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Il Salotto - L'identità come creazioni di se stessi: intervista a Catherine Lacey

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Elena Sassi con l'autrice, Catherine Lacey


Nel precedente libro di Catherine Lacey Nessuno scompare davvero avevo amato lo stile asciutto dell’autrice, le parole che mi avevano fatta sentire realmente affine alla protagonista, nonostante le fossi molto lontana sia per età che per situazione sentimentale.
Così, carica di aspettative, ho comprato Le risposte, (Ed. Sur - Traduzione T. Ciuffoletti).
Le prime pagine, scritte in prima persona, coinvolgono il lettore che entra nell’animo di Mary, la protagonista, una donna che vive sommersa da dolori e disturbi psicosomatici. Per stare meglio, decide di seguire alcune terapie piuttosto new age e molto costose. Pertanto, la possibilità di partecipare a un Esperimento remunerato spinge Mary ad accettare senza esitazioni. Kirt, un famoso attore, non riesce a vivere una normale vita affettiva di coppia, forse per colpa della sua notorietà e così decide di avviare un Esperimento Fidanzata, nel quale ogni donna svolge un ruolo a seconda del momento da vivere: sesso, romanticismo…
Nella seconda parte, l’io narrante cambia e diventa in terza persona. Un passaggio che mi ha lasciata perplessa, soprattutto perché, a mio avviso, porta a un allontanamento dal personaggio principale.
Nella narrazione, a tratti surreale, si resta sempre in bilico, come se mancasse qualche elemento per arrivare ad una conclusione che porta il lettore a chiedersi se davvero le emozioni possono essere pilotate. 
Interessante il fatto che, nonostante le donne siano impiegate in un “esperimento”, non ci sia nessuna forma di mercificazione o misoginia.

Ho incontrato l’autrice con la curiosità di trovare le risposte alle tante domande che mi sono venute nel corso della lettura.


L'esperimento del quale parli in un contesto italiano sembra totalmente assurdo, nel mondo americano lo è, oppure c'è una parte di vero? 
Sono contenta che sia percepito come assurdo, è quello che volevo, la mia intenzione era di scrivere una storia che fosse una fiction, una drammatizzazione della vita di tutti i giorni. L’idea del libro è nata da una serie di domande sulle relazioni, soprattutto sentimentali, e da lì, per dare stimoli di risposta, ho creato l’idea dell’Esperimento Fidanzata.

Soprattutto nella prima parte emergono problemi della protagonista verso le proprie origini. Quanto c'è di autobiografico? 
Innazitutto la mia provenienza geografica mi ha formata: io vengo dal Sud del Stati Uniti, una zona molto conservatrice. 
Non c’è nulla di strettamente autobiografico, ma ho assorbito quello che vedevo intorno a me. Le donne non sempre sono talmente libere e questo fa nascere molti problemi con la famiglia di origine, che talvolta, tarpa le ali allo sviluppo, alla vita, alla libertà del singolo.

Il tema dell'identità è una costante nei tuoi libri. Come mai questo tema ti é cosi caro? 
Sono da sempre interessata al tema dell’identità come creazione di se stessi. Non saprei dare una risposta razionale, ma so che farmi domande sull’identità, sul proprio io, mi spinge poi ad avere idee per scrivere.

Foto di Elena Sassi
Nei tuoi due libri lo stile è totalmente diverso, quasi come se gli autori fossero due; è una scelta voluta? Se sì, perché? 
Questa osservazione è molto azzeccata e mi piace che tu l’abbia notato. Nel primo libro la protagonista voleva provare a vivere senza l’aiuto di nessuno, voleva stare totalmente sola e questo ha influenzato il modo di parlare del personaggio e tutte le domande che direttamente o indirettamente si era posta. Nel secondo libro, ho iniziato in prima persona perché doveva essere l’anima della protagonista a parlare, poi si è reso necessario passare alla terza perché Mary non poteva più essere obiettiva, solo una scrittura in terza avrebbe consentito di raccontare in modo “esterno”. Inoltre lei era ignara di quello che le sarebbe successo, quindi la prima persona per me non sarebbe stata adatta.
Il linguaggio, in tutto il libro, è differente dal primo perché la protagonista qui è molto metodica, precisa, quindi ho utilizzato parole che potessero trasmettere questo suo modo di essere.

Cercare in se stessi la chiave di vita è, a mio avviso,  il messaggio principale del libro. Sei d'accordo? 
Sì, totalmente.  Ogni personaggio cerca di rispondere a questa domanda, analizzando la sua vita, ma non c’è una risposta “oggettiva”. L’importante è sempre interrogarsi e lo scopo del romanzo è appunto questo. Nel libro, infatti, non si trovano risposte, ma solo domande.

Quindi l'incertezza come chiave della felicità è il risultato della realtà contemporanea o, credi, sia sempre stato così?
Credo che sia sempre stato vero, la gente vive tra  paradossi e contraddizioni.
Le incertezze sono così tante che tutto può cambiare molto velocemente e se lottiamo contro ciò diventiamo infelici. Quindi, meglio non pensarci e vivere sereni nell’incertezza.

Se non fossi diventata, una scrittrice cosa avesti fatto?
Io non ho fatto altro che scrivere e se avessi fatto qualsiasi lavoro, giornalista forse, ma anche cuoca, avrei dedicato una parte importante della mia vita alla scrittura. 

Hai già qualche idea per un nuovo libro? 
Io penso sempre a un nuovo libro, ma non ho ancora nulla di organizzato, al momento. Ci sarà sempre il concetto d’identità, di qualcuno che riflette su se stesso, ma non so ancora se sarà un uomo o una donna.


Intervista a cura di Elena Sassi