#CriticaLibera: come "La regina degli scacchi" ha conquistato me (e altre milioni di persone)

 

La regina degli scacchi di Walter Tevis



La regina degli scacchi
di Walter Tevis
Oscar Mondadori, 2021

Traduzione di Angelica Cecchi

pp. 324
14,00 € (cartaceo)
7,99 € (ebook)

La cosa sorprendente era quanto i ragazzi giocassero male. Tutti quanti. Aveva capito molto di più Beth nella sua prima partita, che tutti loro messi insieme. Spargevano i pedoni ovunque e lasciavano i pezzi importanti preda di attacchi. Alcuni provarono a fare dei matti poco elaborati. Beth li spazzò via come mosche. Si muoveva velocemente da una scacchiera all'altra, con l'animo tranquillo e la mano ferma. (pp.42-43)
C'è stato un momento, a novembre 2020, in cui tutto il mondo si è messo all'improvviso a giocare a scacchi. C'è chi ha cercato "come imparare gli scacchi" su Google, chi ha acquistato libri, chi si è procurato le scacchiere. I feed Instagram si sono riempiti di quadrati bianchi e neri (e di entusiasmo).
Tutti coloro che erano stati presi da questa passione avevano qualcosa in comune: stavano guardando La Regina degli scacchi, la serie esclusiva Netflix (creata da Scott Frank e Allan Scott) che a soli 28 giorni dalla messa in onda è stata vista da circa 62 milioni di famiglie. Ancora oggi compare nella Top Ten delle serie più seguite in Italia.
Beth Harmon, la protagonista di questa storia, non nasce sullo schermo, anche se è lì che quasi tutti l'hanno conosciuta. È l'eroina di uno dei romanzi dello scrittore americano Walter Tevis, per la precisione quello tra i suoi libri che lo scrittore e critico Jonathan Lethem ha definito il più perfetto e doloroso.
Tevis, anche autore di opere cult come Il colore dei soldi, Lo spaccone, L'uomo che cadde sulla Terra, ha pubblicato La regina degli scacchi nel 1983 e oggi il suo romanzo ritorna in libreria per gli Oscar Mondadori con una copertina che tutti coloro che hanno un abbonamento a Netflix (ma non solo loro) riconoscerebbero tra tante. Anya Taylor-Joy, l'acclamata attrice che ha vestito i panni di Beth, ci osserva con il suo sguardo intrigante e vivace, le mani incrociate a sostenere con eleganza la testa, in attesa che chi sta dall'altra parte faccia la prossima mossa. Sta vincendo. Si capisce già da come ci fissa, prevedendo ogni possibile strategia dell'avversario invisibile.

"La signora Bauhaus" ci racconta la storia della determinata Ise Frank, che attraverso le sue parole rivoluzionò l'architettura negli anni Venti


Jana Revedin la signora bauhaus


La Signora Bauhaus
di Jana Revedin
Neri Pozza, 2020

Traduzione di Alessandra Petrelli

pp. 304
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Gli anni in cui l'architetto Walter Gropius parla per la prima volta del Bauhaus sono anni di grandi speranze e di successive delusioni, non solo per architetti illuminati e artisti, ma soprattutto per la vita culturale e artistica dell’intera Europa. La scrittrice a architetta Jana Reverdin, che per studio e ricerca studia proprio quegli anni, si imbatte, durante una lezione con i suoi studenti, nel saggio di Bruno Taut, del 1924, La nuova abitazione: la donna come creatrice e scopre così l’esistenza di Ise Frank, donna straordinaria, che pur non essendo un’architetta, fu la tessitrice e l’anima di quel progetto, il Bauhaus appunto, grazie alla sua capacità mirabile di teorizzarlo, scrivendone fin dal primo momento e per tutta la sua vita, al punto da essere conosciuta come la “Signora Bauhaus”.

Incredibile che questa donna così geniale, all’avanguardia e fondamentale fosse rimasta sepolta tra le pieghe del tempo. Si spiega così il successo di questo libro così ben congegnato, che coniuga biografia a romanzo ed è scritto in maniera appassionata e accattivante. 


Al suo interno si avvicendano le vite, intrecciate in maniera incredibile, dei protagonisti di quella rivoluzione culturale, nella Germania degli anni Venti, in tempi di crescente ammirazione per il buon gusto e la bella vita, la scuola del Bauhaus punta l'attenzione sull'artigianato, la funzionalità e il design. Una rivoluzione che sembra inizialmente destinata al fallimento, sia per l'assoluta mancanza comunicativa del suo ideatore, sia per la difficile convivenza di quest'idea così rivoluzionaria dentro schemi ben congegnati e molto classisti, quali quelli dell'accademia dell'epoca furono. Anche Ise Frank, appena ventiseienne, quando per la prima volta sente parlare Gropius, all'Università di Hannover, non ne resta granché affascinata:

«Ho definito Bauhaus la casa che si occupa di costruzioni. Molto semplice» rispose; poi cercò altre mani alzate, a segnalare che per lui l'argomento era chiuso. Era tornato padrone della situazione, dopo aver tentato senza successo di vendere con marcata modestia accademica la sua idea di Bauhaus come un gioco di costruzioni. (p. 10)

Da quel primo incontro, che avviene per caso, nel maggio del 1923, visto che Ise si trova lì per far contenta l'amica Lise, passeranno alcuni mesi e il 15 agosto Ise verrà invitata come giornalista accreditata a seguire l'inaugurazione della prima mostra del Bauhaus a Weimar. Il concetto di fondo di quest'uomo visionario, Walter Gropius, conosciuto da tutti e persino da sua madre solo come Gropius, è quello di fondare una scuola di architettura, dove arte e artigianato si incontrino, in un nuovo linguaggio legato alla produzione industriale e che strizzi l'occhio al design. Nell'ottobre dello stesso anno Ise sposerà Gropius e soprattutto il progetto del Bauhaus, a tal punto da diventarne, per tutti, la signora Bauhaus.


