Un lessico a misura di famiglia


"Lessico famigliare"
di Natalia Ginzburg
Einaudi, Torino 1999
pagg. 240 € 9,20
1^ edizione: 1963


Se davvero Natalia avesse seguito il suo primo progetto, mai avremmo letto questo romanzo di assoluta qualità e piacevolezza. All'inizio, infatti, doveva essere una semplice raccolta di ricordi famigliari, fermati sulla carta come aneddoti da rileggere, un giorno. Questo spiega l'assenza di una trama unitaria, spezzata in flashback e mille episodi che vengono ripercorsi con una scrittura assolutamente innovativa per il 1963, data di pubblicazione del romanzo che ha meritato nello stesso anno il Premio Strega.

Innovativa anche la posizione dell'autrice Natalia, personaggio marginale e narratrice "dal basso", in quanto la sua prospettiva non è mai di protagonista e le storie non vengono vissute da lei in primis. Piuttosto, la Ginzburg sceglie la strada dell'autolimitazione dell'io per presentare anche vicende drammatiche come la guerra, l'uccisione del marito Leone, la persecuzione che colpisce anche la famiglia ebrea dell'autrice.
La Grande storia è filtrata con grande sobrietà, vissuta da una piccola famiglia che, come tante, trova nel lessico comune, pieno di invenzioni e qualche piccola infrazione dialettale, il terreno di scambio.

Il risultato è un best-seller che è stato letto a più livelli di comprensione, da un messaggio letterale, facilitato da un linguaggio medio e da una sintassi semplice, al profondo sperimentalismo che la Ginzburg attua senza seguire alcuna linea contemporanea.
Senza dubbio, consigliato, anche per la vena ironica che non si lascia svilire dalla storia.

Anathea

Quando la forza del passato aiuta a rileggere il presente


"La forza del passato"
di Sandro Veronesi
Superpocket, Milano 2006

1^ edizione Bompiani, Milano 2000

pag. 250 €5,00


Un libro piacevole. Questa il primo pensiero quando ripenso a quest'opera di Sandro Veronesi, pubblicata per Bompiani nel 2000. Romanzo ambientato ai nostri giorni, affronta con un sorriso talvolta amaro le gioie e le sofferenze della vita comune. Anzitutto, vi assicuro che sarete incuriositi dalla trama: il protagonista è uno scrittore di libri per bambini, Gianni Orzan, padre del piccolo Franceschino, marito esemplare, stanziato in un modesto appartamento con splendida vista su Roma. Dunque, cosa può sconvolgere la sua vita ripetitiva? L'incontro con uno strano ed improbabile tassista, che si rivela essere collega del padre di Gianni, appena morto, arrivato in città per confessare a Gianni la verità sul suo apparentemente bigotto padre: era una spia del KGB. Impossibile, in apparenza, ma da questa rivelazione Gianni si troverà ad affrontare di tutto, a cominciare da una fuga - beffardamente inutile - da Roma per proteggere la sua famiglia, una rivelazione che davvero sconvolgerà le sue certezze affettive, un incidente...
Appare caotico dal mio rapido riassunto, ma è inevitabile, quando un romanzo è basato sull'azione e sulla riflessione rapida, su dialoghi assolutamente quotidiani e realistici, su un'ironia che non nasce da facilonerie, ma da una riflessione che va oltre, al punto da meritare il Premio Campiello 2000 e il premio Viareggio-Répaci 2000.

Da leggere, per rinfrancarsi sulla scrittura contemporanea, meglio se di seguito, per non perdere la suspense.
Magari in un viaggio in treno. O in una serata davanti al caminetto. O in una lunga attesa.


Anathea

Voleva essere l'ultimo romanzo del mondo: "Menzogna e sortilegio" di Elsa Morante



Menzogna e sortilegio
di Elsa Morante
Einaudi Tascabili, Torino 1948 e 1994

Introduzione di Cesare Garboli

pp. 706 
€ 17,00 (prezzo aggiornato al 2022) - cartaceo
€ 7,99 (ebook)

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Voleva scrivere l'ultimo romanzo del mondo, Elsa Morante, quando nel 1948 è uscito "Menzogna e sortilegio", enorme romanzo dell'universale, dove i temi sono tanti e intrecciati al punto tale da rendere complessa l'esposizione della trama. Mi limiterò a dire, dunque, che questa, la prima grande opera della Morante, è incentrata sulle storie di una famiglia piccolo-borghese che, di generazione in generazione, portano sempre allo stesso squallido degrado e all'amore inappagato

