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#CriticaNera - Torna l'ispettore Gerri Esposito: alle prese con un arcangelo

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Angelo che sei il mio custode
di Giorgia Lepore
edizioni e/o, 2016

pp. 246
16,50


Quando lo scorso anno è uscito il primo noir con protagonista l’ispettore Gregorio, Gerri per gli amici, Esposito, scritto dall’ennesima penna prodotta dalla Valle d’Itria e da Martina Franca in particolare – dopo Mario Desiati e Donato Carrisi ecco infatti Giorgia Lepore – mi chiesi se c’era bisogno di un nuovo ispettore nella letteratura italiana. Che cosa dobbiamo ancora scoprire di così torbido? La risposta che mi ero dato partiva da una considerazione fumettistica. Quel romanzo d’esordio, I figli sono pezzi di cuore, lo vedevo come un’autentica carrellata di incubi. Buoni perfino per Tiziano Sclavi e Dylan Dog. E gli incubi rimandano al passato.

Così, partendo da questa angoscia, Giorgia Lepore aveva plasmato e continua a plasmare la peculiarità del suo ispettore: Gerri Esposito va avanti e indietro come un pendolo, stretto in mezzo a due indagini, quella assegnatagli dal suo capo per motivi di servizio, stavolta relativa alla sparizione di bambini e al loro ritrovamento in circostanze piuttosto macabre, e quella su di lui. Due binari che per Gerri è impossibile non portare avanti allo stesso tempo.
Soffermiamoci sul primo: l’indagine classica che in un noir ci vuole, il lavoro d’ispettore. Lo scheletro di un bambino viene ritrovato sul Gargano, in un bosco nei pressi di una grotta. Altri due bambini nel frattempo scompaiono, uno a Giovinazzo e uno a Bitonto. Gerri Esposito, che ancora deve riprendersi dalle pallottole buscate nel romanzo d’esordio, si trova a collaborare con il suo superiore Marinetti e con Giovanna Aquarica, specialista in sparizioni di minori proveniente da Roma. E fra Gerri e l’Aquarica se ne vedranno di belle. A sostegno delle indagini, Gerri incrocia due personaggi che paiono venire dalla commedia dell’arte, maschere straordinarie quali un ingegnere appassionato di archeologia e una fattucchiera che parla una lingua che solo Gerri riesce a capire. Finché tutto si attorciglia attorno al santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo. È l’Arcangelo stesso il ruolo chiave della vicenda e i capitoli dedicati al santuario ci fanno scendere nelle viscere di un culto che sono allo stesso tempo le viscere della Terra.
Spostiamoci sul secondo binario: l’indagine di Gerri su di sé. Avevamo già capito che questo ispettore è di origine zingara, abbandonato praticamente due volte in tenera età, dai genitori che non si sa chi siano e dalla salumiera a cui gli stessi lo hanno consegnato. Tirato su in un ricovero gestito da un prete di strada, ha maturato un affetto particolare per la donna che lo ha accudito e per il compagno di stanza. Tutto si è svolto a Napoli. Scopriamo adesso che ci sono fascicoli, ben chiusi nei cassetti delle scrivanie, proprio su Gerri Esposito conservati sia dal suo superiore Marinetti sia dalla stessa Giovanna Aquaviva. Marinetti per un impegno preso e una sorta di confidenza fraterna nutrita per questo strambo collega, Aquaviva per motivi – sempre meno – professionali. Ogni momento della giornata, della vita, che riporta Esposito a un passato costituito da radici e affetti negati, e transitoriamente e faticosamente riconquistati, è anche una curvatura nel romanzo.
È qui che Giorgia Lepore dimostra l’acquisita capacità di modellare un efficace equilibrio. Mentre durante l’esordio le scosse telluriche interiori di Gerri potevano destabilizzare maggiormente il tessuto complessivo – e forse era giusto così – a distanza di un anno Giorgia ha intrapreso con successo la strada della crescita stilistica a vantaggio della tenuta all’intero racconto.
Non era facile né scontato raccogliere un bambino abbandonato, farne un ispettore, sui generis, ecco perché ci sta bene accanto agli altri presenti nella scena letteraria, sradicarlo da ogni cosa e proiettarlo a indagare a Bari e dintorni. Non era altrettanto scontato che questa doppia indagine, che Gerri presumibilmente continuerà a fare, fosse resa in modo tale che l’una non oscurasse l’altra.
Senza considerare che si vuole bene a tutti i personaggi che si susseguono, a Gerri, ovviamente, ma non solo, in un clima di empatia diffusa, e che s’imparano a conoscere residui arcaici di questo Paese che affondano nelle rivalità tra longobardi e bizantini, nei misteri dei culti micaelici e dell’eresia ariana. Il lettore, insomma, impara a scavare come i protagonisti. E fra i protagonisti ci metto quelli organici, gli uomini, e quelli inorganici: le grotte, i cunicoli, gli strapiombi, la credenza fanatica. Giorgia Lepore c’invita a seguirla anche sottoterra. Sarà che nella sua vita precedente è stata archeologa.


Marco Caneschi