Attraverso una narrazione incalzante, illuminata da alcune figure storiche, romanzate in alcuni tratti, come la stessa autrice ci confessa, anche il lettore si appassiona alle vicende di questa scuola, a come riuscì ad attrarre illustri artisti tra le sue fila, tra cui Klee, Kandiskij, Schlemmer, Breuer, Bayer. Jana Revedin ci conduce attraverso le sale in cui nascevano le sedie, in cui i metalli si piegavano e diventavano elementi d'arredamento, ma anche attraverso le nevrosi e le difficoltà della coppia, l'unione intellettuale che prende il sopravvento su quella amorosa, i rapporti di amicizia che sembrano vitali e si perdono per una leggerezza. 


Su tutto mette la sua parola anche la grande Storia, quella che vedrà l'avanzare del pensiero nazista, che farà chiudere la scuola per mancanza di fondi, che renderà pericolose le idee e difficile l'imparzialità. Il Bauhaus ad un certo punto sembra fallito, ma lo ritroviamo di nuovo pronto a decollare oltreoceano, grazie alla forza creatrice di donne straordinarie, che si accontentarono di essere tessitrici di un progetto, e pronte anche a fare un passo indietro per il bene di quello stesso progetto che avevano realizzato, prima ancora che nei fatti attraverso le parole, e di cui Ise Frank è in assoluto una rappresentante indiscussa, troppo a lungo dimenticata.


Samantha Viva







Una lezione entusiasmante (e comprensibile) di matematica: "1+1 non fa (sempre) 2" di John D. Barrow

john barrow 1+1 non fa sempre 2


1+1 non fa (sempre) 2
di John D. Barrow
Il Mulino, 2020

pp. 128
€ 13,00 (cartaceo)
€ 9,48 (ebook)


Il 26 settembre 2020, lo scrittore inglese John D. Barrow muore a soli 67 anni. Ha da poco completato il suo ultimo libro, 1+1 non fa (sempre) 2 (edito dal Mulino), registrando un breve video di saluto, in cui sintetizza il suo pensiero di ricercatore e scienziato. Barrow è stato docente di matematica presso l’Università di Cambridge, e durante la sua vita ha notevolmente contribuito alla diffusione del sapere scientifico, pubblicando un nutrito numero di libri e articoli divulgativi dedicati al grande pubblico. Nonostante l’apparente complessità della materia trattata, si pensi ad esempio a “Le origini dell’universo" (Ed. Rcs Libri, 1995), “Dall’io al cosmo - Arte, scienza, filosofia” (Raffaello Cortina Editore, 2000) o “Teorie del Tutto. La ricerca della spiegazione ultima” (Ed. Adelphi, 1992), solo per citarne alcuni, Barrow ha magistralmente saputo creare un proprio stile di comunicazione, in grado di snocciolare argomenti accademici di grande valore per la conoscenza collettiva e l’esistenza umana.

Peter Cunningham, l'Irlanda, l'amore, la Storia: due romanzi di una premiata quadrilogia

Peter Cunningham Le conseguenze del cuore Il mare e il silenzio



Le conseguenze del cuore
di Peter Cunningham
Sem, 2019
Traduzione di Laura Grandi

pp. 432
€ 18 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)



Il mare e il silenzio
di Peter Cunningham
Sem, 2020

Traduzione di Laura Grandi

pp. 225
€ 17 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

Se mi venisse chiesto che cosa, ammesso che esista, io abbia fatto bene durante quegli anni, a voler essere onesto dovrei rispondere: ho amato una donna. (Le conseguenze del cuore, p. 251)
Da qualsiasi punto si scelga di osservare Le conseguenze del cuore e Il mare e il silenzio, due dei romanzi della quadrilogia di Peter Cunningham finora pubblicati in Italia, il centro nevralgico a cui ogni cosa si riconduce è essenzialmente uno: l’amore. Nella miriade di tematiche, storie e personaggi, spunti di riflessione con cui siamo chiamati a confrontarci, il fondamento della narrazione di Cunningham, tra i più importanti autori irlandesi contemporanei, è la complessità dell’amore e le varie forme che questo può assumere. L’amore conteso per una donna, l’amore perduto, l’amore assoluto per un figlio, l’amore per l’Irlanda: sono tutte forme di un sentimento viscerale, che l’autore pone al cuore della narrazione, da cui si irradiano innumerevoli altri spunti a comporre una storia che talvolta soffoca il lettore per la sovrabbondanza di personaggi, tematiche e micro narrazioni come nel caso del primo romanzo, Le conseguenze del cuore, o capace di vibrare e farsi lirica e potente quando ritrova una maggior essenzialità e tensione narrativa costante, come accade invece ne Il mare e il silenzio, di più recente pubblicazione. 

