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Un libro per riscoprire Napoli camminando

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La pelle di Napoli. Voci di una città senza tempo 
di Pietro Treccagnoli
Cairo Editore, 2016

pp. 274
€ 15,00

La pelle di Napoli è uno di quei libri che si dovrebbero comprare insieme alla guida turistica quando si va a scoprire una nuova città, e leggere prima e durante il viaggio. L’autore è Pietro Treccagnoli, giornalista del Mattino e scrittore. Per il quotidiano napoletano ha scritto dei reportages su Napoli tra il 2014 e il 2015, che il Cairo Editore ha riunito insieme e pubblicato a maggio di quest’anno. Il titolo, che è un doppio omaggio a Matilde Serao (Il ventre di Napoli) e Curzio Malaparte (La pelle), poteva rivelarsi pericoloso proprio per la sua intrinseca ambizione. Rappresentare il ventre di Napoli è un’impresa destinata solo ai più grandi, non per niente il grande romanzo su Napoli è proprio il libro che la protagonista/scrittrice della tetralogia di Elena Ferrante teme con invidia che scriverà la sua geniale amica Lila, un progetto che solo lei avrebbe potuto intraprendere con successo.
Pietro Treccagnoli riesce ad attenersi a quanto il titolo si propone perché – ed è un grande merito – resiste alla tentazione di dominare la città con la sua voce. Si limita a camminare per le strade, e a lasciare parlare gli abitanti di Napoli, mostrando quindi la penna del cronista più di quella dello scrittore. Grazie al cielo per i lettori non c’è nessuna noiosa apologia della città amata e odiata, da cui ci si allontana per poi prevedibilmente esserne di nuovo attratti, ma solo la passeggiata di un giornalista attento. Il suo racconto-descrizione va oltre stereotipi e pregiudizi, e presenta al lettore la Napoli di oggi, fatta non solo da napoletani, ma anche da africani e cingalesi, dalle prostitute e dagli studenti fuori sede che ora sono i nuovi affittuari dei bassi storici, dai sempre meno numerosi femminielli. Sono loro la pelle di Napoli, “lo schermo dove tutto il bene e tutto il male scivolano e si riflettono, come uno specchio deformante”. 
Treccagnoli è quindi “flâneur” per Napoli, e descrivendo i suoi vicoli e le sue contraddizioni non manca in quasi nessuno dei quarantatré piccoli reportages di rimandare più o meno direttamente ad altri scrittori, non solo italiani e napoletani – come Domenico Rea o Anna Maria Ortese – ma anche stranieri, come Dostoevskij e le sue storie di altri umili. Tante citazioni anche musicali e cinematografiche, come del resto c’è da aspettarsi da un libro su Napoli. E le descrizioni dei quartieri, delle chiese e dei monumenti sono strettamente intrecciate a godibilissimi cenni alla storia della cultura, della gastronomia, della toponomastica e dell’arte napoletana. C’è spazio per una breve storia della sfogliatella e, altro esempio, un capitolo dedicato alla zona della città compresa tra Salvator Rosa e Montesanto inizia così: 
La pelle di Napoli è solcata da infinite rughe, ormai. Rughe, solchi, strade, salite, pennate, gradini, ponti, calate. Vicoli. Percorsi che, lasciati a sé stessi, diventano terra di nessuno. Ferite più che itinerari. Attraversano e trafiggono il cuore più antico della città e, spesso, non hanno un nome definito. Sono i confini, i margini, tra vecchi quartieri. Da un lato Montecalvario, dall’altro Avvocata, sono i Ventaglieri, sopra il Vomero, per esempio. Capita che per definire un luogo vengano in soccorso delle vaghe suggestioni: è così per i Monti, ‘o Monde, ‘ncopp ‘o Monte. Se chiedete in giro, ex abrupto, in pochi saprebbero dirvi dove sono. Monti, per dire la scalinatella longa longa che vi porta, terraneo terraneo, bàsolo bàsolo, a piazza Leonardi, infilandosi in due arcate. Sotto un budello di pietra vulcanica, sopra prima corso Vittorio Emanuele, e dopo via Girolamo Santacroce. 
Peccato solo che manchi un inserto con una mappa della città. Sarebbe stato davvero utile, perché avrebbe limato un po’ l’unica pecca del libro, cioè quella di essere scritto solo per chi Napoli la conosce già o per chi la visita contestualmente alla lettura. Vero è che i reportages sono stati pubblicati per il Mattino, ma ciò non toglie che un’operazione editoriale mirata ad allargare l’orizzonte dei lettori avrebbe certamente giovato al volume. 

Serena Alessi