Vergogna di Coetzee



Vergogna
di J. M. Coetzee
Torino, Einaudi, 2003

Prima edizione: 1999

Il libro di Coetzee, spinto molto dalla critica, vincitore del premio Booker Prize nel 1999, non ha nulla a che fare con il romanzo drammatico al quale si è abituati. Aspro, violento, non risparmia brutture, né cinismi, che vengono presentati in modo sfacciato ad un lettore che probabilmente non si aspetta simili colpi di scena. 
Inizialmente, l’azione appare scontata: professore di mezzaetà, colpito da fortissima attrazione per una studentessa, vive con lei una storia di sesso e viene poi denunciato per molestie. Il protagonista, David Lurie, è il tipico intellettuale poco interessato alla propria materia, vittima di una società dove s’è trovato a ricoprire un ruolo di spicco, senza nemmeno rendersi conto dell’importanza del suo compito. Per le prime cinquanta pagine, circa, la sua passività, quasi inconcepibile, suscita dispetto nel lettore: non ha grosse sfortune, e allora perché lasciarsi vivere?
Questa sorta di Zeno-Cosini africano – la vicenda si svolge nella parte orientale della Provincia del Capo – viene poi brutalmente scosso dal destino che, in pochissimo tempo, lo costringe ad un cambiamento radicale. Allontanatosi dalla sua abitazione cittadina, infatti, senza soldi, fa visita e si trasferisce dalla figlia, con cui aveva mantenuto rapporti formali e poco interessati. Da lì, si sviluppa la vicenda vera e propria, ricca di colpi di scena che, qua e là, rasentano il cattivo gusto, il cinismo e la violenza. Per tutto il libro, la rassegnazione è costante: anche davanti ad aggressioni inaccettabili, tutto è sempre velato da una patina di pacatezza.
Innaturale, si pensa. Naturalissimo, invece, per una realtà molto diversa da questa occidentale a cui s’è abituati. Coetzee decide, com’è stato notato dalla critica, di rappresentare il mondo africano con l’interezza delle sue sfaccettature. Dalla grande forza d’animo della figlia al muto venire a patti con la legge e con la propria dignità.
Nobel per la letteratura 2003, Coetzee non è stato all’altezza delle aspettative. Talvolta, lo stile dimesso e paratattico che si era prefisso, subisce cadute, come se l’autore non avesse avuto abbastanza tempo per rileggere e correggere alcune frasi che, nella loro sentenziosità gratuita, rendono la lettura poco agevole.
Personalmente, il ricordo di “Vergogna” porta solo una grande, globale e anonima amarezza. Niente di più.

Gloria M. Ghioni

L'agonia delle parole in Tabucchi

Tristano muore. Una vita.
di Antonio Tabucchi
Edizione Feltrinelli,2004
pagg. 162

"Una vita" è il sottotitolo scelto dall'autore, come se questa scarna rivelazione fosse da poco. In realtà, Tabucchi racchiude in queste due parole l'intera vicenda che si sviluppa nel libro: un uomo, Tristano - si noti la valenza semantica del nome -, giunto in punto di morte per cancrena, decide di raccontare l'intera sua vita ad uno scrittore. Lo scrittore in questione, che si siederà al capezzale per l'intero mese d'agosto del 1999, è proprio Antonio Tabucchi.

Così la parola passa direttamente a Tristano, protagonista incontrastato di tutte le 162 pagine di cui si compone il libro. Davanti ai suoi occhi di uomo morente, il passato prende vita, giorno dopo giorno, con quella memoria e quelle parentesi che rendono molto credibile il racconto. Emerge fin dalle prime pagine il comportamento iracondo e altalenante del malato, a volte ben disposto verso Tabucchi, altre volte desideroso di stare col suo dolore e vivere la solitudine. Una solitudine aspra, fatta di ricordi che non potranno essere raccontati, se non in poco tempo, perché l'ora della morte pende sul capo di Tristano e si fa sempre più prossima. Questo incombere, continuo e inevitabile, affiora anche dalla scelta stilistica: Tabucchi, lasciando direttamente la scena a Tristano, fa sì che il protagonista racconti al lettore direttamente la sua vita. I pensieri sono interrotti da frequenti spazi bianchi che isolano le vicende, le frasi sono chiuse da pochi punti fermi, ma soprattutto intervallate da puntini di sospensione, come pause di voce e respiri che danno vita al personaggio.

Il parlato è sempre in combutta con lo stile scritto, ma Tabucchi riesce perfettamente a rendere realistico il dialogo, con interiezioni, esclamazioni, modi di dire e appelli per riottenere attenzione. Dalla storia di vita di Tristano, sopravvissuto alla Guerra Mondiale e combattente per la libertà del suo Paese, emergono poi grandi interrogativi sul concetto di eroismo, specialmente se legato allo strazio del conflitto, ma anche in senso assoluto. Contrapposto a questo, ci si domanda quali siano i valori reali, quando si possa parlare di tradimento e quando di viltà. Tuttavia, i ricordi non sono solo riscoperta e trattazione di ideali, ma anche parentesi strettamente personali, legate a momenti indimenticabili, legati sempre da un velo di nostalgia. È importante notare che, nonostante il realismo, Tabucchi non affronta mai una ricerca espressionistica, ma, al contrario, infittisce il monologo di Tristano di una serie di riferimenti classici, di metafore colte che è difficile far risalire ad un soldato di quel periodo storico. Al di là di precisazioni tecniche, il libro di Tabucchi è una piacevolissima rivisitazione di un mondo che sta lentamente scomparendo, frase dopo frase, con i puntini di sospensione sempre più fitti che conducono all'agonia di Tristano. Leggerlo, significa riscoprire il piacere delle parole.

Gloria M. Ghioni