Volendo ricondurre all’essenziale il primo romanzo, potremmo dire che il nucleo della narrazione è Rosa Bensey e il suo amore conteso fra due uomini, due amici, Jack Santry e Chud Conduit: un legame indissolubile, non convenzionale, appassionato, definito anche dal peso delle scelte fatte quando erano ancora ragazzi, dalla colpa e dai segreti che custodiscono. L’idillio dura solo un breve momento, un tempo sospeso in cui sono giovani, innamorati, l’amore e l’amicizia a creare un legame che rifiuta regole, aspettative famigliari, differenze di classe. Un istante, poi ogni cosa va in frantumi. Un gesto definitivo, che segna per sempre le vite dei tre ragazzi, il segreto da proteggere a ogni costo. Poco dopo l’eco lontana del conflitto bellico si fa sempre più forte e sia Jack che Chud si ritrovano al fronte, gradi e aspettative diverse. La brutalità della guerra, lo sbarco in Normandia, la paura e il coraggio, la violenza indescrivibile della guerra che non smette mai di tormentare chi è tornato a casa.
Quel giorno la morte noi l’abbiamo attraversata. Era accampata sulle spiagge. Siamo sbarcati, ci siamo passati attraverso e siamo usciti dall’altra parte. O almeno alcuni di noi. (Le conseguenze del cuore, p. 173) 
Ancora una volta, un gesto a definire il resto delle loro vite, un altro segreto che non dovrà mai essere rivelato, nemmeno per salvarsi, nemmeno decenni dopo quel giorno. Il ritorno alla vita civile, i fantasmi del passato a tormentarne l’esistenza, il sentimento mai mutato per Rosa e l’amicizia che nonostante tutto lega Jack e Chud, attraversa decenni di narrazione in cui seguiamo le storie di tre ragazzi farsi adulti, sposarsi, tradire le proprie aspettative di felicità, allontanarsi per poi ritrovare ogni volta il modo di tornare. Cunningham costruisce ne Le conseguenze del cuore un romanzo che ha il sapore della saga, costringendo purtroppo la narrazione a quest’unico volume – come si diceva, infatti, il romanzo seguente non ne è il proseguio – in una sovrabbondanza che ci sposta dal centro nevralgico della storia e, talvolta, finendo per trattare solo superficialmente elementi o tratti dei personaggi che meriterebbero un maggior approfondimento. Ma se riusciamo a concentrare l’osservazione alla parte più essenziale della storia, si rivela al lettore un romanzo vibrante di vita e passione.

Ed è all’amore, come si diceva, che ogni cosa può essere ricondotta. Per una donna, Rosa, per un amico da proteggere, per il proprio paese. Da qualunque lato lo si osservi, quindi, l’universo letterario di Cunningham è incentrato sulle infinite declinazioni di un sentimento e si intreccia alla Storia, dell’Europa devastata dal conflitto bellico della seconda guerra mondiale e, soprattutto, dell’Irlanda. 

L’Irlanda che, prima ancora di essere luogo è sentimento. Cunningham evoca luoghi con ricchezza di dettagli capaci di farli vibrare sulla pagina e li carica di intensa drammaticità nel ricostruire momenti salienti della storia recente del paese, dagli anni Trenta alla fine del Novecento.
«A volte credo che l’unica speranza sia lasciare l’Irlanda. Andare il più lontano possibile e amare il mio paese a distanza». (Il mare e il silenzio, p. 172)
La Storia, l’Irlanda, sono ancor più determinanti nel definire le vite e le scelte dei protagonisti del secondo romanzo ambientato ancora una volta nella fittizia cittadina di Monument – costruita su immagine Waterford, luogo d’orgine dell’autore, nel Sud-est del Paese – , Il mare e il silenzio. I nomi dei Santry, di Chad e della sua famiglia d’origine, sono sullo sfondo, fanno capolino qui e là sulla pagina, ma l’occhio del narratore è tutto rivolto verso Iz, protagonista di una storia in cui Cunningham ritrova una dimensione più circoscritta ed efficace. Meno personaggi o storie secondarie, meno dettagli che distraggono dal cuore del racconto; una narrazione più concentrata che non mira a rappresentare una vita intera, un mondo intero, ma si focalizza su aspetti e momenti di particolare rilevanza, lasciando efficacemente alcune zone in ombra, non-narrazioni.
Tranne per le compere in città, la si vedeva di rado, aveva pochi amici. Era come se, a soli ventitré anni, avesse vissuto la parte più importante della sua vita prima di arrivare a Monument. (Il mare e il silenzio, p. 113)
E la Storia, si diceva, influenza profondamente la vicenda personale, determinando le scelte della protagonista, che Cunningham intreccia mantenendo costante tensione narrativa. Nello svelamento progressivo di Iz, mentre scopriamo una pagina dopo l’altra il cuore di una donna ancora una volta fiera, indipendente, appassionata, mentre capiamo le ragioni del suo tormento e della solitudine che ben si sposano con la cittadina sul mare in cui si è trasferita al seguito del marito, scopriamo le lacerazioni di un paese diviso da contrasti sociali e passioni politiche, desiderio di indipendenza dall’Inghilterra, violenza, cospirazioni.

Corrono fra un romanzo e l’altro molti dei temi cari all’autore: da un lato le contraddizioni della società anglo irlandese e la decadenza dei proprietari terrieri, il richiamo della guerra, le incidenze della Storia nelle scelte del singolo, l’Irlanda come un sentimento complesso e mutevole; dall’altro il ritratto intimo e vividissimo di uomini deboli, meschini a tratti, manchevoli e molto spesso inadatti, di donne per contro mosse da passioni brucianti, dal desiderio di indipendenza, fiere, di tradizioni e aspettative famigliari cui è difficile sottrarsi, di convenienze e ruoli da interpretare, matrimoni inquieti. Ancora una volta, anche ne Il mare e il silenzio, sono segreti custoditi con cura, scelte da cui non è possibile tornare indietro, strappi brutali in un’esistenza.

