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E se la vera libertà non fosse imprigionata dietro le sbarre?

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La solitudine dell'assassino
di Andrea Molesini
Rizzoli, 2016

pp. 368
€ 19 (cartaceo)



«La giustizia un uomo se la porta dentro, quella che la legge incarna è una caricatura impregnata del puzzo del comune sentire». (p. 286)

E se la vera prigionia consistesse nell'uscire di prigione e rinunciare a tutte le forme di libertà e al ruolo conquistati con fatica dentro? Parte da questa domanda enigmatica il nuovo romanzo di Andrea Molesini, appena uscito per Rizzoli. Lo scrittore veneziano, che da sempre ci ha abituati a fronteggiare storia, spazio e sentimenti umani senza mai darli per scontati, torna a proporre una lettura insolita dell'idea di libertà, di morte e di giustizia. Per farlo, lascia che gli eventi vengano letti da un io-narrante abituato a traslittare i pensieri altrui: Luca Rainer, affermato traduttore, chiuso però nel suo mondo di parole e ormai poco aperto alla vita e a nuovi incontri, alle prese con un editore singolare e imprevedibile. 
La nuova proposta editoriale è qualcosa di insolito: scrivere la vita di un uomo, Carlo Malaguti, assassino destinato a uscire presto di prigione, a ottantuno anni e senza più nessun affetto fuori dal carcere. La direttrice della struttura penitenziaria, la sig.ra Basile, è umana ben oltre quanto le sia richiesto dalla professione e si preoccupa per il destino di quel carcerato, che ha saputo meritarsi stima e rispetto per la sua vasta cultura e per l'amore per i libri. Questi, non solo rappresentano l'evasione con la fantasia dalla prigionia, ma anche gli ricordano continuamente la sua antica professione di bibliotecario. Malaguti parrebbe un uomo mite, un poeta forse, lirico nel suo smentire i pregiudizi della vita e ancora stupito dalla bellezza delle rose che coltiva. Dunque, cosa lo ha portato a macchiarsi di omicidio e a non cercare neanche di difendersi? 
 
La figura piena di doppifondi, di asperità e di saggezza attira Rainer, che accetta la sfida di scrivere la biografia, nonostante la riservatezza tenuta da Malaguti. Infatti, l'uomo, pur conoscendo e stimando Rainer come traduttore, diffida dell'impresa di scrivere la sua storia. Eppure qualcosa accade: è il cammino della liricità - l'unico trait d'union che può avvicinare la vita regolare di Rainer, interrotta solo da qualche bianchino e fantasie erotiche, all'esistenza piena di desideri continuamente tamponati e sublimati di Malaguti. 
Poi, la scintilla dell'intesa scatta, ed ecco che Malaguti, personaggio controversissimo, esce dal carcere e deve affrontare il ritorno alla vita civile, quel che la direttrice temeva tanto: riuscirà Rainer, con la biografia, a trattenere il vecchio dalla tentazione del suicidio? 
Mentre la domanda risuona in ogni pagina, ed è questo il primo grande mistero del libro, ci si chiede con sempre maggiore insistenza il movente dell'omicidio efferato di cui si è macchiato Malaguti, che avrebbe più l'aria del saggio che dell'assassino, se non fosse per le tante ombre che lascia intuire. E per scoprirlo bisognerà superare la metà del romanzo, ripercorrere gli anni devastanti della Seconda guerra mondiale, chiedersi quanto sia labile il crinale tra fedeltà e tradimento... E si scoprirà che alla base di tutto si muovono impulsi atavici, slegati da qualsiasi contingenza storica:
«La gelosia la sa più lunga della ragione, perché immagina di più.» (p. 197)
Tra panorami noti all'autore veneziano e un movimento di risacca che sospinge al largo del passato e poi verso la costa del presente, Andrea Molesini propone un romanzo variegato di sentimenti contrastanti, di mistero e di smentita del luogo comune. C'è tanta liricità dichiarata, anche nei dialoghi, da rendere quasi inverosimile la storia. E invece, basta l'incontro di due personaggi così, a modo loro outsider della società, a sprigionare riflessioni argute, quasi massime sapienziali, che si sfamano continuamente di realtà e sulla realtà si ripercuotono.

GMGhioni