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#paginedigrazia - Novelle (volume quarto) - Dell'amore per le proprie radici.

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Novelle - volume quarto
di Grazia Deledda
prefazione a cura di Giovanna Cerina
Nuoro, Ilisso, 1996

pp. 431
cartaceo: € 11
e-book: € 4,90


All'interno della produzione letteraria di Grazia Deledda si collocano, oltre agli innumerevoli romanzi, anche moltissime novelle, che costituiscono un genere che accompagnerà la scrittrice sarda durante tutto il corso della sua prolifica vita artistica.

Il volume di Novelle che ci apprestiamo oggi a recensire comprende tre raccolte: Il ritorno del figlio, La bambina rubata (1919), Il flauto nel bosco (1923), Il sigillo d'amore (1926).

Possiamo fin da ora operare un parallelismo tra le raccolte di cui sopra e i romanzi deleddiani pubblicati negli anni che vanno dal 1919 al 1926; in quell'epoca, infatti, si situano, ad esempio, Il segreto dell'uomo solitario (1921), Il dio dei viventi (1922) e La danza della collana (1924).

Sia nelle novelle che nei romanzi il primo elemento che balza agli occhi è il tentativo di collocare le vicende in contesti diversi rispetto a quello dell'amata Sardegna, prova, questa, di una maturazione narrativa che induce la Deledda a separarsi dalla terra natia per donare un afflato maggiormente universale alle sue storie e, come ha osservato Giovanna Cerina, "per staccarsi dal cliché che circoscriveva il suo mondo immaginario alla Sardegna" (Prefazione, p. 7).

Ancora, i cultori di questa scrittrice non potranno fare a meno di notare come, a parte Il ritorno del figlio, sia i racconti contenuti ne Il flauto nel bosco che ne Il sigillo d'amore sono contraddistinti da una notevole brevità.
Il motivo di questa estrema sintesi va ricercato nel fatto che si trattava di storie in gran parte concepite per la terza pagina de "Il Corriere della sera": dovendo tali testi essere lunghi al massimo due pagine, la Deledda fu costretta ad accorciare la tradizionale parabola delle sue storie

Giunto il momento di entrare nel vivo delle narrazioni, possiamo cominciare con l'analisi de Il ritorno del figlio, una storia incentrata sul dolore di una madre per la perdita dell'unico figlio a causa della guerra: quando ella vedrà comparire in casa sua un bambino abbandonato trovato dal marito, proverà nuovamente quei sentimenti di amore materno dei quali ormai non si credeva più capace.
"(...) Forse mamma non ne ha avuto, non ne ha certamente avuto: una mamma non lo avrebbe lasciato sperdersi così nel mondo (...)".
Nonostante la trama scorra lenta, è doveroso apprezzare non solo la delicatezza con la quale la scrittrice affronta un dolore al quale nessun essere umano dovrebbe essere sottoposto (quello per la perdita di un figlio), ma anche l'insegnamento per il quale anche dalle tragedie più grandi può sbocciare una speranza.

E' una Deledda diversa dal solito quella che troviamo in queste pagine, una Deledda che cela la Sardegna ma ancora non se ne distacca nelle ambientazioni, una Deledda, però, sempre in grado di elargire delle "perle narrative" a quanti la leggono:
"(...) Perché vi sono cuori abbandonati a sé stessi come terre incolte: basta smuoverli e seminarli perché diano frutto (...)".
Per quanto riguarda il secondo racconto, La bambina rubata, in esso vengono narrate le tristi vicende di un sordomuto emarginato dalla società che diviene padre. Egli, tuttavia, sarà destinato a perdere tragicamente la sua bambina.
Questa volta è sicuramente più marcato il tentativo della Deledda di allontanarsi dall'amata terra sarda, ma i paesaggi marini tornano spesso prepotentemente protagonisti delle sue pagine:
"(...) Ed ecco che me ne torno sulla spiaggia, adesso completamente deserta. Come è bella, la spiaggia, in questi giorni di ottobre dolci e colorati! Al tramonto il cielo dà l'impressione di un fiore che si sfoglia, con le sue nuvole rosse e gialle che cadono sul mare e dietro i monti; e la sabbia levigata, appianata dal vento, sembra il limite di un deserto, con appena qualche orma umana (...). Io guardo su e giù per la spiaggia; nessuno. Sono solo nel mondo (...)".
Sono parole d'amore quelle che la scrittrice dedica alla sua adorata Sardegna, sono la voce di un innamorata lontano (dal 1899 vive a Roma) che sente fortemente la mancanza della sua terra.

La raccolta Il flauto nel bosco è costituita da 27 novelle, nelle quali l'isola rimane sullo sfondo di racconti-leggenda o diviene il luogo di un'adolescenza mitizzata (in tal modo si è espressa Giovanna Cerina), come accade ne La madonnina degli involti, dove la Deledda racconta l'emozione di aver udito due finanzieri che parlano nel dialetto della sua terra:
"(...) Cosa non parve poi a mela voce di due giovani che vennero a sedersi sull'estremità della banchina, poco distante da me, e cominciarono a parlare il mio dialetto? (...)"
Ed ancora troviamo parole di autentica tenerezza per il mare:
"(...) A lungo andare anche col mare ci si è detto tutto, e vien un momento in cui la voce di un uomo sembra più potente e tumultuosa di quella delle onde agitate (...)".
Nella raccolta Il sigillo d'amore segnaliamo tre novelle di ambientazione sarda: A cavallo, Il nome del fiume e Il sigillo d'amore.
In queste storie l'isola natia è ormai lontana, ma il suo ricordo è più che mai vivo:
"(...) In queste sere di agosto, quando le stelle filanti mi ricordano le scintille del fuoco che si spegneva nel camino paterno, sento ancora quel rombo di fiume lontano, che mi porta con sé, ed è la forza della poesia, unica ricchezza della vita (...)".
All'interno di tali racconti assistiamo ad un continuo andirivieni tra presente e passato, oltre ad uso frequente della prima persona, quasi che le esperienze narrate altro non siano se non stralci di vita realmente vissuta dalla scrittrice barbaricina.

Sullo sfondo di altre novelle troviamo, invece, Roma, ma questa viene ritratta come una città minimale, più intimista di quella alla quale siamo abituati a pensare: anche se le rappresentazioni dell'isola sono oramai distanti, la traccia stilistica dell'autrice emerge comunque in un microcosmo malinconico e quasi romantico, nelle descrizioni delle case, delle periferie, delle storie di vita domestica e degli emarginati.

Questo nuovo interesse per la vita cittadina non deve indurre a credere, però, che l'animo battagliero della Deledda sia sopito, perché è in certe affermazioni che si può ravvisare il risorgere del suo temperamento battagliero:
"(...) Perché se il poeta in lei era comunista, la padrona di casa era ferocemente fascista (...)".
In conclusione, le novelle racchiuse in questo quarto volume ci trasportano in un universo che a prima vista può spiazzare quanti hanno amato i romanzi di Grazia Deledda, perché si avverte forte un mutamento stilistico e narrativo ma, ad un occhio attento, è facile ritrovare quegli elementi che ci hanno fatto amare l'autrice, primo tra tutti l'adorata Sardegna, trasposti in un'ottica davvero universale che prova, ancora una volta e se mai ce ne fosse bisogno, la strabiliante capacità di trattare in chiave universale temi tanto cari a noi tutti, mentre risuonano le parole che hanno condotto l'Accademia di Svezia a conferire il prestigioso Premio Nobel a questa piccola, grande donna
"Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano".

Ilaria Pocaforza