Leggere Cunningham ci riporta a una tradizione letteraria ben definita, che affonda le radici nelle grandi narrazioni del secolo scorso e riporta sulla pagina un mondo che non esiste più con la straordinaria capacità evocativa di un narratore esperto. Non inventa mondi, ma riporta in vita ciò che è scomparso, riuscendo comunque a dialogare con la contemporaneità per mezzo di sentimenti, passioni, eredità storiche che trascendono il tempo e lo spazio. È in questo a mio avviso che risiede la forza primaria di queste storie, due romanzi indipendenti ma come si è visto accomunati da qualcosa di più della semplice ambientazione, non privi di difetti, e resi sapientemente dalla traduzione di Laura Grandi che fa i conti con un universo creativo ricchissimo, ora scarno ora lirico e vibrante.
E l’amore, ancora, le sue infinite sfumature, le sue colpe, le sue verità, il mistero che rappresenta, centro assoluto della narrazione.

Debora Lambruschini 

#PagineCritiche - L’organizzatrice di giuochi amorosi. "La Sanseverino. Giochi erotici e congiure nell'Italia della Controriforma" di Gigliola Fragnito

recensione la sanseverino


La Sanseverino 
Giochi erotici e congiure nell'Italia della Controriforma 
di Gigliola Fragnito 
Il Mulino, novembre 2020 

pp. 216
€ 24,00 (cartaceo)
€ 16,99 (ebook) 



Tessuti pregiatissimi di dame ondeggiano maliziosi sfiorando i corpi finemente vestiti dei cavalieri, bramosi di una serata inobliabile, seppur fugace. La festosa musica accompagna la concitazione della corte bon vivant di Alfonso d’Este II, dove i convitati sono intenti a prender parte agli spassi insoliti del rinomato Carnevale ferrarese «nel clima del tardo Rinascimento, in una corte che aveva creato il romanzo cavalleresco» (p. 49). Giuochi, quintane, tornei e improvvisate baldorie confondono i ruoli di genere, «a una partita di calcio cui parteciparono gentildonne e gentiluomini, o ancora a un ballo in cui metà delle dame era travestita da uomini conhabito in parte succinto”» (p. 55). Tuttavia, tra beffe e burle gli occhi sono rivolti alla bellissima e inviolabile figura della contessa di Sala, Barbara Sanseverino Sanvitale, signora di Colorno, donna di grande charme, «la più bella e più fresca che mai» (p. 53), insaziabile di banchetti, balli, bevute e licenziosità altrui. 

Nata nel 1550 o 1551 a Milano, discendente di una delle più illustri famiglie del Regno di Napoli – protetta da Ottavio Farnese, secondo duca di Parma – prima sposa del duca Gilberto Sanvitale, da cui successivamente richiederà l'annullamento del matrimonio per consanguineità, poi consorte del conte Orazio Simonetta, Barbara Sanseverino è di indole frivola e con «la propensione a gettarsi dietro le spalle angosce pene e ad annegarle negli svaghi» (p. 26). 
A presentarci l’astro indiscusso di stravaganze e intrighi di corte, donna di grande intelligenza, cultura e spregiudicatezza, la quale ispirò la sensuale, generosa e intrigante duchessa Sanseverina, creatura dei coups de théâtre stendhaliani in La Certosa di Parma, è Gigliola Fragnito con uno studio appassionato e meticolosamente documentato, pubblicato da Il Mulino: La Sanseverino. Giochi erotici e congiure nell'Italia della Controriforma. 

Napoli brucia: cercare il sesso, l’amore e la propria identità ne “Il primo che passa”, l’esordio letterario di Gianluca Nativo

gialuca nativo il primo che passa mondadori


Il primo che passa
di Gianluca Nativo
Mondadori, gennaio 2021

pp. 216
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Non sempre è facile trovare il modo per capire chi siamo. C’è chi lo capisce grazie alle proprie passioni, chi invece attraverso le proprie emozioni; c’è chi lo sente sulla sua pelle, chi dentro la propria testa; c’è chi lo capisce condividendo paure intime con i propri affetti, chi invece preferisce la solitudine per una rivelazione esistenziale. C’è chi decide di ignorare la questione e vivere spensieratamente, e chi al contrario ci riflette per tutta la vita, senza mai trovare un’adeguata risposta. Poi c’è chi, invece, preferisce affidare se stesso al primo che passa per strada, cercando nel corpo dell’altro la propria immagine, in modo tale da poter rispondere, attraverso il riflesso altrui, alla più difficile delle domande: chi sono io?

Ogni volta che si parte, si cerca sempre la strada del ritorno: "La fortuna di Finch" di Mazo de la Roche

