titolo, da un filo di fumo sottile che raccorda storie diversissime. Così nel primo intimo “Un sottile filo di fumo”, la pipa partecipa di un rituale privato, permeato di un’aggettivazione dettagliata e molto piacevole. Solo la figura del fumatore di pipa porta al secondo racconto, “L’uomo con la pipa”, una delicata storia di bontà e di sensibilità che testimonia come sia possibile comunicare affetto aldilà delle parole. Per niente avulsa di dolcezza è anche il successivo “La pipa dei ricordi”, in cui un giovanissimo io-narrante (contrapposto al vecchio del racconto precedente) sperimenta i vecchi sapori della tradizione. “Il canto della notte” è invece una vera e propria storia che ha per protagonista un anziano sognatore, in bilico tra malattia e favola. Nel successivo “Il concerto in Galleria”, ambientato in una caotica Milano, si sfatano i luoghi comuni in merito ai piccoli artisti di strada. “Chanupa” trasferisce i lettori nell’atmosfera affascinante di una riserva indiana, dove le ultime tradizioni sono messe a repentaglio dall’orda del turismo: non mancano punte di saggezza e assaggi di filosofia indigena. Nel penultimo “Libri Antichi Patané”, l’autore tratta uno scottante tema familiare, in cui la morale finale ha un valore universale. La vera perla è il finale “Tabacco cibernetico”: si tratta di una prova di racconto poliziesco molto ben architettato, forse ampliabile in un romanzo di più ampio respiro.
Fabio Marzocca si misura quindi con più generi di diversissima tradizione, mostrandosi sempre a proprio agio, in pagine di assoluta piacevolezza. In parte è la scrittura scabra ma non banale, in parte la trama studiata con attenzione: il risultato è un’opera che testimonia originalità e riporta l’attenzione su raccolte di racconti “a tema”.

Anathea

E tra poco l'intervista a Fabio Marzocca! Intanto visitate il suo sito.

L'armonia degli equilibri infranti

Titolo: Le condizioni di equilibrio
Autore: Daniela Averna

Casa editrice: Il Filo

Prezzo: € 13,00
Pagine: 70
ISBN: 978-88-567-0055-8

Un'opera umana - artistica e non - acquista un valore tanto più alto, quanto il messaggio che veicola ha profonde radici e un ampio orizzonte. Profonde radici, riconosciute e non rinnegate; un orizzonte ampio, un ventaglio di possibilità e futuri da accogliere. Il messaggio, il significato dell'opera, è la corda - più o meno fragile, più o meno robusta - che si snoda tra le radici e l'orizzonte. Si tratta, indubbiamente, di un modo tutto personale di osservare, affrontare e raccontare il mondo.
E' davvero un'impresa trovare un libro che intrecci i tre elementi sopracitati - radici, messaggio, orizzonte - in una creazione omogenea. Trovare un libro del genere vuol dire trovare un'opera di qualità, e vale la pena di sottolinearlo.

"Le condizioni di equilibrio", raccolta di racconti pubblicata dalla prof.ssa Daniela Averna, merita di essere considerata una tra queste opere.

Il nerbo dell'opera, la sua radice, è dichiarata con limpida chiarezza nella nota introduttiva. La formazione scientifica dell'autrice, infatti, non ci catapulta in un mondo fondato su un determinismo meccanicistico ma, al contrario, diventa strumento privilegiato per rappresentare la psiche umana in particolari frammenti di esistenza.

Si delinea un preciso campo d'indagine. Il perfetto, innocente, equilibrio, fragilissimo bilanciamento di forze, non esiste. Lo sguardo cristallino di Daniela Averna ferma in un'istantanea esplosioni fragorose o, più spesso, mute implosioni in cui i personaggi attraversano il confine del loro dolore, cambiando in modo irreversibile.
"I protagonisti dei racconti," scrive l'autrice, "vogliono apparire statiche personificazioni di condizioni di equilibrio in cui l'anima ha congelato i sentimenti, ritrovando se stessa in qualcuna delle svariate e multiformi facce di un cristallo puro".
Una scelta decisa, quindi: la sincronia di una rappresentazione statica, spesso un piccolo particolare, cui segue immediatamente la diacronia, l'abisso delle storie personali di ogni personaggio.

