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La lettera: di amore, violenza e segreti

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Foto ©Debora Lambruschini
La lettera
di Kathryn Hughes
Editrice Nord, maggio 2016

Traduzione di Chiara Iacomurzio

pp. 352
euro 16.60



Ho sentimenti contrastanti a proposito di questo romanzo, appena pubblicato in Italia dalla casa editrice Nord. Esordio accolto con incredibile favore di pubblico, in breve tempo diventato un bestseller e tradotto in tutto il mondo, il romanzo dell’inglese Kathryn Hughes ha, senza dubbio, tutti gli elementi adatti a garantirne il successo: una storia ricca di pathos, spunti di riflessione interessanti, sentimenti, scrittura scorrevole.
Eppure. Eppure, nonostante l’impatto emotivo che tale storia sembra aver avuto anche sui lettori italiani – e dando un rapido sguardo in rete non si contano le recensioni entusiaste – personalmente non posso dire di esserne stata conquistata davvero fino in fondo. Una lettura piacevole, certo, in cui non mancano momenti di coinvolgimento emozionale, ma che purtroppo a mio parere scivola via troppo in fretta un attimo dopo la parola fine. Una di quelle storie, cioè, capaci di intrattenere per il tempo breve della lettura ma che non riescono ad andare oltre, i cui difetti – strutturali, narrativi – oscurano i punti di forza che pure non mancano. Un romanzo piacevole, quindi, adatto ad intrattenere il lettore con la sua storia di sentimenti e speranza, da gustare per quello che è, lasciandosi coinvolgere dalla trama; un esordio imperfetto, ma per certi versi interessante.
Come si intuisce già dal titolo, al centro della narrazione il ritrovamento di una lettera, che scatena un’appassionata ricerca al fine di svelarne il mistero, in cui vite – e sentimenti – si intrecciano in maniera inaspettata.

4 settembre 1939

Christina, tesoro mio, c
ome sai, non sono molto bravo in questo genere di cose, ma il mio cuore è a pezzi e mi spinge ad agire. Il modo in cui ti ho trattata ieri è imperdonabile, però, ti prego, sappi che se mi sono comportato così è stato solo perché ero sconvolto e non per quello che provo per te. Questi ultimi mesi sono stati i più felici della mia vita. Non te l’ho mai detto prima, lo so, ma ti amo, Chrissie e, se tu me lo concedi, voglio trascorrere con te ogni giorno che ci resta per dimostrartelo…

Ed è, nell’alternarsi di voci, tempo e luogo della narrazione, che la storia si dipana, mentre il senso delle parole contenute in quella breve lettera si fanno via via più chiare e fondamentali. Un amore perduto, nell’Inghilterra di fronte allo scoppio della seconda Guerra Mondiale, incomprensioni e disperazione, una giovane ripudiata dalla famiglia e l’esilio nei luoghi più remoti d’Irlanda. E una donna infelice, sul finire degli anni Settanta, succube di un marito alcolizzato e violento incapace di lasciare per sempre, la scoperta di quella lettera a cambiare, forse, ogni cosa.

Quelle vite, si diceva, che si intrecciano, due donne sconosciute che, non del tutto consapevoli, muovono le fila di una storia di solitudini, abbandoni, sentimenti, coraggio ed attesa. Da una parte Chrissie, la scoperta dell’amore nella Manchester di primo Novecento di fronte alla guerra imminente, i timori di quei giovani di colpo costretti a diventare adulti; un amore intenso, contrastato – naturalmente – , in equilibrio precario fra la spensieratezza di due ragazzi che si scoprono innamorati e le difficoltà della vita con cui dover fare i conti.

Prima di allora, Billy non aveva mai avuto relazioni importanti, perciò faceva tesoro di ogni sensazione che quel legame destava in lui. Sapeva che si stava innamorando, e nemmeno lo spregevole dottor Skinner sarebbe riuscito a smorzare l’impeto dei suoi sentimenti. Tuttavia era terrorizzato dalla guerra imminente e dal pensiero che avrebbero potuto spedirlo in qualche sperduto campo di battaglia per prendere parte a un conflitto di cui lui capiva poco o nulla.

Un figlio, a cambiare per sempre le cose. Chrissie, giovane di buona famiglia, un padre severo e una madre incapace di contrastarlo davvero, neanche ventenne si ritrova improvvisamente sola, lontana da tutti, ripudiata da quella famiglia che non può accettare lo scandalo di fronte ad un figlio avuto fuori dal matrimonio. In un istante, infatti, tutto cambia per sempre, la dolcezza dell’amore, la paura per la guerra imminente, le amicizie rovinate, non sono altro che un rumore di fondo di fronte alla disperazione dell’abbandono, la perdita degli affetti e la solitudine cui la giovane è costretta nella lontana Irlanda. Perchè Billy, troppo sconvolto per capire, ha rovinato ogni cosa e quella lettera da consegnare forse non basta a farsi perdonare, non con il destino a mettersi in mezzo.