La fortuna di Finch di Mazo de la Roche

 
La fortuna di Finch
di Mazo de la Roche
Fazi editore, gennaio 2021
 
Traduzione di Sabina Terziani
 
pp. 508
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 


Immaginò di essere una foglia che aveva attraversato l'oceano trasportata dal vento per ritrovare le sue radici. Qui, in Inghilterra, era nato suo nonno, il capitano Whiteoak; qui era nata sua madre, figlia di un giornalista londinese perennemente al verde, la quale, alla morte del padre, si era chiesta come sarebbe sopravvissuta, e poi aveva deciso di partire per il Canada, per lavorare come governante. Finch era per quarti inglese; il quarto restante era arrivato come un vento di tempesta da ovest, dall'Irlanda, e si era incarnato nella impetuosa personalità della nonna. (p. 152)
Finch è ormai arrivato ai ventuno anni, età in cui potrà entrare in possesso dell'eredità che gli è stata lasciata, con somma sorpresa di tutto il clan Whiteoak, dalla nonna. Il risentimento intorno al ragazzo, già non il favorito in seno alla famiglia, è grande, a volte mascherato, ma sempre presente. Un giovane con disponibilità finanziarie così ampie può solo provare a godersi un po' la vita e fare un grand tour come si deve nella vecchia Inghilterra, dove affondano le radici della famiglia, e approfittare dell'ospitalità della zia Augusta, che già ha in mente piani matrimoniali molto ben definiti. 
Jalna si trova quindi svuotata: Finch, accompagnato dagli zii, salpa per il vecchio mondo. Eden, ripudiato dalla famiglia, compone poesia in giro per il mondo. Maggie, felicemente accasata, regna sulla casa Vaughan. Renny, al comando della famiglia e ormai sposato con Alayne, cerca di bilanciare il matrimonio con i suoi doveri e il suo stile di vita. Wakefield, da bambino impertinente, si trasforma in un adolescente un po' sopra le righe, mentre Piers e Pheasant crescono la nuova generazione di Whiteoak destinata a riempire i vuoti che si sono creati intorno alla grande tavola. 
Se un tempo la famiglia traeva forza dalla stabilità e dal rifugio sicuro dato dall'imponente Jalna, con il terzo capitolo della saga di Mazo de la Roche assistiamo a uno sparpagliarsi dei personaggi, determinati a prendere il volo rispetto alle mura della tenuta. Tanti dei protagonisti sembrano pronti ad andarsene, senza rendersi conto che ogni allontanamento ha già in sé il germe del ritorno.

#IlSalotto - Quando l'amicizia si trasforma in magia. Torna in libreria "Io non ti lascio solo" di Gianluca Antoni.

 

Gianluca Antoni


io non ti lascio solo gianluca antoni
Due anni fa, era il 24 settembre 2018, mi arrivò un pacchetto con un libro. In prima pagina una frase, scritta a mano: "A Sabrina, con l'augurio che la magia di Filo e Rullo l'accompagnino non lasciandola sola. Buona lettura!". Firmato Gianluca Antoni.
Che un romanzo arrivi con la dedica dell'autore è già qualcosa che si fa apprezzare, rende il libro insostituibile e profondamente tuo. Denota un pensiero, un'attenzione. Ma volete crederci? La profezia dell'autore si è avverata. A distanza di due anni la magia di Filo e Rullo, i due ragazzini protagonisti del romanzo "Io non ti lascio solo", non mi ha più abbandonata. Sì, perché il romanzo di Antoni, una volta letto, non si dimentica, fa parte del tuo immaginario, del tuo bagaglio di lettore. Quante volte a distanza di qualche anno, o addirittura qualche mese, non riusciamo più a ricordare perfettamente come finisce un libro o come si svolge la trama. Ecco, con questo romanzo non può capitare. E tornando al momento della lettura, si rivive il brivido provato allorché....  e qui mi fermo perché il piacere della scoperta sarà tutto di chi sceglierà di lasciarsi ammaliare dalla storia. Dell'immaginario incredibile di questo libro, si sono resi conto anche i responsabili della casa editrice Salani, che hanno deciso di dare alle stampe una nuova edizione del romanzo, pubblicato due anni fa in occasione della vittoria al torneo letterario IoScrittore. E allora, proprio oggi, in occasione, della nuova uscita in libreria di "Io non ti lascio solo", abbiamo incontrato, virtualmente, l'autore, Gianluca Antoni per un'intervista. Se poi volete leggere la recensione di Critica Letteraria cliccate qui.

"Ora che eravamo libere" è l'intenso memoir della Roosenburg che ci racconta cosa succede dopo la liberazione da un campo di concentramento