Può sembrare un paradosso, ma l'equilibrio formale è condizione necessaria per scandagliare a dovere questi abissi. E lo stile di questi racconti è decisamente uno stile armonico, composto, impreziosito (ma non appesantito) da passi di malinconica o fragrante poesia. Un altro merito da sottolineare, in un tempo in cui sembra dominare la vuota astrattezza di ghirigori metaforici.
L'equilibrio formale si accompagna, sovente, a una delicatezza tutta femminile. Gli echi pirandelliani di una società-famiglia soffocante (da L'equilibrista: "Da qui posso vedere ciò che lei non può. Da qui vi osservo follemente arrabattarvi, mentre sibilano i pugnali che qualcuno affila alle vostre spalle; da qui vi osservo con la compassione del distacco, perché sono fuori competizione.") sono mediati da un fondamentale spirito di speranza.
Ecco l'ampio orizzonte: la società non comprende l'emarginazione, il lutto, la malattia, la solitudine - ma c'è qualcuno disposto ad aprire gli occhi sulla realtà interiore dei personaggi (Cento volte tanto). La brutalità, la fragilità estrema del mondo esterno e interiore è così riscaldata dalla possibilità di un riappacificamento con la memoria (La ragazza del vento) e quindi con la famiglia (La matrioska). Soprattutto un riappacificamento con i morti, presenza costante in molti racconti, in un dialogo forte che superi l'assenza; in sostanza, quindi, un riappacificamento con la vita.

Settanta pagine da centellinare e, soprattutto, rileggere.


Laura Ingallinella

Note a margine: la presentazione ufficiale del libro avrà luogo lunedì 6 ottobre 2008 nella libreria Esquilibri a Roma, in Via Giolitti 319. Giovedì 25 settembre, invece, tra le 21 e le 23 l'autrice sarà intervistata su Elleradio. Presto un'intervista anche qui su Critica Letteraria.

L'anti-Freud, ossia una psicanalisi al contrario


Antonio Tabucchi
"Sogni di sogni"
pagg. 86
Sellerio Editore
6,20 €


Il titolo può lasciare interdetti i lettori più piantati nel mondo reale strappandogli magari una smorfia simile a quella di Kant quando lesse (o magari vide solo la copertina!) l'opera di Swedenborg impregnata fino al midollo, pardon fino al dorso di metafisica. L'immagine di copertina è tratta da un dipinto di Pierre Puvis de Chavannes e nell'ordine vi sono raffigurati l'Amore, la Gloria e la Ricchezza che sono i sogni di un uomo al di fuori del particolare ritagliato, ma chi non sogna qualcosa di simile? Adesso la spiegazione del titolo si semplifica: cosa sognano gli uomini che, in un modo o nell'altro, hanno raggiunto uno di questi tre status quo? In questa breve raccolta di racconti Antonio Tabucchi cerca di rispondere dando spazio alla sua fantasia per riuscire a derivare, dal carattere storico-letterario di venti artisti uno dopo l'altro, altrettanti sogni il più verosimili possibile, magari ambientati proprio in uno dei giorni importanti della vita del personaggio. Iniziando da Dedalo e finendo con Freud (chissà perché...) l'autore ipotizza venti "prestazioni oniriche" in rigoroso ordine cronologico avvincendo il lettore con piccole pillole (i racconti sono brevissimi) e avvicinandolo metafisicamente al pensiero di ogni singolo artista proponendo a fine volume una minuscola biografia per una migliore contestualizzazione e comprensione di ogni sogno. L'incipit in chiara anafora e la formula narrativa pressocché identica rende l'idea di "Fantasie in serie" sancendo un avvenimento particolare della vita dell'artista o una sua summa. Per chi è interessato i personaggi trattati sono nell'ordine: Dedalo, Ovidio, Apuleio, Cecco Angiolieri, Villon, Rabelais, Caravaggio , Goya, Coleridge, Leopardi, Collodi, Stevenson, Rimbaud, Cechov, Debussy, Toulouse-Lautrec, Pessoa, Majakovskij, Garcia Lorca, Freud. Da non perdere.

