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Hunger Games: al cinema "La ragazza di fuoco", secondo capitolo della trilogia

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Abbiamo bisogno di eroi. È nei momenti di maggior crisi e incertezza che sentiamo la necessità di immaginare qualcuno di così straordinario capace di “salvarci”: da un mondo che non ci rispetta, da una quotidianità ripetitiva ed anonima, dal senso di estraneità dell’adolescenza, dai dubbi di ogni giorno; ma anche di immaginare un mondo ben peggiore del nostro, dove tuttavia è possibile alla fine trovare speranza e pace. Fantasy, fantascienza, mondi di evasione dove far coesistere il bisogno di momentanea fuga dalla realtà ed esorcizzazione delle nostre paure più profonde. 
Tra le tantissime proposte che possono in qualche misura corrispondere a questa descrizione (e cinema e librerie negli ultimi anni sono ricchissimi di novità/riletture del genere) molte sono facilmente dimenticabili o semplice intrattenimento per un pubblico young adult, ma alcune di queste in passato non hanno mancato di affascinare anche lo spettatore/lettore adulto: basta pensare a classici del genere come Il signore degli anelli, leggendario modello inarrivabile, ma anche la saga di Harry Potter che non smette di incantare fan di tutte le età, le atmosfere fantastiche delle Cronache di Narnia o per restare entro i confini nazionali i romanzi della brava Licia Troisi. È un mercato che sembra soffrire la crisi del settore culturale meno di altri, dove i fenomeni spesso durano il tempo di una stagione e ancor spesso vengono prodotti a tavolino con il risultato di saghe preconfezionate e mediocri, ben al di sotto degli esempi poc’anzi citati. E con questo non si vuole intendere che laddove vi sia un certo interesse di pubblico verso un romanzo o un film si tratti sempre ed esclusivamente di prodotti commerciali nel senso più dispregiativo del termine, in quanto pienamente smentito dal successo appunto di un fenomeno come i libri di Tolkien capace di affascinare a più livelli. 


A metà strada fra intrattenimento e desiderio di stimolare il lettore a porsi interrogativi più profondi, si colloca la trilogia degli Hunger Games (leggi la recensione), creata qualche anno fa (la prima edizione americana è del 2008) dall’americana Suzanne Collins e oggi al cinema con il secondo capitolo della storia, La ragazza di fuoco (Catching fire). Tre libri e con buone probabilità altrettanti film portati al successo grazie in primo luogo al passaparola dei fan catturati dal mondo post-apocalittico creato dalla Collins, senza supereroi, vampiri, licantropi o streghe, “semplicemente” il nostro mondo in un futuro non meglio specificato e terribile. È questo il primo punto di forza della storia: proiettare i fantasmi del nostro tempo in un mondo terribilmente verosimile ma molto più crudele. 
Un futuro post apocalittico “pacificato” dopo la devastazione e il caos delle guerre nucleari nelle quali solo il Nord America sembra essere sopravvissuto, ora denominato Panem e diviso in distretti tutti sotto l’egemonia di Capitol City il centro politico ed economico del paese al cui vertice siede il presidente Snow, immagine di un totalitarismo che tutto vede e tutto sa (grazie anche alle avanzate tecnologie da Grande Fratello), pronto a punire duramente ogni forma di ribellione. Ed è proprio il ricordo dell’ultima ribellione costata lo sterminio di un intero distretto (il numero 13) a far accettare alla popolazione fame e divieti nel nome di una pace apparente, difficoltà che gradualmente aumentano più ci si allontana dalla capitale di Panem. Come monito contro ogni tentativo di insurrezione e allo stesso tempo celebrazione della potenza governativa, ogni anno vengono istituiti gli Hunger Games: due giovani tributi (un maschio e una femmina) sono estratti a sorte da ogni distretto e costretti a partecipare ai “giochi della fame” in un’arena creata per l’occasione dove combattersi selvaggiamente fino alla morte perché solo un vincitore è possibile. Il tutto in “mondovisione”, perché di giochi si tratta e il pubblico di Capitol City segue con passione le sorti dei 24 ragazzi. Protagonista della trilogia è Katniss, che dal distretto 12 si offre volontaria al posto della sorella minore Prim e dimostra fin da principio uno spirito di sopravvivenza e una determinazione notevoli, pronta a tutto pur di uscire viva da quell’inferno. Combatte contro un luogo ostile, fuggendo da pericoli di ogni sorta e stringendo alleanze per ingraziarsi le telecamere: l’amore costruito a tavolino tra la giovane e Peeta (che in realtà nutre sentimenti sinceri per Katniss) permetterà ai due “amanti sfortunati” di uscire entrambi vivi dall’Arena mediante un espediente che ha ilnsapore della sovversione. Un gesto che va punito. E quale miglior castigo non solo per Katniss e Peeta ma anche per tutti i vincitori delle precedenti edizioni, della terza edizione dei Giochi della Memoria (speciale edizione dei giochi che ricorre ogni 25 anni per ricordare la ribellione repressa) nella quale far tornare tutti i vincitori ancora una volta in quell’arena terribile?
