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L'amore vero? È quello che viene dopo l'innamoramento

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Il corso dell'amore
di Alain De Botton
Guanda, 2016

Traduzione di Elisa Banfi

€ 18 (cartaceo)
pp. 256


Un romanzo a tesi o, al contrario, un romanzo che parte dall'esperienza reale per trarre induttivamente alcune riflessioni più generali? Difficile a dirsi - paradossalmente un po' entrambe le cose. Dipenderà forse dal fatto che Il corso dell'amore del filosofo Alain De Botton ha fortemente intrecciato il piano narrativo a quello saggistico-filosofico, e non è sempre facile comprendere quale aspetto sia dominante. Senza dubbio, la narrazione è quantitativamente più abbondante, mentre alla riflessione filosofica vengono affidati corsivi qua e là. Dunque, si potrebbe propendere per l'ipotesi di un romanzo-esperienza; ma se si osserva il lato qualitativo, ecco che le riflessioni sembrano destare più attenzione e avere maggiore originalità. Altro vicolo cieco? Forse. Eppure è proprio ciò che si prova leggendo quest'opera singolare, a tratti scorrevole come un romanzo d'amore, talvolta densa e ostica per la forza dei contenuti sottesi ed espliciti sul meta-amore (vi risuona forse Barthes?). 

L'inizio trae infatti in inganno: pare la classica storia d'amore a lieto fine, con un incontro fortuito che cambierà per sempre la vita dei due protagonisti. Ma il flirt e la bolla di sapone dei primi tempi durano poco: ciò che De Botton propone è proprio ciò che viene dopo l'innamoramento, quando la routine ha la meglio. In altre parole, ciò che tradizionalmente la letteratura e l'arte tacciono: 
In un mondo ideale, l'arte dovrebbe offrirci le risposte che le persone non sanno darci. Anzi, potrebbe essere proprio questa una delle funzioni principali della letteratura: raccontarci ciò che la società è troppo moralista per esplorare. I libri importanti dovrebbero essere quelli che ci spingono a domandarci, con sollievo e gratitudine, come faceva l'autore a sapere così tanto della nostra vita. (p. 67)
Solitamente, questo non accade, compare la scritta "The end" e non resta che immaginare/sognare che tutto andrà bene ai protagonisti. Così, quando invece le nostre esistenze dimostrano il contrario, ecco che ci convinciamo di avere tra le mani una relazione ormai naufragata e disperante e non possiamo fare appello all'arte per confortarci. De Botton invece accende la luce (spesso impietosa) sui suoi protagonisti: vizi e difetti, punti di forza della coppia e rispettive angherie. Allora Rabih e Kirsten attraversano fasi di passaggio prototipiche del matrimonio e, più in generale, delle relazioni di coppia, dal broncio alla censura sessuale, dalla tentazione per altri al senso di colpa, dal rapporto complesso tra sesso e genitorialità ai non-detti che creano fratture, dall'essere il miglior amico al peggior nemico l'uno per l'altra. 
È proprio per l'esemplarità delle scelte che Rabih e Kirsten rischiano di non essere i protagonisti di una storia, ma di erigersi a modello, un po' manichini di una trama decisa in tutto e per tutto a tavolino dalle teorie di De Botton. Per questo non tutti i capitoli sono ugualmente convincenti, ma senza dubbio dal libro emergono la schiettezza e il coraggio di intraprendere un cammino narrativo e filosofico nell'inesplorato quotidiano a due. 

GMGhioni