in

Tanzio da Varallo, l'angelo che scese a piedi dal Monte Rosa

- -
L'angelo che scese a piedi dal Monte Rosa
di Alberto Paleari

MonteRosa Edizioni, 2016

pp. 212



Il nome di Tanzio da Varallo forse dirà poco a chi non è un appassionato o uno studioso di arte (sacra, in particolare), eppure le sue opere di scuola caravaggesca adornano un numero impressionante di chiese grandi e piccole in tutta Italia, dalla Valsesia alla Val d’Ossola, da Novara all’Abruzzo, a Roma, a Napoli. Alcuni lavori sono  esposti addirittura al Louvre e alla National Gallery di Washington.

L’angelo che scese a piedi dal Monte Rosa non è però un trattato sull’arte sacra: è piuttosto una sorta di romanzo-documento sulla vita di questo artista straordinario, nato nel 1578 con il nome di Antonio D’Enrico in quel di Alagna Valsesia, in seno a una famiglia di pittori e scultori cui le diocesi dell’Italia settentrionale commissionavano affreschi e statue per impreziosire chiese e oratori.

Il libro percorre la vita del protagonista fin dalla nascita, alternando capitoli in prima persona, in forma di ricordi del padre e dei fratelli di Antonio/Tanzio (il nome sarebbe un adattamento da D’Heinz, ossia D’Enrico in lingua walser) e dell’artista stesso, alternati a capitoli più narrativi, in cui l’uso della terza persona permette di abbracciare segmenti temporali più ampi, accompagnando il lettore nello scorrere della vita e nella formazione artistica e umana di Tanzio, spirito indomito e ribelle sempre alla ricerca del miglioramento e della perfezione, seguendo le orme - in senso metaforico ma anche letterale, geografico - di quel Michelangelo Merisi da Caravaggio, stella polare dell'artista valsesiano.


Sono tante le cose che si scoprono leggendo questo bel libretto, dalla descrizione di alcune delle opere più importanti alla narrazione di eventi storici quali la “guerra dei contadini” del 1524/26, le epidemie di peste, la dominazione spagnola in Italia. I fatti storici non sono però riportati con tono didascalico, sono piuttosto lo sfondo sul quale si stagliano i racconti dei protagonisti.

Ottimo il lavoro svolto da Paleari, che unisce una precisa e rigorosa ricerca delle fonti a una capacità narrativa che ancora una volta consente al lettore di immergersi in una storia affascinante e di indubbio interesse, sia nelle parti documentali sia in quelle più romanzate, chiaramente opera di fantasia che però conferiscono valore e leggibilità al libro.

Il libro presenta anche alcune fotografie in appendice, che nonostante il bianco e nero trasmettono in pieno la misura di questo artista così straordinariamente moderno e la profondità di alcuni dei suoi lavori più belli. Degna di nota è poi la postfazione, in cui Paleari espone la genesi del romanzo e racconta un curioso aneddoto riguardante il San Carlo Borromeo comunica gli appestati, capolavoro conservato presso la chiesa parrocchiale di Domodossola. L’autore riporta una lettera aperta da lui inviata alla stampa locale in cui lamentava la poca attenzione della città verso l’opera, relegata in un angolo buio della chiesa, e il successivo scambio di opinioni con due offesissimi e incolleriti cittadini, parabola che insegna agli ignari che stuzzicare gli Ossolani a casa loro, soprattutto da parte di uno "di fuori", è un’azione salubre quanto infilare una mano (o altro) in un nido di calabroni.

Buona lettura.

Stefano Crivelli