ora che eravamo libere

Ora che eravamo libere
di Henriette Roosenburg
Fazi, gennaio 2021


Traduzione di Arianna Pelagalli

pp. 276
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Questo intenso memoir ci racconta uno dei momenti meno noti dell’orrore dei campi di concentramento tedeschi, ovvero il destino che toccò in sorte a coloro che sopravvissero e cosa avvenne dopo la liberazione, nella lunga marcia vero casa. Nel caso di Henriette Roosenburg, olandese e scampata alla condanna a morte per ben tre volte, si tratta di un viaggio che è una lento e faticoso riappropriarsi della propria identità, prima ancora che della propria libertà.
Il viaggio della Roosenburg, che venne catturata all’età di 26 anni, quando era ancora una studentessa di Lettere, avvenne per la sua attività come staffetta partigiana prima e giornalista poi; nel 1944 fu catturata, imprigionata nel carcere di Waldheim in Sassonia e condannata a morte. Nel maggio dell’anno successivo, venne liberata assieme ad altre sue compagne di prigionia, e da lì iniziò un lunghissimo viaggio attraverso una Germania devastata dal conflitto, dove era difficile comprendere come gli sconfitti, un tempo padroni della sua vita e di quella degli altri prigionieri, potessero avere sentimenti così ambivalenti nei confronti degli ex prigionieri, alcuni sinceramente pentiti ed afflitti per la loro sorte ed altri ancora saldamente fedeli al regime.
Mentre mi stringeva la mano disse: «Noi tedeschi vi abbiamo fatto molte cose di cui non riusciremo mai a farci perdonare». Quella frase mi mise a disagio. Ricordavo quel che avevo detto a Joke rispetto alla donna con i capelli rossi e alle sue figlie, e da quando eravamo state liberate i tanti tedeschi gentili che avevamo incontrato mi avevano convinta che non fossero tutti perfidi come i soldati intransigenti, i crudeli uomini della Gestapo e le spietate guardie carcerarie che ci avevano sottomesse nei cinque anni di occupazione dell'Olanda. Però facevo fatica a non considerare i tedeschi come nemici. (p 152)
La decisione di pubblicare questa sua esperienza arrivò nel 1957 e grazie all’immediato successo presso i lettori americani, la Roosenburg riuscì a raccontare cosa succedesse in seguito alla Nacht und Nebel, la terribile direttiva emessa nel dicembre 1941 da Adolf Hitler volta a perseguitare, imprigionare e uccidere tutti gli attivisti politici invisi al regime nazista.
Il trattamento poteva cambiare a seconda dei casi anche dopo il processo ufficiale. A volte i condannati a morte venivano prelevati dalla prigione il mattino dopo la sentenza, all’alba, e giustiziati nelle vicinanze. Altre volte venivano sbattuti nel cosiddetto gruppo “Nacht und Nebel” (‘Notte e Nebbia’), soprannominato “NN” sia dalle guardie che dai prigionieri, e sballottati da una prigione all’altra, sempre più lontano dal fronte. I quattro protagonisti di questa storia appartenevano al gruppo degli NN. (p. 11)
Insieme alla giornalista c’erano infatti anche altre due donne, Nell e Joke, e un uomo, Dries. A colpire, oltre alla lucidità del racconto e alla resistenza dei protagonisti nell’affrontare prove sempre più dure, in nome della propria salvezza, è la volontà di far capire quanto amore si possa nutrire per la libertà, una libertà che risiede nelle piccole cose, che può dipendere anche da uno scambio andato a buon fine, tra uomini e donne che hanno vestito panni diversi sullo scenario della Storia, ma anche la solidarietà forte che lega chi ha vissuto esperienze terribili e la capacità di fare di tutto per non abbattersi, mai, fino ad arrivare all’ultimo momento, quello in cui si scopre se le persone che abbiamo lasciato a casa sono ancora vive e ci stanno aspettando, e finalmente sciogliersi in un abbraccio liberatorio. Una delle testimonianze più autentiche e sincere di un orrore che nessuno può dimenticare, e che nonostante tutto ci regala un grande senso di amore per la vita e per la libertà.

Samantha Viva

Quando la salvezza si costruisce insieme: per la Giornata della Memoria, la testimonianza di Ada Ottolenghi

 
Ci salveremo insieme
di Ada Ottolenghi
Il Mulino, 2021

pp. 180 
€ 15,00 (cartaceo)
€ 10,49 (ebook) 


Fa bene leggere, per la Giornata della Memoria, una narrazione come quello di Ada Ottolenghi, recentemente edita da Il Mulino. Si tratta di uno scritto dal forte carattere personale, una storia di famiglia, come rivela anche la dedica iniziale alla nipote Raffaella, in seguito estesa a quelli nati successivamente. L’istanza è fortemente testimoniale: Ada avverte, come molti altri ebrei che hanno vissuto in prima persona gli anni terribili della seconda guerra mondiale, il pericolo rappresentato dal tempo che scorre, dalla sparizione progressiva di tutti i superstiti, dai racconti che alle nuove generazioni appaiono sempre più lontani, forse vaghi. È allora fondamentale che si crei un filo rosso, diretto, che lega i padri ai figli, i nonni ai nipoti, nella trasmissione di quel che è stato: “sono [...] sicura che tanti orrori non devono essere stati invano e che la tua generazione debba conoscerli ancora direttamente da quelli che li hanno vissuti” (p. 19). Solo così i più giovani potranno accogliere il senso etico e i valori di chi li ha preceduti, farsene eredi; ricordare ogni giorno che “val la pena di essere onesti e dignitosi e fieri di mantenersi ebrei in mezzo a tante traversie” (p. 19).
Uno degli aspetti peculiari dell’opera è la sua cifra di positività, la forza che emerge dalla narrazione. Il titolo stesso è un inno alla speranza: “ci salveremo”, con la promessa solida, rassicurante, dell’indicativo futuro, e “insieme”, con un riferimento non soltanto alla unitissima famiglia della protagonista, ma anche a tutte le persone amiche, che con generosità gratuita aiutano gli Ottolenghi a “passare immun[i] attraverso tutte le persecuzioni e gli agguati” (p. 19).
È Guido l’anima del gruppo, il pilastro che sorregge Ada nei momenti di difficoltà, con il suo carattere aperto e sicuro, la sua capacità di entrare in relazione con gli altri e farsi voler bene; con lui anche la fede è “così bella, così semplice” (p. 32), mai messa in discussione. Guido è quello che reagisce con determinazione agli imprevisti e che non ha rimpianti: non avrebbe voluto, lui, rifugiarsi in America come il fratello: “lui voleva essere sul campo” (34), rendersi utile, far qualcosa per l’Italia restando al cuore degli eventi. Al contempo Ada è madre e moglie accudente, mai arresa, pronta a forzare il proprio carattere più mite quando serve una risoluzione decisa.
Degli eventi vissuti dalla famiglia Ottolenghi negli anni della guerra, ma soprattutto dopo l’8 settembre 1943, viene data una lettura retrospettiva, analitica, che non vuole solo presentare gli eventi nella loro successione storico-cronologica, ma anche riesaminarli alla luce delle scelte fatte e dei principi che costituivano i fondamenti di queste scelte:
Che cosa ci guidò? Chi fece da invisibile guida ai nostri passi? Io penso ora che sulle nostre decisioni sempre pesarono tre idee fondamentali che erano dentro di noi: quella di separarci il meno possibile e di correre tutti insieme gli stessi pericoli; quella di non venir meno alla nostra fede ebraica e, possibilmente, di non nasconderla; e quella di poter contribuire in qualche modo alla lotta che gli antifascisti conducevano per riportare l’Italia alla libertà e con questo gli ebrei alla vita. (p. 52)

