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#LibrinTrincea - Il secolo americano di Geminello Alvi (pt. 2)

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Il secolo americano
di Geminello Alvi
Adelphi, 1996




«“Il mio sogno è che nel procedere degli anni, e come il mondo saprà di più dell’America, esso … ricorrerà all’America per quelle moral inspiratios  che risiedono alla base di ogni libertà … e che l’America giungerà alla piena lucentezza nel giorno in cui tutti sapranno che essa colloca i diritti umani avanti a tutto, e che la sua bandiera è la bandiera non solo dell’America, ma dell’umanità”. Il bene umano si confonde con il bene degli Stati Uniti, e il bene degli Stati Uniti era deciso dalla pubblica opinione americana: dunque spettava al profeta Wilson che ispirava la pubblica opinione incaricarsi del bene dell’umanità».

Il Segretario di Stato degli Stati Uniti il 15 agosto 1914 aveva spiegato che “i prestiti dei banchieri americani a ogni nazione estera belligerante sono in contraddizione con la vera essenza della neutralità”. E lo spiegò anche alla Morgan & Co.

Gli effetti negativi per l’economia statunitense dovuti alla fine degli acquisti esteri e il circolare invece dei titoli, turbarono la neutralità, attendendo l’affronto degli imperi centrali e il blocco delle coste per raggiungere Sua Maestà. Mancavano solo i siluri tedeschi per infrangere qualsiasi neutralità.

«L’inutile attesa, nella quale durante  febbraio Wilson patì gli eventi, occupò il tempo necessario a mutare la pubblica opinione. Mentre Wilson attendeva, gli scaricatori e i marinai dei mercantili che ingombravano i porti, gli agricoltori del Middle-West e i piantatori di cotone senza più ordini, gli operai delle acciaierie che rallentavano la produzione, tutti obbedirono a Bentham. Percepirono nel più puro calcolo del proprio tornaconto il blocco imposto dallo stato maggiore tedesco per quello che era: una minaccia economica”» Senza stratagemmi comunicativi, basta la colpa degli altri a far cambiare idea.

Ma il disordine della belligeranza porta un disordine ancora più grande che sconvolge e spinge a tempi nuovi, tempi moderni. «[…] l’economia sentita per istinto dai più come una religione: è la modernità esemplificata nel suo più esemplare difetto, il disordine, la confusione dei campi della vita, la loro non distinzione. Le epoche arcaiche le distinguevano. L’ideologia degli indoeuropei era triarticolata, separava rigidamente economia, religione e guerra. E dunque i guerrieri, non i banchieri avrebbero deciso la guerra, e si sarebbe chiesto alla religione e non all’economia la felicità».

 I tempi moderni dell’ «inquietudine elettrizzata» di Charlot, il vagabondo sincopato, l’operaio nell’ingranaggio, in quegli  Stati Uniti che “non ringiovaniscono il mondo” mentre piuttosto è l’Europa che invecchia in America «accelerando cinematograficamente il meglio e il peggio dell’Inghilterra». E qui un interessante riflessione a mente aperta sull’invecchiamento de Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr Hyde in Charlot.