La bestia a due schiene


La bestia a due schiene
di Emily Maguire,
Rizzoli, 2006
pp. 334

Sarah Clark, quattordici anni di Sidney, è una studentessa modello che si è sempre sentita diversa dai suoi coetanei. Tutto ebbe inizio quando, per il suo dodicesimo compleanno, le venne regalata una copia dell’Otello e finì quando il suo insegnante di letteratura inglese non le spiegò il vero significato dell’espressione “la bestia a due schiene”.

Nel frattempo aveva letto tutte le tragedie di Shakespeare e i sonetti, e poi Marlowe, Dante, Donne, Pope e Marvell.

Infilava le antologie di poesie sotto il letto e di notte si immergeva nella lettura di Emma alla luce di una torcia elettrica, esattamente come i ragazzi della sua età erano soliti fare con Playboy”.

Non si sa quale sia il fattore principale che faccia innamorare di lei il suo professore.

L’intelligenza? L’ingenuità? La freschezza dei suoi anni e il fatto che, tra i due, ci siano più di quattro lustri di differenza?

Fatto sta che un giorno, dopo le lezioni, Sarah si ritrovò avvinghiata a un uomo affascinante e sposato che, in bilico su un banco di scuola, continuava a ripeterle quanto lei fosse intelligente e consapevole della grandiosità dei suoi anni. Da quel giorno, Sarah Clark cessava di esistere ogni giorno per circa due ore, incontrando di nascosto il suo professore in mensa, negli spogliatoi o nel sedile posteriore della sua macchina.

Quando poi il professor Carr, così si faceva chiamare da Sarah anche durante l’amplesso, dovette trasferirsi in un’altra città con la sua famiglia, fu come per la ragazza se il mondo le fosse appena crollato sulla testa soffocandola.

“La bestia a due schiene”, il titolo del romanzo, proviene da Shakespeare. Quando due persone erano coinvolte completamente nell’atto amoroso, smettevano di essere individui separati e diventavano un’unica creatura. L’amplesso dava vita a un organismo più grande della somma delle sue parti, una bestia a due schiene ma con una sola anima. “Sarah si rese conto come non si trattasse di una metafora: se qualcuno fosse capitato per caso in uno dei loro luoghi segreti dalle tre alle cinque di ogni pomeriggio, non avrebbe potuto identificare una ragazza e il suo insegnante che mettevano in atto il loro amore impossibile e illegale. Avrebbe semplicemente visto un mostro a due teste che si dimenava e urlava, una creatura inconsapevole del mondo che la circondava, autosufficiente, senza nessun altro desiderio se non quello di escludere il resto per rinchiudersi ancora di più in se stessa”.

Ed è proprio questo che Sarah cerca negli otto lunghi anni a venire dopo la partenza del professor Carr. E lo ricerca negli uomini più abietti, incontrati nei locali dei più bassi sobborghi di Sidney o abbordati al bordo della strada. Una ricerca inutile della sua bestia a due schiene che, invece di permetterle di dimenticare, non fa che ricordarle a ogni amplesso che solo una persona era in grado di dar vita a quella creatura così meravigliosa. “Non riusciva a trovare conforto o sicurezza in niente. Ogni spazio era diventato immenso perché lei aveva smesso di riempirlo”.

E per quanto il professor Carr si riveli, andando avanti con il romanzo, come una persona violenta e di mente fragile e precaria, Sarah non esita un solo istante a saltargli con le braccia al collo quando lo rivede, dopo tanto tempo, invecchiato e finalmente senza fede al dito. “Sarah conosceva quella voce. Sentiva la sua eco rimbombare in testa da otto lunghi anni. La conosceva perché era la fottuta colonna sonora della sua vita”.

Daniel Carr era l’altra metà della bestia a due schiene che le ruggiva dentro da troppo, troppo tempo.

