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Un romanzo che trasuda dolore: "La notte ha la mia voce"

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La notte ha la mia voce
di Alessandra Sarchi
Einaudi, 2017

pp. 176
8,99 € (ebook)
16,50 € (cartaceo)


È di libertà che si dovrebbe parlare, quando si parla di corpi. Ma come si fa, se non ce li scegliamo nemmeno alla nascita? I nostri corpi sono già passato, eredità elargita da chi ci ha generato e preceduto nella tirannia combinatoria dei geni. Passiamo l'intera vita a spiare, cercare di conoscere e curare un involucro che ci rimane in larga parte ignoto e che si deteriora secondo dopo secondo, tradendoci innumerevoli volte, mentre a noi tocca sostenerlo sino alla fine senza mai potercene liberare. 
Trasformare ciò che solitamente è oggetto di cronaca in letterario: è questo uno degli obiettivi che si è posta Alessandra Sarchi scrivendo questo coraggioso La notte ha la mia voce, tra i cinque finalisti al Premio Campiello di quest'anno. Sarebbe riduttivo etichettare il romanzo come "un libro sulla disabilità", perché vi è molto altro: è come l'io-narrante affronta la propria nuova vita dopo l'incidente a essere sotto il microscopio letterario della scrittrice. Non ci sono sconti: la donna soffre, studia il suo corpo nuovo e diventato improvvisamente tanto paralizzato quanto sconosciuto dalle anche in giù. Non ci sono pensieri buonisti, si legge tutta la rabbia con cui la giovane donna, madre e compagna, prova a recuperare sé stessa: le fantasie sulla sua operazione però tornano a rimordere e ad alimentare il profondo dolore per la sua nuova situazione. 

Tuttavia, durante una delle solite sedute di fisioterapia, lei sente una voce nell'altro cubicolo, voce felpata e provocatoria, a un volume troppo alto eppure piacevole. Prima ancora che la protagonista finisca di chiedersi a chi appartenga, la tenda si sposta e si rivela il corpo di Giovanna, lì per stirare i muscoli della gamba paralizzata e del moncone su cui monta una protesi artificiale. Giovanna è diversa dalla protagonista: ad esempio raccoglie una vera e propria collezione di fotografie di ballerini, con i muscoli dei loro corpi in tensione, di cui ha tappezzato la casa; la protagonista, al contrario, ballava e per lungo tempo dopo l'incidente ha rifiutato di vedere anche solo un danzatore. O ancora, Giovanna non si strugge per il proprio stato, ma ha messo la rabbia al servizio dei disabili, lottando perché la città sia dotata di rampe adeguate, servizi igienici attrezzati, ascensori,... 
In poco tempo, Giovanna e l'io narrante stringono un singolare rapporto di amicizia: pur continuando a non conoscersi davvero si sentono vicine nel dramma. Giovanna, una notte, rivela all'amica la sua seconda professione: telefonista in un call center erotico. Non si tratta solo di un lavoro per arrotondare, ma anche di una rivincita: dietro a un telefono, nessuno sa della mutilazione e delle difficoltà quotidiane di Giovanna, che lì si fa sinuosa come una Donnagatto (soprannome ricorrente nel romanzo). Solo la voce è importante, e con quella Giovanna può plasmare qualsiasi realtà in una sorta di sogno ad occhi aperti, recuperare il desiderio e la sensualità, convincersi per qualche minuto a pagamento di avere ancora entrambe le gambe.
La protagonista osserva tutto con muto stupore, ancora troppo schiacciata dal suo dolore e concentrata su di sé per recuperare la propria identità (infatti, perché ad esempio il compagno e la figlia appaiono solo di sbieco, qualche rara volta come la responsabilità che le impedisce il suicidio?). Ed è proprio questa sua sofferenza a essere raccontata in prima persona: ogni fatto è filtrato dalla propria sensibilità, da questo sentirsi "diversi" in un mondo che ancora isola i disabili, spesso senza accorgersene.

In questo La notte ha la mia voce, Alessandra Sarchi riesce a raccontare un dramma interiore ed esteriore, in un romanzo che trasuda dolore, senza mai risultare urticante o respingente. Non ci sono luoghi comuni, né la protagonista risulta un'eroina: è una donna ferita, dentro e fuori, profonda nelle sue riflessioni, che hanno inevitabilmente i toni cupi di chi continua a chiedersi perché continuare a vivere. Ma sa in ogni caso guardarsi attorno, osservare i dettagli con l'acutezza che probabilmente l'incidente ha accentuato. E il lettore non resta indifferente: è impossibile non soffrire con la protagonista, non avvertire la lotta quotidiana per riuscire a imporsi come persona e non come disabile. Questo non è solo un romanzo, è un'esperienza che porterete dentro a lungo; se avete provato a fare un percorso al buio all'Istituto dei Ciechi di Milano, sapete di che parlo: sono momenti potenti, che innescano una rivoluzione dentro a chi non ha disabilità e lasciano senza dubbio cambiati. Non sono esperienze da intraprendere a cuor leggero, come La notte ha la mia  voce non va letto alla ricerca di un romanzo strappalacrime: è, al contrario, in grado di fendere qualsiasi nostro pregiudizio (in senso letterale). Per farlo, Alessandra Sarchi sceglie uno stile decisamente letterario, tra paragrafi di riflessione acuta e profonda e altri di narrazione, ben ritmati da dialoghi credibili. Sì, come avrete capito, l'obiettivo di trasformare cronaca in letteratura è stato decisamente raggiunto.

GMGhioni