La menzogna e il sortilegio che sono ricordati nell'affascinante titolo restano misteriosi: ad un primo livello, si potrebbe ricollegarli a bugie dette dai personaggi, ma appare chiaro dalla lettura dell'opera che si riferiscono soprattutto agli autoinganni che i personaggi attuano per sfuggire alla realtà. Una fervida immaginazione, ai limiti della follia - limiti talvolta travalicati -, caratterizza ogni personaggio, e in modo particolare i personaggi femminili, a cominciare dall'io-narrante, la giovane Elisa. L'operazione stessa della scrittura viene definita da lei una possibile liberazione dai fantasmi del suo passato travagliato e sofferto, ma non siamo certi che alla fine della sua rievocazione riuscirà a salvarsi: al contrario, l'ambiguità di certe memorie che non sembrano affatto appartenere ai racconti della sua famiglia, tanto schiva, lascia temere che, al termine, Elisa verrà annientata dai suoi stessi personaggi. Senza di loro, quale vita l'attende?
Rimasta orfana, infatti, di entrambi i genitori e della madre adottiva, è una sorta di "sepolta viva", dedita solo alla scrittura nella sua stanzetta, con l'unica compagnia del gatto Alvaro.

Non c'è amore nella sua vita, nè c'è stato quando ancora i famigliari erano vivi: è questo, infatti, uno dei numerosi casi del romanzo di "amore negato" e di desiderio d'amore che si spinge al masochismo e all'amore servile. Così Elisa si pone nei confronti dell'altera madre Anna, e Anna si umilia per l'amato Cugino Edoardo, almeno quanto Francesco cerca di conquistare la moglie Anna. Nessuno di questi amori verrà soddisfatto; al contrario, sono sempre solo schiaffi morali.
Alla tematica amorosa, si intreccia indissolubilmente il fattore di rango: molto spesso i matrimoni vengono contratti per speranza di avanzamento sociale, ma questo poi beffardamente non avviene perché i mariti, nobili, sono in realtà in rovina. Anche da qui proviene la fortissima delusione e frustrazione dei personaggi femminili, mai soddisfatti, e quasi l'uno specchio dell'altro: la nonna Cesira, la madre Anna, e Elisa, la figlia.
Una considerazione viene spontanea: se i personaggi maschili sono completamente negativi, solo una donna si salva parzialmente dai pesanti limiti - Rosaria, la madre adottiva di Elisa. Qualcosa di strano? L'unica portatrice di qualche valore è una prostituta, antica amante di Francesco, e di lui innamorata al punto da adottare la figlia Elisa, una volta rimasta orfana. Questa scelta ha fatto molto discutere i critici, dal momento che la Morante ha creato come unico personaggio positivo proprio "una puttana", incolta e grossolana, ma così vera. Non apparirà più strano, tuttavia, se consideriamo che la Morante ha sempre parteggiato per il mondo degli esclusi (si veda in seguito l'epigrafe della Storia), dei poveri e degli emarginati.

È stato inoltre rilevato come l'autobiografia, legata a una accurata lettura freudiana, accompagni la bella analisi psicologica dei personaggi: a cominciare dai nomi di alcuni personaggi, fino a singoli episodi, appare chiaro come la vita dell'autrice sia talvolta sovrapponibile a quella della piccola Elisa e crei quindi un ulteriore legame tra autore e narratore.

Una breve accenno - per non dilungarmi - merita lo stile, assolutamente antimoderno: in un'epoca in cui tutti i grandi autori sperimentavano lo stile asciutto neorealista, la Morante ha scelto di dimostrare tutto il suo talento in uno stile molto ricco, dall'aggettivazione splendida e gonfia, con una profondissima capacità descrittiva che in tutto e per tutto si richiama ai modelli sette-ottocenteschi, a cui si rifà anche con spruzzature di arcaismi.

Opera certamente indimenticabile, mai lascerà indifferenti: o si ama, o si odia. Per amarla, in primis bisogna dimettere la fretta della lettura - stiamo parlando di oltre 700 pagine di romanzo! - e lasciarsi trasportare dal sortilegio che l'autrice sortisce, di pagina in pagina.

Gloria M. Ghioni