Franzwolf
di Franz Krauspenhaar
Manifattura Torino Poesia, 2009
Il primo ad aver raccontato la prima storia – la Storia Originaria, l'archetipo della narrazione – dev'essere stato l'uomo cacciatore. Seguiva i segni che gli raccontavano il cammino della preda prescelta, seguiva le orme di un intreccio. Franz Krauspenhaar è uno di quei poeti/narratori in cui ritrovo questo gusto, questa intenzione: scrivere è una battuta di caccia.
o seguito le tracce della sua autobiografia in versi,
Franzwolf (Manifattura Torino Poesia 2009), con lo spirito di chi «rientra a casa come da una battaglia terminale [...]» (da
Vampiri di mezza età) e trova nel proprio intimo un momento di raccoglimento ma anche di solitudine. Un raccoglimento magico – del lupo che trova una sua
tana –, che ci parla dell'uomo e delle sue eterne domande. Scrive R.M.Rilke:
«E così fummo nel nostro procedere soli, / contenti di ciò che perdura, e sostammo / lì nello spazio di mezzo tra mondo e giocattolo, / in un luogo che fin dall'inizio / fu fondato per un evento puro» (R.M.Rilke, Elegie Duinesi IV).
Ma c'è anche il momento in cui il cacciatore decide di andare
fuori con una «voglia quasi perversa / di guardare muoversi il mondo per tutti i suoi versi» (da
Vampiri di mezza età). Ma
fuori la solitudine metafisica dell'eremita si fa solitudine sociale, antropologica, la stessa solitudine forse che suggerisce Ezra Pound quando scrive: «Oh, io so che c'è tanta gente intorno a me, / volti amici, / ma io ho nostalgia di gente come me» (da
In trappola). La stessa solitudine che ci spinge a «uscire, tanto non c'è nessuno. / Non ci sono gli amici, quelli si sono diradati, proprio / come i nostri capelli, senza pietà, giorno dopo giorno / a quest'ora poi sono troppo stanchi o comunque / con la moglie e i figli, a sgattaiolare in un minuscolo abisso».
Con questa voglia di guardare
fuori. Perché è per questo che sono stati fatti, gli occhi: per guardare fuori.
(da Occhi nudi)
Avanzo, guardando. Scopro solo con gli occhi.
Il giro delle danze m'intimidisce, una donna nuda
bellissima mi prende per mano, e mi dice qualcosa
all'orecchio. Da quel momento non sono più io.
Faccio di tutto per fuggire, ma resto prigioniero
di un incubo di vetro, il naso appassito a una parete
le mani che si muovono nel vuoto, come ruote,
nel niente esploso dell'aria viziata.
L' attraversamento del
fuori – della vita – e il tesoro dell'esperienza per l'Ulisse navigatore hanno un prezzo carissimo. Aprono ferite dolorose: «Così la vita si dischiudeva come un loto / barbarico, ispido» (da
Lontana America). C'è però anche un margine di grande riflusso nella poesia di Krauspenhaar, c'è un
ritorno eroico, dopo il brivido della scoperta, dopo la sofferenza del viaggio. E così il poeta ritorna a Casa, dopo aver attraversato crateri di malinconia. Ritorna a un intimismo denso di tenerezza: «Di nuovo a casa prepariamo un minestrone Knorr, / di quelle che la mamma ci faceva quand'eravamo piccoli / e forti e ignari» (da
Vampiri di mezza età).
Riecheggia fra questi versi una potenza metafisica fortissima, si sente la vertigine dell'Idea che precipita sulla terra e si condensa in correlativi oggettivi e flussi di coscienza controllatissimi, regolati dalla pazienza dell'alchimista. Lo leggiamo subito, lo capiamo, lo sentiamo «nelle voglie di non separare / ragione e sentimento, di / essere fuoco e luce, di andare / per la via d'una supposta / verità» (da
Goethe).
La poesia precipita sulla terra e si frammenta in forme e stili diversissimi. Krauspenhaar si misura con ritmi e figure serratissime, con
autobiologie frammentatissime, oppure con haiku dai sapori inediti, underground, metropolitani – oscillando sempre fra prosa poetica e verso, fra le equazioni della ragione e le fisiologie del sentimento. Balza da un'emozione all'altra con l'agilità del gatto, da un solfeggio esatto di commozione a un free jazz d'ironie pungenti. Franzwolf ti scaraventa dal riso al pianto con la facilità dell'aquila che impicchia contro la sua preda, con l'audacia e la frenesia della caccia, con l'ispirazione generosa della Luna.
(da
Intermezzi)
Cupo tempo. Quando bimbo
guardavo la tivù. Ero bimbo come
un uccello pallido, nel sole scuro.
I capelli di mia madre, di quel biondo
per dolciumi di miele. Era tempo vero.
(da
Haikuglobetrotter)
La tua lontananza
è come il vento
fresco, o il pesto
*
(da
lavura fort)
Sassi che il mare
ha consumato, le parole
degli scrittori, Moravia e
Pasolini, Piovene ed
eccetera, oh quanti
eccetera
*
Forse prima si campava male
ma pochi lo sapevano
Una poesia che sa anche desacralizzarsi quindi, che non ha paura di calarsi negli anfratti di tutte le contaminazioni contemporanee. Un poesia che non ha paura di purificarsi attraverso il mercuriale fuoco purificatore della passione.
(da
Il figlio)
Tuo figlio […]
Appena esce per andare al calcio
io piombo su di te come un falco alla picchiata
d'amore, e tu mi piombi addosso come una poiana
Sembra un gioco di parole, Abbiamo poco tempo
per la circolazione accelerata che scorre.
Precipitiamo dal divano. È un salotto di carne
e occhi a fari [...]
Una poesia camaleontica che naviga in un mare di onde cangiantissime. Interessante, in questa sede, notare anche alcuni esilaranti versi di Krauspenhaar che descrivono il mondo dei nuovi media con le sue psicastenie e i suoi deliri.
(da
Il dire)
Erano tempi di parziale silenzio, bastava premere
un pulsante, non premerne un altro.
Oggi invece non è possibile. Sono a un reading
e mi replicherò domani nella cronaca sul blog,
qua ci sono stato già da tempo, da un tam-tam,
come un pellerossa elettronico sono sfatto di bit
prima di cominciare. C'è gente che fa l'amore in chat
e non si vergogna di dirlo. Io avrei paura, al telefono
è un guaio che si ripara col sonoro del respiro.
Krauspenhaar poi si mette a nudo e ci parla della sua esperienza personale in
Scrivere:
Lavorai con mio padre un anno.
[…]
Loro la coppia di mezza età, volevano
per me la sicurezza, l'appiglio cronico
il futuro lanciato come una striscia
netta: bianco latte sulla strada.
Non fu possibile. Fu il demone.
Quando decisi di dire a quello il fatto
suo, ero distrutto da anni di piega
e taglia, e incolla. Non ero fatto
per quel delirio. E io dovevo capire
di che delirio ero fatto […]
L'inchiostro è la mia bava di luce.