Desta grande interesse alla lettura la luce che viene gettata sulla condizione degli Ottolenghi in quanto ebrei italiani, per lo più accolti e sostenuti da amici e conoscenti, ma anche da perfetti sconosciuti, durante il loro tentativo di sfuggire alle persecuzioni. Lo ripete spesso Ada, a mostrare e a rievocare una realtà di profonda umanità, tanto più importante nei tempi della confusione e della violenza dilagante: “ma come, dove saremmo andati con le nostre carte d’identità su cui era stampato razza ebraica? Chi ci avrebbe aiutato? TUTTI ci aiutarono” (p. 63).
Il senso di pericolo provato dai protagonisti, e di conseguenza la gratitudine nei confronti della gente buona che li supporta mettendo a rischio la propria vita, cresce di pari passo con la progressiva presa di coscienza di cosa sta succedendo agli ebrei nelle parti d’Italia ancora in mano ai tedeschi, o in cui sono entrate in vigore le leggi repubblichine. Il volume si fa dunque opera della memoria in duplice senso: memoria di eventi che non possono essere dimenticati, ma anche memoria di donne e di uomini che, pur non essendo nati eroi, non si tirano indietro di fronte alla necessità del prossimo.
Il momento di svolta della narrazione è la decisione improvvisa e spiazzante di lasciare la pacifica Cotignola, rifugio accogliente durante i mesi invernali del ’43 e ormai resa lieta dalla primavera, per raggiungere la capitale in vista di un ormai prossimo arrivo degli Alleati.
Quello che deve condurre gli Ottolenghi a Roma è un viaggio della speranza, la speranza folle e un po’ incosciente di chi vuole essere libero il prima possibile, anche a costo di rinunciare a un posto apparentemente sicuro per affrontare l’azzardo di un percorso a tappe forzate dalle molte incognite. L’unione rimane durante i giorni di angoscia la forza degli Ottolenghi e della buona Marie, che condivide le loro sorti per antica lealtà pur avendo l’alternativa di una salvezza facile, approfittando del proprio nome “ariano”. Solo la fede in Dio è superiore alla fiducia che i fuggitivi hanno l’uno nei confronti dell’altro, ed entrambe sono determinanti per la salvezza.
Nella narrazione intensa di Ada, Roma diventa presto meta e simbolo di una possibile, sempre sperata liberazione: e quello che per l’Italia tutta è il preludio alla rimozione di un giogo sempre più insopportabile, per la famiglia dei protagonisti è anche la possibilità di tornare ad appropriarsi orgogliosamente della propria identità, di poterla finalmente proclamare a gran voce dopo il tempo dei sotterfugi. Di poter, anche e soprattutto, rendere grazie per tutto l’aiuto ricevuto.
 
Carolina Pernigo



Con «gli aquiloni nei cassetti», quando una colazione è una finestra sul mondo: "Breakfast on tour" di Giacomo Alberto Vieri

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Breakfast on tour – a colazione nessuno è straniero
di Giacomo Alberto Vieri
Illustrazioni di Elisa Puglielli
Firenze, Clichy, 2021

pp. 200
€ 15,00 (cartaceo)


Quando sentite la parola colazione, cosa vi viene in mente? Ebbene, ognuno di voi avrà una risposta diversa, a seconda delle abitudini e dello stile di vita di ognuno: c’è chi non rinuncia ad una tazza di latte fumante, chi preferisce iniziare la giornata con un po’ di the e ancora chi non sa dire di no ad una parentesi dolce, assieme ad un caffè nero ben caldo. La lista potrebbe continuare all’infinito e non solo perché questo pasto, universalmente conosciuto come essenziale per il fabbisogno energetico giornaliero, rispecchia i gusti dei singoli, ma anche la cultura di provenienza. Pensiamo ad esempio ai pancakes anglosassoni, alle uova accompagnate da una fetta di bacon delle terre d’oltralpe o ancora agli svedesi cinnamon rolls, e così via. Insomma, il cibo è davvero parte integrante della cultura di un popolo e specchio della sua storia: lo sa bene Giacomo Alberto Vieri, fiorentino, laureato in sociologia all'Università di Pisa e giornalista freelance. Curatore del blog Generazione di fenomeni per La Repubblica Firenze, potete leggerlo su Lungarno e Icon, oltre che ascoltarlo su Novaradio, col programma #Maipartiti

Siamo a Firenze, anno 2016, Vieri esce da un colloquio di lavoro, un bivio, mille vite da vivere, quale strada prendere, quale biglietto staccare?