Questo immaginario mondo quotidiano



Crampton Hodnet
di Barbara Pym
Kingston, Rhode Island & Lancaster, Moyer Bell, 1985

pp. 216

Barbara Pym per il suo romanzo, iniziato nel 1939 e pubblicato molti anni dopo, sceglie un titolo allusivo: Crampton Hodnet. E' anzitutto un luogo immaginario, che la dama di compagnia Jessie Morrow e il curato Mr. Latimer inventano per giustificare la loro assenza ai vespri. E' però possibile intravedere nel titolo un elemento giocoso che ben si sposa al clima disteso del romanzo, cioè come una specie di ammiccamento al lettore che mantiene il segreto. O ancora, potrebbe esserci un riferimento al relativismo e alla molteplicità dei punti di vista: ognuno dei personaggi crea il proprio Crampton Hodnet, attraverso la rete di pettegolezzi e della fantasia. Infatti, l'intera storia si può vedere come un chiacchiericcio ininterrotto tra figuranti di diversa rilevanza narrativa. Ci sono comparse di poco conto, ad esempio le macchiette di due amici dai pensieri simbiotici, le pettegole beghine di paese, i benpensanti. Con questi interagiscono i personaggi principali, tra cui i già citati Miss Morrow e Mr. Latimer, la vecchia padrona di casa Miss Doggett, i nipoti Cleveland,... Il tutto è teso a creare una sorta di commedia moderna, in cui l'amore riguarda ogni età, sesso e levatura sociale Alla relazione fresca e giovane, ma così terribilmente crudele, tra Anthea Cleveland e il giovane Simon, interessato solo alla carriera, si aggiunge il contorto ed egoista amore platonico tra il professore Francis Cleveland (padre di Anthea) e la sua studentessa Barbara Bird. Nel primo caso, l'amore è vissuto nel pieno della sua illusione, mentre Francis è rapito dal fascino della giovinezza di Barbara, e Barbara dalla cultura del professore. O ancora, per il curato Latimer l'amore non è niente di sentimentale o di passionale, ma una relazione sociale basata sul rispetto e sulla stima, come leggiamo in merito al suo interesse per Miss Morrow:

But Mr. Latimer was glad when, by some movement of the crowd, he found himself next to Miss Morrow. If he had analysed his feelings he would have realised that he turned to her with relief, as one does to a person with whom one need not make conversation. But there was no personal quality in this feeling for her. He regarded her simply as a man might regard a comfortable chair by the fire, where he can sit with his slippers on and a pipe in his mouth.
Miss Morrow felt this, but it did not worry her. Intimate objacts were often so much nicer than people, she thought. What person, for example, could possibly be so comforting as one's bed? And althought she hardly dared to imagine that he thought as highly of her as of his bed, she was nevertheless conscious of a certain easy relationship between them which pleased her.


I fatti si intrecciano, si combinano e poi si sciolgono nel salotto e nelle sale da té da cinque del pomeriggio, in un clima tipicamente inglese, tra battute di humour e intriganti gossip sentimentali.
Quasi senza accorgersene, Barbara Pym riaccompagna circolarmente all'inizio, quasi a dimostrare che la realtà è una sola e, per quanto cambino gli attori, la storia resta immutata:

There was really nothing in this world that could not be replaced.

Anathea (Gloria Ghioni)

Il salotto: intervista a Glauco Silvestri

Ciao Glauco, sono lieta di invitarti al nostro Salotto per una chiacchierata su di te e sul tuo libro, 31 Ottobre (del quale abbiamo già pubblicato una recensione che vi consiglio di leggere).
Ciao Laura, sono felice di poter essere "qui" e chiacchierare con te.

Per cominciare, parliamo un po' di te. Un ingegnere informatico e uno scrittore: come convivono in te queste due "identità", queste due passioni?
Beh, in realtà non sono un Ingegnere Informatico. Sono un semplice "perito elettronico". Lavoro per una azienda di elettronica e... come far convivere queste due identità? Oh Dio, non convivono per nulla. Anzi, è una continua lotta per guadagnare spazio. Da un lato il lavoro, che pretende un impegno costante, dall'altro la passione per la narrativa, che mi ruba le notti e, ahimè, anche i pochi spazi rimasti da dedicare alla vita sociale.Credo però che sia normale e, visto che sono pure un gemelli, penso che tutto ciò sia quasi necessario ad alimentare la mia vena creativa. Del resto, elettronica e narrativa non sono le mie uniche passioni. Io aggiungerei anche la fotografia, la bicicletta, la vita all'aria aperta (e, in particolare, in montagna) e il cinema.Certe volte, quando mi fermo un attimo per decidere cosa fare nel prossimo spazio libero di tempo, immagino il mio io interiore trasformarsi in Taz, il diavolo della tasmania....