Ma se quelle parole scritte in fretta non sono, forse, sufficienti a cambiare le vite di Chrissie e Billy, potrebbero esserlo per Tina: una lettera ancora sigillata trovata per caso nella tasca di un vecchio completo dato in beneficenza, parole appassionate, di pentimento e scuse, che la spingono a cercare di svelare il mistero delle vite di due estranei, per distrarsi dalla miseria del proprio quotidiano, fatto di paura e violenza. Forse non riuscirà a salvare sé stessa, forse non saprà dove trovare la forza per allontanarsi da un marito che abusa di lei, ma quel che è certo, per Tina, il desiderio di scoprire la storia che si cela dietro quelle parole e consegnare, finalmente, la lettera alla sua legittima proprietaria, sperando in un lieto fine possibile, almeno per loro.
Pagina dopo pagina, nell’alternanza di voci e punti di vista, entrambe le storie, di Chrissie e di Tina, si rivelano al lettore, intrecciandosi sempre più l’una con l’altra. E proprio le due donne rappresentano il cuore di questo romanzo, il punto di vista principale da cui osservare la vita e le prove che qualche volta si è chiamati a superare. Storia di amori, sofferenza, solitudine, cattiveria e violenza; ma anche di amicizia, affetto, amore incondizionato, maternità e speranza, nonostante tutto. Perché laddove l’esordio di Hughes non convince fino in fondo, tuttavia non mancano, si diceva, alcuni elementi interessanti, che rendono la lettura piacevole pur lasciando un po’ insoddisfatti per quanto resta solo accennato in superficie, sommariamente tratteggiato nell’insieme di molte tematiche e spunti che formano la storia.

Due, soprattutto, gli spunti di riflessione più intensi, centrali anche nello sviluppo della trama, estremamente differenti eppure in qualche modo intrecciati ai fini della storia. La violenza domestica, raccontata con vivida onestà, il dolore e l’umiliazione, il terrore, ma anche l’incapacità di reagire, denunciare, andarsene; perché non esiste pentimento, non esistono scuse, nessun cambiamento possibile, e un uomo violento non deve mai essere perdonato né tantomeno giustificato. Tina, succube di un marito spregevole, alcolizzato e fallito, brutale, imprigionata in una vita fatta di botte e scuse, da cui prova a scappare senza avere mai la forza di riuscire ad allontanarsene per sempre. È questa la parte che fa più rabbia, ma forse anche la più realistica: una donna incapace di vedere davvero la realtà, prendere in mano la propria vita e scappare, il timore della solitudine e la paura che paralizza. A poco o nulla servono gli avvertimenti delle persone che si preoccupano realmente per lei, ogni volta la donna è pronta a credere che quelle scuse siano sincere, che un cambiamento sia possibile. Non è facile leggere quelle pagine della vita di Tina, ma senza dubbio è più che mai necessario scriverle, per raccontare l’orrore che troppe volte si nasconde appena sotto la superficie.

Di dolore è fatta anche la storia di Chrissie, di perdita e solitudine. E fa da contraltare ad una materia tanto oscura, la riflessione intorno ad un tema dicui qualche anno fa si era, per un momento, tornato a parlare, ancora una volta grazie alle storie, per parole ed immagini. È il racconto di quanto accadeva nell’Irlanda cattolica – ma non soltanto – del secolo scorso, dove le giovani donne ripudiate dalle proprie famiglie venivano accolte nei conventi al riparo da indiscrezioni e pettegolezzi, dove mettevano al mondo quei figli illegittimi, quando diventare madre fuori dal vincolo del matrimonio era motivo di condanna ed umiliazione
[…] ha lasciato il St Bridget tre anni dopo il parto. È quella la regola. Ti occupi del bambino per tre anni e poi sei libera di andartene. Da sola, però, sia inteso. Nessuna ragazza ha mai avuto il permesso di portare con sé il figlio.
Ma storie come quella di Philomena Lee, la protagonista della ricerca giornalistica di Martin Sixsmith, diventata poi un intenso film interpretato dalla sempre straordinaria Judi Dench, rivelano una realtà spesso più oscura e sofferta: è il racconto di giovani donne umiliate, che nel duro lavoro di ogni giorno cercano di espiare le proprie colpe e, soprattutto, costrette alla fine a rinunciare per sempre ai propri bambini, dati in adozione a ricche famiglie, perdendo ogni diritto su quei figli. Anche la storia di Hughes racconta, seppur in maniera davvero poco approfondita a mio avviso, quel sistema andato avanti per decenni, di cui ancora si fatica a parlare, che forse invece una capacità letteraria più matura avrebbe saputo adeguatamente rappresentare, tratteggiandone non solo i contorni ma restituendo complessità e contraddizioni di un sistema imperfetto, spesso brutale ed ingiusto, di omertà e segreti, con cui ancora è necessario fare i conti.
E l’adozione, in generale, è un tema portante del romanzo che attraversa la storia dell’autrice inglese dandone un’immagine in questo caso invece più complessa, mettendone in luce cioè aspetti differenti, non tutti ugualmente positivi. Di madri e amore incondizionato, ma anche di figli perduti per sempre e uomini incapaci di accettare la vita e provare affetto sincero:
Non aveva mai davvero accettato Billy come figlio suo, e la quantità di amore e di attenzione che Alice riversava sul ragazzo non faceva che accentuarne il rancore.
Figli abbandonati, orfani, che trovano una casa e una famiglia a crescerli con profondo affetto: qualche volta un sentimento talmente profondo da risultare cieco di fronte alla realtà, altre storie a raccontare invece il legame sincero e indissolubile tra una madre – non importa se biologica o per scelta – e un bambino che non può essere altro che il proprio figlio, da amare ad ogni costo, anche quando, in altri casi, vuol dire lasciarlo libero di trovare la propria strada.

È questo, forse, il senso di questo romanzo: la ricerca della propria strada, della felicità, che qualche volta è possibile, nonostante tutto. E dove il destino o la cattiveria dell’uomo si mettono in mezzo, forse nuove forme di felicità sono comunque possibili.

Di Debora Lambruschini