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CriticaLibera: Una libreria che chiude, muore due volte

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Una libreria che chiude i battenti è una sconfitta. Non solo: è la messa in scena della sua agonia, in fondo, a trasformare quella sconfitta in un’amarezza difficile da digerire. A Catania, la città dove ho frequentato l’università, la chiusura della libreria Tertulia nel settembre 2011 è stata vissuta come una catastrofe culturale: quella libreria, situata proprio al centro della città, vicina al Teatro Massimo, nei suoi tredici anni d’attività era diventata un vero e proprio centro d’attrazione per chi volesse sfogliare un libro davanti a una buona tazza di tè, durante il pomeriggio o fino a tarda ora nelle serate universitarie, o vedere film davanti a un buon piatto freddo (io, per fare un esempio, grazie alle loro serate ho scoperto Lisbon Story di Wim Wenders). Adesso, l’insegna di Tertulia è stata sostituita da quella di un fast food di cibo internazionale. 
Ho ripensato al destino di Tertulia un anno dopo, trovandomi a passeggiare per Firenze e scoprendo, in piazza Repubblica, della svendita della libreria Edison, che chiuderà per lasciare il posto, secondo alcuni rumors, a un Apple store. Ho rivisto con una certa angoscia tratti identici a quelli del caso Tertulia: anche qui una realtà importante per il centro storico, una libreria forte, vivace; anche qui, la chiusura è stata determinata da una causa “esterna”, il mancato rinnovo dell’affitto del locale, e non da una crisi nella vendita di libri e affini; anche qui si è cercato, si sta cercando di salvare la libreria con una petizione
Con una sola differenza. Tertulia era una libreria piccola, molto raccolta; la Edison invece è un colosso. Per pagare la liquidazione dei propri dipendenti, ha dato il via a una svendita di tutti i propri libri con uno sconto al 30% che ha attirato una folla di acquirenti. Ecco, la mia visita alla Edison ha turbato, per qualche tempo, tutte le chiacchiere che ho letto e sentito sulle "meravigliosi sorti e progressive" del mestiere del libraio nell'era digitale.


Mi sono aggirata tra gli scaffali, ormai semivuoti, cercando di non urtare nessuno nella ressa, con un disagio crescente. Alla fine, uscita in piazza Repubblica, ho cercato di capire il perché di quel disagio. Ho sempre vissuto l’ingresso in una libreria, sin dall’infanzia, con un entusiasmo tale da rasentare la maleducazione (quel tipo di entusiasmo che ti fa abbandonare i tuoi amici mentre cerchi e scopri titoli interessanti, o  ti rende sempre più goffo mentre la pila dei tuoi acquisti sembra sommergerti); girando per la Edison, invece, mi sentivo spaesata. E ho capito il perché. Quella mia febbre in corpo non era dovuta alla svendita in sé – agli scaffali gialli vuotati, i cartelli nerosubianco con la scritta “svendita per chiusura” – ma al fatto che quella svendita non fosse per nulla diversa a quella di un altro negozio. Un negozio d’abbigliamento, o di elettrodomestici, in cui le rimanenze sono maltrattate da gente che si trova lì solo perché sta chiudendo, chissà che non ci trovi l’affare. I libri, inermi in pile sempre più corte o in file sempre più sgangherate, erano toccati da dita distratte, da mani che sfogliavano senza rimettere a posto; per il solito, paradossale gioco della gloria letteraria, erano vuoti gli scaffali dei classici e dei grandi nomi della letteratura contemporanea, e intonse le novità cartonate sovracopertinate e fascettate; e un manipolo di ragazzi entrato solo per ridere a gran voce sopra le pile di Cinquanta sfumature (“ma è un porno, sì è un porno!”), quella stessa pila da cui una compassata signora avevano agguantato due copie di tutta la trilogia. 


Forse si tratta di un mio limite, ma mi sono chiesta come potessero fare tante persone a concentrarsi sulla scoperta di un libro, su quell’intenso corteggiamento che porta un romanzo tra le tue lenzuola o sul tuo comodino, in mezzo a tanto rumore, lo stringersi addosso ad altri per far passare chi doveva raggiungere un altro reparto. Probabilmente è una domanda da nostalgici, un po’ come chiederci come ci si possa innamorare di una donna tra il pulsare di laser e dubstep a tutto volume. Ma, da ciò che ho visto, posso dedurre una conclusione che mi sembra incontrovertibile: la chiusura di una libreria è una morte che si consuma due volte. Perché una libreria, in fondo, ha una doppia natura: è insieme un tempio e un esercizio commerciale. È un luogo in cui si vende, è chiaro, ma è anche un luogo in cui si custodiscono storie e in cui se ne dispone l’accesso. Per questo, una libreria che sta per chiudere diventa come un limbo tra due universi, in cui il potere delle parole è come un incantesimo stanco, che si sente e non si sente. Dall’altra parte del limbo, forse, sta un Apple store, un tempio di prodotti, non di storie, e non so se sono tanto digital native (digital naive?) da accettarlo.

Un'ultima nota, per concludere: la mobilitazione non è finita qui. Sulla pagina Facebook della libreria, che vi consiglio caldamente di visitare, i gestori stanno portando avanti un importantissimo lavoro di sensibilizzazione. Ricordo ancora della petizione per salvare la locazione della libreria. Numerosi gruppi musicali, inoltre, sostengono il futuro della libreria, da Federico Fiumani, che il 2 novembre è stato protagonista di un bed-in, dai Litfiba, che oggi pomeriggio guideranno un flash mob alle 16:00 in Piazza Repubblica, ai Wisky Trail, che suoneranno nella stessa piazza lunedì 5 alle 18:00.


Laura Ingallinella