"Nel settantacinquesimo anniversario, affinchè i ribelli ricordino che anche il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita…"
Dimostrazione perfetta del potere di Snow cui nessuno può illudersi di sottrarsi, nemmeno i sopravvissuti ai giochi che ancora portano su di sé il trauma di quell’esperienza ed costretti a vivere ancora una volta quell’inferno, inebriando il pubblico che brama sangue e passione. Nuove alleanze, sentimenti contrastanti e pericoli sempre più estremi: nessun vincitore è previsto per questa edizione. Mentre fuori, nei distretti il seme della ribellione cresce nonostante le rigide misure imposte dal governo e il popolo di Panem si prepara alla battaglia decisiva, nella quale essere sterminati per sempre o distruggere la dittatura. Gli spunti di riflessione che si generano nella lettura/visione non sono pochi: il futuro del mondo come lo conosciamo e le nostre responsabilità sul suo destino, il fantasma delle guerre e l’impatto devastante delle armi di nuova generazione, l’ossessione per i reality sempre più estremi, la spettacolarizzazione del dolore, la creazione di un personaggio a misura di telecamera, l’apparenza come elemento imprescindibile di ogni settore, il divario sempre più grande tra ricchi e poveri e la cecità di questi ultimi per la realtà che li circonda.. 

L’autrice ha senza dubbio saputo costruire una storia carica di interrogativi e paure che in parte sono già del nostro presente e che proprio per questo motivo, per la già citata terribile verosimiglianza di questo futuro post apocalittico, non possono che essere motivo di riflessione ben al di là della semplice storia adolescenziale di una ragazzina combattiva catapultata nel mondo crudele degli adulti e (per cadere come sempre nell’ovvietà) in un complicato triangolo amoroso. La trilogia di Hunger Games è stata infatti accostata in più di un’occasione al capolavoro assoluto della distopia, “1984” di Orwell, con il quale è possibile ritrovare alcuni punti di contatto (e che di recente ha goduto anche di una piacevole riscoperta e presenza nelle classifiche grazie all’accostamento con la storia della Collins e agli eventi reali legati allo spionaggio balzati sulle prime pagine dei quotidiani) nell’immaginare un futuro di governi totalitari e guerre e ogni individuo costantemente controllato dall’occhio vigile del Grande Fratello. Ora, senza voler troppo forzare il paragone con un classico del livello di 1984, la storia della Collins resta comunque molto interessante dal punto di vista come si è detto dei numerosi spunti di riflessione che sa generare nel lettore e, in misura minore, nel pubblico della trasposizione cinematografica, catturando in questo modo anche uno spettatore più adulto che non si limiti al primo strato della vicenda ma ne colga gli interrogativi intrinseci e meno banali. Altra cosa degna di nota poi è la presenza per una volta di una protagonista femminile fuori dai soliti cliché, forte, combattiva, indipendente e coraggiosa, più concentrata sulle necessità quotidiane che sulla ricerca del principe azzurro. Concreta, punto di riferimento per la propria famiglia e simbolo suo malgrado della ribellione al governo di Snow, ogni volta nell’Arena cerca disperatamente di restare fedele a sé stessa, ma non farsi cambiare, non diventare brutale, è forse la prova più difficile da superare. Una prova che meglio di lei riesce al dolce Peeta (interpretato dal bravo Josh Hutcherson), anima pura e leale perfino nella brutalità dell’arena e per questa sua straordinaria umanità va protetto ad ogni costo e salvato.
