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"Un bellissimo novembre", di Ercole Patti

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Un bellissimo novembre
Ercole Patti
Tascabili Bompiani, 2013 (prima ed. 1967)

pp. 115


Un romanzo fisico, concreto, con ambientazioni e sentimenti che il lettore può quasi toccare e sperimentare sulla pelle. "Un bellissimo novembre", di Ercole Patti, si svolge tra Catania - città che nel romanzo è talmente percepibile nella sua toponomastica, da essere quasi un personaggio attivo e non un semplice sfondo - e la campagna siciliana. Al centro della narrazione, la scoperta da parte del giovane Nino, appena adolescente, dell'amore fisico e dei sentimenti che lo accompagnano. La vicenda e i toni interiori sono quelli dello spaesamento e della scoperta continua, in un rapporto dal retrogusto pavesiano con la donna amata.

Fitta di descrizioni minuziose, la scrittura di Patti risulta completa senza appesantire la lettura: poche virgole, una paratassi chiara, efficace e scorrevole. E la precisione dei dettagli, capace di orientare il lettore, inizia dall'incipit: "Quella storia era cominciata per caso un pomeriggio del mese di marzo in una casa di via Montesano a Catania nell'anno 1925".

La vicenda è di per sé semplice ma la progressione della scoperta, l'adolescenza con le sue vibrazioni ripercorsa in modo tanto scientifico quanto letterario, coinvolgono il lettore riportandolo indietro alle sue prime emozioni d'amore quando - come direbbe un moderno Paul Auster - "Dio era ovunque". 
Il primo contatto di Nino con l'altro sesso inizia a casa di alcuni parenti, quando la zia Cettina - personaggio ambiguo e volubile - una giovane di 28 anni già sposata, quasi si siede in braccio al ragazzo nella calca casalinga, facendogli sentire tutto il calore femminile delle sue cosce e del suo ventre.
"Al ragazzo - scrive Patti - rimase in mente la sensazione di calore umido sul gionocchio e dei movimenti che la zia faceva forse eccitata da quel contatto. Ripensandoci dopo per giorni e giorni ricostruiva la scena e sempre più si convinceva e forniva prove a se stesso che tutto si era svolto proprio come pensava lui e che la zia si era strofinata di proposito sulla sua gamba fino ad inumidirgli il ginocchio. La cosa lo aveva turbato tanto da fargli trascorrere ore rivivendo la scena nei suoi più piccoli particolari".

Non una virgola ma un fluire narrativo che lega una parola alla successiva e trascina il lettore nel gorgo dei pensieri del ragazzo fino a farlo immedesimare con i suoi timori con le sensazioni e i voli pindarici della mente del giovane. 
La sua vita, infatti, cambia proprio dall'incontro con Cettina, che coincide con l'inizio del romanzo. Durante la vacanza in campagna, Nino confessa il suo amore alla giovane zia che - quasi come dono - gli si concede all'insaputa di tutti. Per lei è un modo di iniziare con leggerezza il ragazzo all'amore, ma non si rende conto che di lì a poco si consumerà un dramma tremendo.

Il ragazzo, infatti, inizia a essere al contempo sospettoso e devoto. Basta un cenno per dischiudergli la felicità o l'inferno. Ed è così che Nino inizia a spiare la zia, ne individua gli amanti segreti, i tradimenti, ne intuisce le debolezze, ne interpreta i gesti e i desideri nascosti, mentre al contempo Patti svela la realtà dietro la finzione dell'apparenza, in quell'intricato gioco di specchi in cui si tramutano le convenzioni sociali.

L'epilogo, drammatico e catartico s'intuisce ben prima del finale del libro che giunge comunque inaspettato e tremendo. Il dramma improvviso trascinerà nel gorgo tutti i personaggi, la tragedia - le cui vere motivazioni saranno note solo a Nino e alla zia Cettina - scardinerà la finzione, rivelando povere ipocrisie, disperazioni latenti, tremendi passaggi di vita irrisolti.

Sullo sfondo una città che diviene personaggio, con i suoi appartamenti, le sue vie, le sue ville e i giardini che fanno da contorno al dramma. 

La città in quelle ore sembrava distendersi in un languore che gli passava dolcemente sul corpo tenendolo in una specie di dormiveglia senza tuttavia farlo mai dormire perché il cervello continuava a correre [...]
e poco dopo

In quelle ore le strade di Catania erano semivuote perché molta gente era ancora in villeggiatura  e quelli rimasti in città si erano ritirati in casa. La via Etnea calava dal Borgo quasi deserta, passava davanti alla villa Bellini lungo la grande cancellata dietro la quale fiorivano grasse magnolie, davanti alla statua di Garibaldi che avvolto nel suo mantello di bronzo caldo di sole guardava verso piazza Duomo e gli archi della marina; pochissima gente ai tavoli del caffé".

Il dramma giunge una decina di pagine più tardi. Inesorabile e privato. Come nell'incipit, Ercole Patti non manca di precisione e anzi sceglie proprio il dettaglio temporale per chiudere il romanzo, in un anello narrativo con la prima pagina: "Dalla campagna immersa nell'autunno giungevano le schioppettate dei cacciatori che sparavano alle calande. Era il 15 novembre del 1925".

Emilio Fabio Torsello