Smentiamo i luoghi comuni su Caravaggio


"Caravaggio"
di M. Calvesi
Art dossier, Giunti Editore


Non è un mistero che Caravaggio, negli ultimi decenni, sia uno dei pittori più amati anche dal grande pubblico. Al di là dell'inequivocabile merito - basti pensare a uno dei suoi quadri, dal vivo, per trattenere il respiro davanti a tanta bellezza -, in parte la sua biografia tanto travagliata e tanto, soprattutto, romanzata, l'hanno reso uno degli outsider più famosi e ammirati.


In queste poche (52), ma del tutto affidabili pagine, Calvesi dedica la sua attenzione a sfatare parecchi luoghi comuni che sono durati fin troppo, deturpando il vero volto dell'artista lombardo. A una trattazione piacevole e ben scritta, si accompagnano le riproduzioni dei dipinti, spesso con ingrandimenti sui particolari salienti, su una bella carta patinata che senza dubbio aiuta la concentrazione.


Anathea

Il ritorno di Besson


L'amico di Marcèl Proust
di Philippe Besson
Guanda, 2007

Ecco il ritorno di Philippe Besson dopo un anno circa di silenzio. Un ritorno che è stato acclamato da parte di giornali letterari quali l’Express, o i francesi Le Monde des livres o Magazine Littéraire.
Parlano di un'illuminazione, di un racconto pudico a proposito di un argomento spinoso come era la omosessualità nei primi anni del Novecento. L’autore si destreggia bene tra emozioni e sensazioni che accompagnano l’iniziazione del sedicenne Vincent de l’Etoile all’amore e alla vita sessuale, alla guerra, all’amicizia, alla frequentazione dei prestigiosi salotti parigini. Proprio in uno di questi salotti, Besson fa crescere l’amicizia ambigua con l’esimio scrittore Marcel Proust, disincantato rappresentante di un uomo che guarda al passato, sempre. Accanto a questo rapporto, del tutto sbilanciato, vista la differenza d’età di trent’anni, Vincent trova l’amore con Arthur, figlio della sua governante, in licenza per una settimana. Infatti, su questi sette giorni d’amore, grava costantemente il timore della guerra, le grettezze che ogni soldato è costretto a compiere, l’ansia e l’angoscia di ogni morte. La dimensione narrativa di questi sette giorni è dilatata, occupa la sezione maggiore del libro, per presentare i personaggi e l’amore che, senza chiedere niente, prende il sopravvento nel protagonista.
A livello stilistico, Besson decide di creare un romanzo tripartito, per meglio presentare le diverse prospettive. La prima parte, intitolata “l’offerta dei corpi”, è affidata alla scrittura di Vincent, che segna su un quaderno-diario i passaggi più significativi dei due incontri: svolto in prima persona, Vincent si rivolge ora al giovane Arthur, ora a Marcel, con un continuo spostamento di destinatario. “Separazione di corpi”: un titolo significativo per la seconda parte, in cui sono raccolte lettere tra Arthur e Vincent, e tra Vincent e Marcel, occupando sostanzialmente oltre un mese di tempo.
Le lettere occupano una breve parte del libro, fino alla triste verità che concluderà amaramente e laconicamente questa parte, per introdurre all’ultima, intitolata “A corpo morto”. Quest’ultima sezione è dedicata al dialogo tra Vincent e la madre di Arthur, dilaniata dal dolore. Una parte piena di pathos, accresciuto dall’iterazione di “La madre è qui” a inizio di periodo. La madre di Arthur però non è la figura topica di madre inconsolabile, ma, al contrario, trova da questa circostanza la forza per parlare un’ultima volta (“a voi voglio parlare. E, dopo, non parlerò mai più. Non dirò più una parola”). Dopo una breve conversazione a proposito dell’amore tra il figlio e Vincent, la donna confessa un segreto che aveva serbato in sé da vent’anni. Un segreto che lascerà al lettore ben poco tempo per abituarsi a questo cambiamento di scena, ma davvero ben strutturato.
Personalmente, la forma che Besson utilizza in questo libro mi lascia perplessa, in modo particolare per la sezione epistolare: le lettere hanno poca profondità, sono poco caratterizzate, al punto da faticare a riconoscere i diversi mittenti, senza guardare prima la firma. Gli stili, che dovrebbero ovviamente essere diversissimi (parliamo di uno scrittore come Proust, di un sedicenne di buona famiglia e di un ventenne poco letterato), in realtà si camuffano fin troppo. Anche per quanto riguarda i dialoghi, bisogna prestare molta attenzione alle frasi banali, sfrondarle una dopo l’altra per trovare perle di letteratura piuttosto carine e inusuali: tuttavia, l’impressione che ne ho ricevuta, è un “così-così” che mi trovo a trascrivere, con un poco di delusione.
G. M. G.
La frase che ho preferito:
“Inseguo gli sguardi dei soldati e mi sforzo di credere che siamo ancora vivi, che potremmo continuare ad essere vivi. Allora piango. Ma nessuno mi prende in giro per questo. In guerra, nessuno prende in giro un uomo che crolla. Si tace, si guarda altrove, si aspetta che il pianto finisca, si resta in silenzio, aspettando la fine del pianto” pag. 120.