Se proprio devo morire, voglio rimanere me stesso
Buona parte del fascino del personaggio di Katniss lo si deve al volto cinematografico, Jennifer Lawrence, giovane straordinaria attrice già vincitrice lo scorso febbraio di un premio Oscar per l’interpretazione della problematica Tiffany in “Il lato positivo”. I fan adorano la sua Katniss, che con la propria fisicità e bellezza non convenzionale la Lawrence ha reso affascinante e forte allo stesso tempo, nell’interpretare la quale ha dato prova di sapersi destreggiare senza difficoltà da un ruolo emotivamente impegnativo destinato ad un pubblico adulto ad un prodotto più commerciale, senza per questo svalorizzare il suo modo di recitare ma lavorando con la stessa serietà ed impegno. 

In questo secondo capitolo ora sugli schermi, il cambio alla regia (da Gary Ross, regista del primo, il timone è passato a Francis Lawrence) e un budget maggiore, hanno contribuito a creare un film di forte impatto visivo, ricchissimo di dettagli, elementi che sommati ad una scelta accurata di costumi e soundtrack rendono La ragazza di fuoco un film decisamente godibile. Edulcorato di alcuni aspetti più cruenti e politici della saga letteraria, appare in generale un buon prodotto ma che a mio avviso difficilmente può incontrare il gusto di un pubblico più adulto anche a causa della diffidenza che lo spettatore non più giovanissimo ha nei confronti del genere fantasy e fantascienza relegato a mero intrattenimento vuoto di ogni valore intellettuale. 
Tuttavia, al di là delle scene più spettacolari e dei costumi folli, impossibile rimanere indifferenti di fronte alla rappresentazione visiva dell’orrore quotidiano della popolazione dei 12 distretti, agli incubi che adesso ancora più forti assalgono i vincitori costretti a tornare di nuovo nell’arena, ai giochi di potere. 
Il contrasto fra Capitol City e i distretti è ancora più evidente sullo schermo e lascia sconcertati: stravaganza, spese folli e ossessione per lo spettacolo contrastano con fame, miseria, lotta quotidiana per l’esistenza, paura e umiliazioni. Un mondo che ricorda le miserie patite dagli uomini in tempo di guerra e dove non mancano i riferimenti più o meno espliciti a regimi totalitari del nostro reale passato storico, come un avvertimento per un orrore che potrebbe in altre circostanze ripetersi molto simile. E come sopravvissuti di un campo di prigionia, i tributi degli Hunger Games sono costantemente in bilico tra il terrore più oscuro, la lotta per la sopravvivenza che può sfociare nella furia più brutale e il desiderio di ribellarsi. La ribellione, infine, è ciò che percorre tutta la trilogia: prima sussurrata, poi sempre più forte e impossibile da arginare. Ma anche nella ribellione ci sono lati oscuri, che l’autrice suggerisce tra le righe: il sacrificio per un bene più grande, il valore del martirio, i labili confini tra giusto e sbagliato, tra amico e nemico, e come sempre la lotta per il potere, in nome del quale non ci si ferma dal fare di una ragazzina un simbolo da usare a proprio piacimento. 
Peccato che poi nonostante tutti questi elementi di interesse, si finisca per cadere nel cliché appunto della giovane contesa tra due innamorati, in un triangolo amoroso per nulla originale, confezionato per soddisfare le fantasie adolescenziali e che distoglie dal reale messaggio della storia, oltre a portare la coraggiosa Katniss al livello di una fragile, confusa ragazzina qualunque, divisa tra il sentimento per l’amico d’infanzia Gale e il compagno d’arena Peeta. Ma nonostante questo, la saga di Hunger Games ha in sé elementi originali, basta soltanto saper guardare oltre la superficie di un prodotto ben confezionato. E, come è stato sottolineato più volte dai fan, il sentimento di ribellione è forse l’elemento capace più di ogni altro di infiammare i cuori del pubblico.