Parlaci della tua vita da scrittore. Quali sono state le tue esperienze fino a 31 Ottobre?
Ho cominciato molto tempo fa. Il primo romanzo l'ho auto-prodotto e pubblicato in 13 copie! Giusto per qualche amico e... Lo ammetto, era illeggibile. Una sorta di esperimento che ancora oggi è lì sulla scrivania. Ci sto ancora lavorando e ancora non sono riuscito a trovare pace in una stesura che mi soddisfi.Ho scritto per lungo tempo solo per me stesso. Racconti brevi per lo più. Poi, nel 1997, ho voluto partecipare ad un concorso letterario con uno dei miei racconti. Ancora oggi stento a crederci. Il mio primo tentativo "ufficiale"... alla premiazione rimasi di sasso quando pronunciarono il mio nome. Vinsi e il premio era la pubblicazione di un libro.Ricordo ancora la mia agitazione... non avevo nulla da proporre per la pubblicazione. Mi misi a scrivere ispirandomi ad una idea che ancora non avevo completamente chiara. Nacque 'Cometa', un romanzo di fantascienza.Dal 1997 al 2000 è stato un periodo d'oro. Ogni concorso a cui partecipavo portava ad un premio. Non che abbia partecipato a tantissime competizioni narrative ma... era comunque una soddisfazione non da poco, considerando anche la mia età "artistica". Ero un neonato in mezzo a tanti appassionati scrittori.Poi il fallimento della Get Editrice. I problemi con l'editore, questioni di denaro e di manoscritti rimasti vincolati in contratti mai giunti ad una chiusura decente. Un po' di delusione... lo ammetto... e la voglia di tornare a scrivere solo per me stesso.31 Ottobre è arrivato, anche lui, per caso. Un mio collega aveva appena pubblicato un libro sulla sua gioventù, un piccolo libricino divertente e nostalgico. E' stato lui a convincermi a spedire il manoscritto agli editori... lui diceva che dovevo mandarlo a Bonelli, perché era una sceneggiatura perfetta per Dylan Dog!

Proseguiamo con il tuo romanzo. 31 Ottobre appartiene indubbiamente al genere noir. Quali sono stati i punti di riferimento per la costruzione del romanzo?
Io leggo tantissimo. Sono appassionato di vari generi letterari e, di conseguenza, non mi lascio influenzare troppo da autori specialisti in un particolare genere. Diciamo che 31 Ottobre ha subito influenze differenti e disparate. A partire proprio da "Dylan Dog", il fumetto di Sclavi, passando per le ambientazioni trovate in "Quo Vadis Baby", fino ad una curiosità nascente verso la festa di Halloween, che ultimamente ha conquistato anche l'Italia. Qualcuno ci ha visto anche una influenza proveniente da "il Corvo", altri addirittura da "Frankenstein". Ripensandoci... si... in 31 Ottobre ci si può trovare anche frammenti di quelle storie, ma sono del tutto involontari.Volevo scrivere principalmente una storia sulla mia città. La storia di Bologna è stata basilare per costruire le fondamenta del romanzo e, anche per modellare i vari personaggi. Il resto è servito per dare colore e atmosfera.

Da cosa è nata l'ispirazione per le vicende di 31 Ottobre?
Da un sogno. Il primo capitolo è letteralmente un sogno che ho fatto nella notte del 31 Ottobre del 2003. Il libro è difatti ambientato in quella giornata. Ovviamente nel sogno sono io il personaggio che viene inseguito sotto il Pavaglione. Ho sostituito il personaggio con una ragazza perché... beh... era Hitchcock che diceva: "Non c'è niente di più spaventoso che una bella ragazza che viene inseguita nel buio..." Si, credo fosse proprio lui...

