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«L'amore non serve a nulla, Ghita. Lo sai bene».

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Guardami negli occhi
di Giovanni Montanaro
Feltrinelli, 2017

pp. 144
€ 15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Tutte raccontano la mia storia senza saperla; dicono che il mio amore è falso, che lui aveva tante donne, principesse e cortigiane, che io ero solo una che gli piaceva.
È che io devo tacere, non posso dire niente.
Non posso dire la verità, raccontare com'è andata davvero la mia storia, fino a che punto ci siamo amati; sarebbe la mia fine. La mia storia non piace ai cardinali. E così mi toglierebbero l'unica cosa che mi resta, l'anello che ho appeso al collo.
(p. 43)
Un amore unico, anti-convenzionale, difficilissimo da spiegare ancora oggi. Impossibile da far comprendere ai contemporanei: Margherita, detta "Ghita" lo sa benissimo, e anche per questo sceglie deliberatamente di ritirarsi in un convento e mostrarsi il meno possibile. Tuttavia, in nome di una notevole quantità di denaro donato al convento, Ghita pare vezzosa nelle sue richieste: ad esempio, vuole che venga passata una mano di vernice bianca sugli affreschi della sua stanza, o vuole essere libera di profumarsi e di non partecipare agli incontri abituali scanditi dalla preghiera. C'è infatti un altro tipo di tormento che lentamente corrode la donna e rende smunta la sua bellezza: è la consapevolezza di non poter più vivere senza il suo amore. 
Nota al mondo come la Fornarina, Ghita è stata per anni la modella e la fonte d'ispirazione di Raffaello: lui l'ha amata, con le bizze e gli slanci di passione di un artista che ha fatto di tutto per arrivare alla fama. Ghita però è stata qualcosa di più: amore carnale e compagna di vita, sia quando era una semplice figlia di fornaio, sia quando ha raggiunto Raffaello, come è noto, nella villa del suo mecenate.

Tuttavia, non è la biografia storico-artistica a interessare fortemente Giovanni Montanaro, che nelle prime e nelle ultime pagine incornicia la biografia romanzata di Ghita con alcune interessanti riflessioni su ciò che resta dell'arte di Raffaello a Roma. Ma il presente non è che una molla che lascia spazio a un passato prepotente, fatto di sentimenti brucianti, raccontati attraverso gli occhi di una donna di umili origini, che prova a esprimere il suo tormento con metafore, solo apparentemente semplici, come questa:  «Ricordare è come una casa. Ricordare è pieno di polvere» (p. 64). E bisogna proprio "ricordare" che la sovrabbondanza retorica, pur sempre fine e ancora lontana dai barocchismi, è in perfetta comunione con il Rinascimento e la poesia di cui la stessa Ghita è lettrice e ascoltatrice. Dunque, non meravigliamoci nelle pagine in cui la sofferenza d'amore si veste di climax ascendenti, metafore e similitudini: è l'unico modo che ha l'io-narrante per provare a rendere l'ineffabile. 
E, oltre al lamento del suo presente, ecco che la storia d'amore riaffiora in veri e propri momenti di abbandono: ora Ghita si lascia trascinare dal fiotto di emozioni del passato, ora torna in sé e reinterpreta i fatti alla luce del presente.
È certamente un tentativo ardito, quello di Montanaro, a cominciare dalla scelta di dare voce a una ragazza di bassa estrazione sociale di molti secoli fa. Ma il risultato è un libro piacevole, che ha il grande merito di portare tutti quanti noi a guardare da vicino una storia d'amore su cui si è fantasticato tanto, spesso senza notare quel minuscolo anello che ha al dito la Fornarina. Leggendo il romanzo, l'arte, con tutta la sua magia stregata, diventa innegabile coprotagonista.

GMGhioni