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Pillole d’autore | Le quartine (Robâ’iyyât) di Omar Khayyâm

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103*
O cuore, fa’ conto di avere tutte le cose del mondo,
fa’ conto che tutto ti sia giardino delizioso di verde,
e tu su quell’erba verde fa’ conto di essere rugiada,
gocciata colà nella notte e al sorgere dell’alba svanita.


Chi era Omar Khayyâm? Alcuni dicono fosse un astronomo, altri un matematico e un filosofo. Di certo era un poeta. Khayyâm, letteralmente ‘fabbricatore di tende’, nacque a Nisciâpûr, nella Persia nord-orientale, dove morì intorno al 520 (1126). Non si ha nessuna notizia certa sulla sua vita, tuttavia, è indubbiamente il poeta più noto della letteratura persiana, che non smette di sedurre da quasi un millennio con i suoi versi, in particolare con l’immediatezza delle quartine, brevi e dirette, nel loro razionalismo pessimistico, quasi contemporaneo e privo di confini geografici.

Robâ’iyyât (‘Quartine’) ha attirato l’attenzione di filologi e studiosi, che si sono interrogati sull’attribuzione, i temi e l’identità stessa dell’autore, essendo moltissime quartine attribuite anche ad altri poeti, è assai difficile distinguere le autentiche dalle spurie. Circa 100 furono tradotte in inglese da Edward Fitzgerald nel 1859, che ne diede (volutamente) un’interpretazione molto libera e in chiave edonistica; più attenta e fedele quella di Jean Baptiste Nicolas; traduzione molto apprezzata è quella dell'italiano Alessandro Bausani ─ a cui faccio riferimento ─ che si pone come via di mezzo tra una «filologicamente impeccabile» e una traduzione troppo libera e infedele. 


Come spiega lo stesso Bausani nella prefazione, alcuni aggettivi sono stati aggiunti per mantenere il ritmo dei versi, le allegorie ─ spesso di immagini quotidiane come «Luna» (appellativo del bel volto in persiano), «Vino», «Terra», ecc. ─ poste con la lettera maiuscola iniziale.La filosofia epicurea fa da regina all’interno della raccolta, con il monito oraziano del carpe diem, pur nascondendo contenuti mistici, da interpretare allegoricamente. Non celate, le espressioni di pessimismo, socratiche nei confronti dei limiti della ragione umana «E l’unica cosa che seppi è che mai nulla ho saputo».  Motivo portante è l'esaltazione del vizio bacchico, probabilmente simbolo del perdersi nella contemplazione, ma soprattutto simbolo di ribellione al potere politico-religioso. Altri temi (tipici della poesia e della filosofia classica) sono la meditazione sulla morte e sul tempo, il confine sottile tra l’Essere e il Nulla, l’amore, il piacere.  Dio è spesso rimproverato, così come un qualsiasi forma di  bigottismo  religioso, «porgi la coppa allora, ché chi beve vino al mattino/ Non cura pensier di Moschea, è libero d’ansie di Chiesa». Tutte le quartine segnate con asterisco sono quelle contenute nel manoscritto Chester  Beatty.

Testo di riferimento: OMAR KHAYYÂM. Quartine (Robâ’iyyât), a cura di Alessandro Bausani, traduzione di Alessandro Bausani, Einaudi, 1979.


10*
Oggi potere alcuno non hai, no, sul domani,
E ripensare al domani non è che tristezza.
Non perder quest’attimo dunque se il cuore tuo non è
                                          folle:
Di questo resto di Vita non si vede il Valore.

12*
O Ruota crudele del cielo, dall’odio tuo viene la Morte
E l’ingiustizia fu sempre lo stile tuo antico ed eterno.
O Terra, se il petto tuo squarciassero gli uomini
Quante preziose perle vedrebbero entro il tuo seno!

29
Poi che null’altro che vacuo vento ci resta d’ogni cosa
                                        ch’esiste,
Poi che difetto e sconfitta colgono al fine ogni cosa,
Considera bene: ogni cosa che è, è in realtà nulla;
Medita bene: ogni cosa ch’è nulla, è in realtà tutto.

39
Giorni di primavera e rive d’un rivo e lembo di prato,
E ancor qualche bella fanciulla docile dolce d’angeliche
                                         forme.
Porgi la coppa allora, ché chi beve vino al mattino
Non cura pensier di Moschea, è libero d’ansie di Chiesa.

42*
Mi dice la gente: «Gli ubriachi andranno all’inferno!»
Ma son parole queste prive di senso pel cuore:
Se dunque andranno all’Inferno i bevitori e gli amanti,
Vedrai il Paradiso domani nudo come il palmo di mano!

93
Mai l’intelletto mio si distaccò dalla scienza,
Pochi segreti ci sono che ancor non mi son disvelati,
E notte e giorno ho penato per lunghi settantadue anni,
E l’unica cosa che seppi è che mai nulla ho saputo.

202*
L’amata, che il cuore m’ha fatto malato d’amore,
Ella stessa altrove è caduta in preda agli affanni.
Come posso sforzarmi a cercar la mia cura
Quando colui ch’è il mio Medico è caduto malato?

230*
Quando son sobrio, la gioia mi è velata e nascosta,
Quando son ebbro, perde ogni coscienza la mente,
Ma c’è un momento, in mezzo, fra sobrietà e ubriachezza…
Per quello tutto darei, quello è la Vita Vera!

234*
Fin quando farò ancora sfoggio della mia sciocca igno-
                                          ranza?
Oh, mi si stringe il cuore per l’impotenza mia!
Mi cingerò d’ora in poi con il zunnâr [1] la vita,
Ché del peccato mio e del mio islâm mi vergogno!

243*
O Tempo, tu stesso la tua ingiustizia confessi,
Nel monastero di tiranna Oppressione arcigno t’apparti.
Richezze doni agli abbietti, agli uomini retti tormento:
Uno dei due hai da esser tu, asino o sciocco.

282*
Puri venimmo da Nulla, e ce ne andammo impuri.
Lieti entrammo nel Mondo, e ne partimmo tristi.
Ci accese un Fuoco nel cuore l’Acqua degli occhi:
La vita al Vento gettammo, e poi ci accolse la Terra.


Isabella Corrado


[1] La cintura che distingueva i non musulmani (gli zoroastriani ad esempio).