Nel tuo romanzo ha grande importanza la cultura celtica. E' una tua passione?
In realtà no. Come ho già spiegato prima, ero curioso di capire il perché una festa come Halloween avesse attecchito anche qui da noi. Ho cominciato a studiare questa festa a ritroso... fino ad arrivare ai celti. Quel popolo ha fatto parte anche della storia di Bologna, che è una mia piccola passione, e così ho voluto approfondire anche quel ramo.

Qualche curiosità sui tuoi personaggi: Alex, Marcella, sono frutto della tua fantasia o ispirati a persone che realmente conosci?
I personaggi sono inventati. Ammetto che in Alex ci sia un pochino di me... il suo carattere introverso. Per il resto, i due personaggi sono completamente inventati. Avevo bisogno di due caratteri che stessero agli opposti. Lui introverso, lei estroversa.Per costruire i personaggi di una mia storia, di solito, vado in centro città, con la mia macchina fotografica, e mi fermo in piazza maggiore. Scatto fotografie ai passanti, osservo il loro modo di comportarsi, assisto alle litigate, ai momenti d'affetto, a tutto ciò che una piazza popolata come quella di Bologna può offrire.Lo so... forse violo la privacy di coloro che attirano la mia curiosità ma... studiando il comportamento umano, la natura umana, spero di riuscire a costruire caratteri più interessanti e realistici.

La Bologna di 31 Ottobre ci ha davvero sedotti: è sicuramente il personaggio più affascinante. Parlaci del rapporto che ti lega alla tua città.
La adoro. Bologna è una città stupenda, affascinante, dalle mille facce. Ha una storia millenaria, esisteva già prima della nascita dell'impero romano. Il mio amore per questa città è una questione di pelle. Camminare sotto i suoi portici, osservare le torri che la dominano, ascoltare i rumori che non la lasciano mai... non lo so... è come se fossi innamorato di lei. Mi piace tutto di lei, anche gli angoli degradati. Forse perché è un porto di mare, grazie all'università, ogni angolo della città è diverso dagl'altri. Si possono incontrare volti e persone così diverse... e la notte è così avvolgente tra quei palazzi medievali. Sono legato a questa città in modo emotivo. Ogni volta che parto, o per lavoro, o per divertimento, è sempre e comunque una sofferenza. E ogni volta che torno è una gioia.

Se dovessi riassumere il tuo libro in tre aggettivi, quali useresti?
Brutale, misterioso... il terzo posso dirlo in inglese? credo non esista una parola italiana che esprima esattamente lo stesso concetto: gripping! (...lo tradurrei "che cattura", "che prende"...)

A chi consiglieresti 31 Ottobre?
A tutti! ^_^
Beh, facendo i seri, direi che 31 Ottobre potrebbe essere scritto per tutti coloro che cercano delle emozioni forti, che amano "fare gli investigatori" mentre leggono. E' un libro il cui finale è costruito in modo da appagare sia chi crede nell'esoterismo, sia chi non ci crede.

Hai altri progetti letterari in corso?
Si, diversi. In autunno dovrebbe uscire un mio Audio Racconto con la Vox Company. In questo momento sto proponendo alle case editrici un libro per ragazzi e, allo stesso tempo, sto finendo l'editing di un romanzo storico, di avventura, ambientato nell'Inghilterra del fine settecento. Sto anche pubblicando diversi ebook gratuiti di genere horror, una sorta di antologia composta da cinque racconti scaricabili singolarmente. In questo momento sono disponibili i primi quattro. Il quinto è in fase di editing e conto di metterlo online entro la metà mese.

Un'ultima informazione su di te. Scrivi su un blog in cui parli ampiamente del tuo romanzo e della tua attività, ma offri anche dritte e informazioni agli scrittori emergenti. Qual è il primo consiglio che daresti a chi ha il sogno di pubblicare il suo primo romanzo?
Di essere umili. Di non credere che il proprio primo lavoro sia per forza un capolavoro e che sarà un successo. Di essere aperti ai consigli che gli editori impartiranno, sia che rifiutino il manoscritto, sia che decidano di pubblicarlo.

Ti ringrazio per la tua disponibilità!
Grazie a te.

Laura Ingallinella