Attraverso il corpo per sopravvivere


"Attraverso il tuo corpo"
Alberto Bevilacqua
Mondadori, Milano 2003

Una proposta impegnativa, quella del Bevilacqua biografo-narratore, che in questo libro mira a ricostruire gli anni italiani di Lawrence, incontrastato scrittore dell'amore, allo stremo delle forze fisiche, ma non certo ideative. Come, infatti, non ricordare lo struggente e spregiudicato Amante di Lady Chatterley? Proprio il soggiorno ligure a Spotorno e l'incontro con il bersagliere Angelo Ravagli saranno ispirazione per il capolavoro di Lawrence: lo scrittore fa di tutto per spingere la moglie Frieda, personaggio controverso, tra le braccia del giovane e aitante Angelo. Attraverso i loro corpi, appunto, e attraverso i racconti degli incontri amorosi, a Lawrence sembra di riscattarsi dalla tormentosa impotenza per la malattia che lo stava divorando.
E dalla trasfigurazione di storia tanto personale, nascerà il suddetto capolavoro della letteratura inglese, privo di pregiudizi e ricco di erotismo, ancora tabù se consideriamo la pubblicazione

Lo stesso spirito naturalmente anticonformista viene colto dalla limpida e appassionante prosa di Bevilacqua, che si fa depositario di un mistero: la realtà sulla vita di Angelo Ravagli, non solo l'amante di Frieda, ma anche amante appassionato e uomo dalla profonda e difficile psicologia. Per venti giorni Bevilacqua calpesterà gli stessi pavimenti che avevano sostenuto Frieda e Lawrence, per venti giorni scaverà nei discorsi che un vecchio Ravagli offrirà, per quanto le memorie non saranno del tutto violate.

Con abile penna, mai eccessiva, Bevilacqua riesce a portare sulle pagine di questo recente romanzo il dietro le quinte di un romanzo universalmente conosciuto, mantenendo plausibile e pregevole la vena narrativa.

Anathea

Ti prendo e ti porto via: romanzo di formazione di una generazione senza più certezze


Ti prendo e ti porto via
di Niccolò Ammaniti
Mondadori, 2000

Era un pomeriggio come tanti altri, quando il libro di Ammaniti è finito nel carrello del supermercato. Miti Mondadori, un acquisto intelligente, mi dico: premesso che non è il mio stile preferito di narrazione, mi dico che è sempre bene tenersi informati su quelli che vengono definiti “nuovi fenomeni letterari”. In fondo, dopo aver letto sia “Io non ho paura” e “Branchie”, già avevo sillabato l’aggettivo “grande” accanto a Niccolò. Così, con questo malloppo di quattrocento-e-passa-pagine finisco la giornata, finisco la spesa e torno a casa. Poi, quella sera, ho aperto per caso le prime pagine. Nella prima, citazione di tre canzoni che conosco: promette bene. E incuriosisce, soprattutto.
La scrittura di Ammaniti mi attacca in primis, con quelle frasette paratattiche che leggo in fretta, una dopo l’altra, ben scandite dal punto-e-a-capo quando serve. Mi immergo nella storia di Pietro e di Gloria – sorrido nel trovare un’omonima -, due studenti alla fine della seconda media. Lei promossa. Lui bocciato. Da questo presente pieno di delusione, di apre un flashback profondo, pieno di storie parallele, come quella del playboy Graziano Biglia e delle sue love stories. Lì, in quel gran putiferio di personaggi che spuntano come gramigna, mi sono sentita avvolta dalla trama di Ammaniti, dai bei risvolti psicologici che intervallano la narrazione. All’inizio confesso di essermi detta: “Ecco, l’ennesimo libro pieno di parolacce e farcito di volgarità”. In effetti, se non si entra nello spirito con cui Ammaniti deve averlo scritto, l’impressione rimane; invece, bisogna capire l’attenzione alla psicologia paesana, moralista in apparenza e gretta, squallida e cinica. Infatti, di ogni personaggio Ammaniti traccia una descrizione che sembra quasi auto-presentazione, e non lesina niente, né difetti, né caricature dei personaggi, in una realtà tragi-comica. Così il realismo è farcito di particolari credibili – magari insensibili e impudenti, ma credibili –, tanto da far affezionare chiunque al personaggio.
Per quanto riguarda lo stile, ho notato una certa affinità con quello di Stephen King: stessa predilezione per gli adolescenti – in particolare per i ciclisti -, stesso gusto per il mistero grottesco e il noire che trapela da una atmosfera rurale come quella del paesino di Ischiano Scalo.
Così, nonostante i pregiudizi che, lo confesso, mi hanno bloccata nelle prime cinquanta pagine, Ammaniti è riuscito a restare coerente alle attese: tanta trama, tanta suspense, tanta curiosità, data anche da questo flashback che sembra interminabile. Tutto per un finale che, al di là delle aspettative, lascia a bocca aperta.