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La buona memoria può essere feroce: le "Dieci donne" di Marcela Serrano

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 Dieci donne
di Marcela Serrano

Feltrinelli, 2013 (2011)
traduzione di Michela Finassi Parolo e Tiziana Gibilisco

288 pp.
9,00 €


“Sapete cos’è che ammazza? Il silenzio. È questo che ti ammazza. [...] Anni e anni di silenzio. Dentro ti si forma una specie di nodo, una matassa, e non c’è modo di sbrogliarla. [...] Se la dottoressa adesso vuole che parliamo, ve lo dico per esperienza: ci farà bene.”

Donne, a 360 gradi. Donne giovani o anziane, ricche o povere, donne straniere e donne estranee. Sono le protagoniste di Dieci donne, romanzo corale scritto nel 2011 dalla cilena Marcela Serrano. Le loro vite si toccano senza mischiarsi una domenica mattina, quando ognuna di loro racconta la sua storia alle altre. Il luogo di incontro è lo studio di Natasha, la loro psicoterapeuta, ma non c’è niente di tragico nel racconto. Non si tratta di pazienti borderline, di casi irrecuperabili, ma di esistenze normali, incagliate in un ostacolo comune: la solitudine.

Questo sentimento per Simona, Juana, Lupe, Manè e le altre protagoniste non va quasi mai inteso in senso fisico. Molte di loro sono circondate di persone, hanno avuto diverse relazioni, figli, hanno viaggiato, ma portano con sé un segreto, un elemento di estraneità, per cui l’unica soluzione è stata, quasi sempre per caso, il lettino di Natasha. È così per Lupe, adolescente lesbica, per la quale “nascondere l’affetto che provi per qualcuno è complicato e angosciante”. È così per Layla, lacerata dall’interno dal ricordo della violenza, che rivive ogni giorno guardando un figlio che è incapace di amare. 
“La buona memoria può essere feroce. Ricordare tutto significa afferrare ogni giorno un coltello affilato e tirarsi via strati di pelle. Dobbiamo organizzare l’oblio”.
È così per Francisca, la cui madre “semplicemente non la amava”, e che per questo sente di non poter meritare affetto da alcuno, fino al punto di essere gelosa della sua psicoterapeuta. In altri casi a condurre le donne da Natasha sono vicende normali: la paura di invecchiare, la perdita della sfera familiare a causa del lavoro, o, viceversa, la paura di dipendere da un uomo.

Tra le storie, tutte narrate in prima persona, apparentemente non c’è dialogo: sono raccontate in un luogo, una mattina di un giorno di festa, ma le narratrici provengono da realtà così differenti che non si sono mai incontrate prima. Tuttavia a un livello di lettura più profondo si rintracciano alcuni elementi comuni: le difficoltà coniugali o le burrasche sentimentali; il senso di sradicamento; esperienze traumatiche nel rapporto con i genitori, violenze, la perdita di una persona cara.

Restando a livello di superficie, si incontrano nove donne convenute nello studio della loro dottoressa, che combattono la solitudine facendosi compagnia, come i cuccioli di un cane  “tutti ammucchiati” perché hanno “bisogno gli uni degli altri per sopravvivere”, per trovare il calore. In realtà quelle donne così diverse sono tutte la stessa donna, prima di uscire “si saranno cambiate d’abito perché non si sentivano a loro agio”, sotto il gilè nero o la camicetta rosa stavano “raccogliendo le energie per la giornata che le attendeva”.  Non è il fatto di incontrarsi in un luogo ad unirle, ma la scelta di mettersi a nudo, di raccontare le proprie ansie e insicurezze, ponendosi su un piano di parità sostanziale, giudicando ognuna le opinioni delle altre, ma con rispetto, senza escludere.

Le pazienti sono nove, e la decima donna a raccontarsi – anche se indirettamente, per pudore – è Natasha, la cui esperienza è, superficialmente, la somma di tutte le altre, in realtà è un po’ la spiegazione dell’intero libro. Natasha cerca una persona che la faccia sentire completa, una figura tramite cui riconnettersi con i suoi ricordi più antichi, riannodare le ferite lasciate dal tempo, dalla guerra, dalla migrazione. Questa persona è una donna.

Uno dei temi centrali del romanzo è il rapporto con l’uomo, che per qualcuna è la fonte della sofferenza, per altre un oggetto simbolico, una compagnia da cui la donna deve imparare a rendersi indipendente, per badare a sé, per bastare a sé. “Il valore degli esseri umani sta nella loro capacità… di essere indipendenti, di appartenere a se stessi”. In questo senso le donne di Marcela Serrano sono donne forti, o che vogliono esserlo, dopo essere state deluse da un uomo. Quando invece lo strappo, la ferita, viene da una figura femminile – una madre, una figlia – l’uomo diventa un compagno indispensabile, come per Francisca, “un luogo di solidità”, o un complice, come per Lupe.

In genere, comunque, l’appello di Serrano sembra andare in direzione di una maggiore indipendenza e libertà delle donne dagli uomini. Semmai, le donne possono trovare sostegno in una forma di solidarietà al femminile che la Serrano avrà vissuto in prima persona con le sue quattro sorelle, e che plasma nel libro sotto forma di una seduta collettiva di psicoterapia.  

I temi di Dieci donne sono molti più dei racconti, potenzialmente il libro avrebbe potuto continuare con infinite declinazioni di queste vite al femminile. Si tratta di un piccolo campionario di esistenze variegate, che allontanano la donna dallo stereotipo di casalinga o secondo sesso, in realtà da qualunque riduzione ad unum imposta da una sovra-cultura. Il racconto di questa narrazione prosegue in Adorata nemica mia (2013).