«E insomma tutti quanti, voialtri, in quell’anno domandavate: E insomma? E le motivazioni le lasciavo ovunque, come sabbia in casa dopo una giornata al mare: minuscole, eppure fastidiose, erano. […] E così, se chiudo gli occhi, sempre fermo al 2016, passo al setaccio un paio di sistemazioni di fortuna, camere umide, in centro, che riempivo di libri Faulkner e polaroid tagliate a metà.» (p. 12)

Scrivere per avvicinarsi sempre più alle sfumature dell'esistenza: "Sparare a una colomba" di David Grossman

 

David Grossman Sparare a una colomba


Sparare a una colomba
di David Grossman
Mondadori, 2021

Traduzione di Alessandra Shomroni

pp. 144 
17,00 € (cartaceo) 
9,99 € (ebook)

Nel momento in cui comincio a scrivere non sono più paralizzato dinanzi all’arbitrio – qualunque tipo di arbitrio –, e situazioni che mi sembravano eterne, assolute, monolitiche – quasi condanne celesti, o umane – rivelano nuove sfumature. Riesco a muovermi con una certa libertà dinanzi a ciò che in precedenza, per paura o disperazione, mi impietriva. Non sono più una vittima. (p. 28)

 

Non è facile stabilire nel mondo contemporaneo cosa significhi davvero essere uno scrittore impegnato. La definizione stessa di "impegno", che risuona forte e chiara in alcuni modelli di letterati otto e novecenteschi in prima linea nella lotta civile e nel racconto di cause e fedi politiche, diventa più cangiante e inafferrabile oggi.
È un'etichetta che - per non diventare appunto solamente un'etichetta - ci richiede dei distinguo necessari in un mondo in cui la stessa nozione di guerra non ha più un significato univoco ma ingloba tante forme diverse di privazione, oppressione, illibertà.  
David Grossman è uno scrittore impegnato. Non perché la sua letteratura sia rigidamente legata all'espressione di una causa e di una lotta esterna, ma perché i suoi natali e le esperienze di vita in Israele l'hanno reso sin da subito, come lui stesso si definisce, "un colombo viaggiatore della Shoah".
La presenza di Grossman sulla scena internazionale è ormai nota e apprezzata in tutto il mondo. Esce adesso in libreria Sparare a una colomba, una raccolta di saggi su temi politico-civili e discorsi che l'autore ha tenuto in occasioni istituzionali di rilievo per trattare i temi chiave della sua opera dialogando con il suo popolo e con tanti altri, con i capi di stato e con gli artisti, con i giornalisti e gli studenti. 

Raccontare la storia romanzando, ma senza inventare: "Potenza e bellezza. Cronache da Roma e da Parigi" di Elido Fazi

  

Elido Fazi potenza e bellezza


 Potenza e bellezza. Cronache da Roma e da Parigi (1796-1819)
 di Elido Fazi
 Fazi Editore, gennaio 2021

 pp. 431 
 € 20 (cartaceo)
 € 9,99 (ebook)

 


Non è facile raccontare la Storia, ma soprattutto non è facile raccontarla entrando nella psicologia dei personaggi che l’hanno fatta – come Napoleone Bonaparte, Costantino, Monaldo e Giacomo Leopardi – entrare nelle loro case, famiglie, scegliere con loro una moglie e provare un sentimento alla sua vista. Ecco che, quando un autore fa questa operazione, nasce un romanzo storico che insegna senza essere manualistico, che racconta la Storia, romanzando, ma senza inventare. 

È il caso di Potenza e bellezza. Cronache da Roma e da Parigi (1796-1819), l’ultimo romanzo dell’editore e scrittore Elido Fazi, pubblicato nella collana “Le strade” da Fazi Editore; romanzo storico dove viene ricostruito un periodo decisivo per la Storia d’Italia e d’Europa, con la rigorosità e la chiarezza tipiche delle cronache, genere che segue un criterio cronologico, anno per anno appunto, riportando gli eventi storici di un Paese o spesso delle vite di nobili. Nello specifico, in Potenza e bellezza si narrano i fatti che vanno dall’incontro tra Costantino e Monaldo a Bologna nel 1796 – anno anche dell’entrata in città di Napoleone – per combinare un matrimonio, fino a Waterloo e alla composizione da parte di Leopardi dell’Infinito nel 1819; due storie parallele che sfociano l’una nella Potenza e l’altra nella Bellezza.

Un salotto pieno di anime, un album pieno di ricordi: elaborare un'infanzia traumatica attraverso l'arte in “Album di famiglia” di Lorenza Mazzetti

Album di famiglia. Diario di una bambina sotto il fascismo di Lorenza Mazzetti


Album di famiglia. Diario di una bambina sotto il fascismo
di Lorenza Mazzetti
La nave di Teso, gennaio 2021

pp. 240 
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


È un segno di grande condivisione e intimità quando ad un ospite viene mostrato l’album di famiglia. È segno che si vuole far partecipare l’invitato ai propri affetti personali. Si sfogliano le fotografie, una alla volta, si spiegano indicando la situazione, il luogo, i protagonisti, e poi alla fine si commenta l’emozione del ricordo che queste procurano. Quando un ospite viene ammesso a visitare l’album vuol dire che il tesoro che sta nell’anima di quella famiglia viene esposto per essere ammirato. O forse, più semplicemente, per essere condiviso. Nel 2010 Lorenza Mazzetti presenta a Roma la mostra Album di famiglia. Diario di una bambina sotto il fascismo, composta da un’ottantina di quadri e testi che prendono le mosse dalla sua infanzia. Per ricordare il primo anno dalla scomparsa dell’artista, La nave di Teseo riedita i testi e i dipinti della mostra nell’omonimo libro. In Album di famiglia Mazzetti ci ospita nel salotto della sua intimità e ci fa l’onore di raccontare la storia della sua famiglia, mettendo a nudo i ricordi, le emozioni e le vicende della fanciullezza. Lorenza (Lori) lo fa con una grazia e un’innocenza che rende il racconto quasi una fiaba. Anche se non sempre le fiabe hanno un lieto fine. E così, in questa sorta di graphic novel ante litteram, Lorenza Mazzetti, disegnando e narrando, effettua un viaggio a ritroso nella profondità del suo passato.