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Pillole d'Autore: Peppino Impastato, poeta

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Nella notte del 9 maggio del 1978, il corpo senza vita di Peppino Impastato fu abbandonato sulla linea ferroviaria di Cinisi. Un assassinio che passò quasi inosservato alla stampa nazionale, perché nel frattempo si consumava un altro delitto: quello di Aldo Moro. Oggi, a trentaquattro anni di distanza, non c'è italiano che non conosca la sua storia. Il rifiuto di seguire le orme del padre e della sua famiglia nel mondo asfittico della mafia, l'impegno politico e l'attivismo culturale e radiofonico su Radio Aut, la stazione in cui per due anni (dal 1976 alla morte) denunciò i traffici di droga della mafia locale e ne sbeffeggiò i capi. La cultura ha assorbito da anni la grande lezione di Peppino, ed è difficile trovare qualcuno che non abbia cantato o abbia ballato sulle note della canzone che gli hanno dedicato i Modena City Ramblers (nell'album ¡Viva la vida, muera la muerte!, 2004) o che non abbia mai visto la splendida interpretazione di Luigi Lo Cascio nel film I cento passi (regia di Marco Tullio Giordana, 2000) - ormai un culto, riproposto continuamente nelle scuole per coltivare memoria e impegno. Ma Peppino Impastato non era soltanto un intellettuale impegnato; possedeva anche un'innata sensibilità, che riversò in poesie di rara bellezza. Per la profonda corporeità della parola e dei simboli, immersi in una sintassi elementare, queste poesie ricordano i versi di Cesare Pavese. Sembra di avvicinarsi al nucleo pulsante di una verità che ha insieme le fattezze di un uomo e di un fiore, e possiede una grazia mortale.

Edizione di riferimento: Giuseppe Impastato, Amore non ne avremo. Poesie e immagini di Peppino Impastato, a cura di S. Vitale e G. Orlando, Navarra Editore, 2008, pp. 30. 
Nel 2009 è stato pubblicato anche un bel fumetto sulla storia di Peppino: Marco Rizzo, Peppino impastato. Un giullare contro la mafia, BeccoGiallo 2009, pp. 128.



Appartiene al suo sorriso
l'ansia dell'uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un po' d'attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore.

E venne a noi un adolescente
dagli occhi trasparenti
e dalle labbra carnose,
alla nostra giovinezza
consunta nel paese e nei bordelli.
Non disse una sola parola
né fece gesto alcuno:
questo suo silenzio
e questa sua immobilità
hanno aperto una ferita mortale
nella nostra consunta giovinezza.
Nessuno ci vendicherà:
la nostra pena non ha testimoni.

Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
né il canto del gallo
né il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,
infinita.

I miei occhi giacciono
in fondo al mare
nel cuore delle alghe
e dei coralli.
Seduto se ne stava
e silenzioso
stretto a tenaglia
tra il cielo e la terra
e gli occhi
fissi nell'abisso. 

introduzione e selezione a cura di Laura Ingallinella