in

Il Salotto - Intervista a Emanuela Zuccalà

- -
Mesi fa, ho letto con molto interesse Donne che vorresti conoscere, scritto da Emanuela Zuccalà (con la postfazione di Simona Ghizzoni) e pubblicato nel 2014 da Infinito Edizioni.
Giornalista di Io Donna, storico magazine di attualità femminile del Corriere della Sera, ha condotto numerose inchieste sui diritti delle donne, premiate dalla Commissione europea. Reporters sans Frontières le ha assegnato il Press Freedom Award. Per Paoline Editoriale Libri, ha pubblicato Risvegliato dai lupi. Un francescano tra i carcerati: delitti, cadute, rinascite (2004), Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre, una delle ultime testimoni della Shoah (2005) e La Mia 'ndrangheta (2012, con Rosy Canale). Per Agenzia X, ha pubblicato Creature simili. Il dark a Milano negli anni Ottanta (2013, con Simone Tosoni). Il documentario Solo per farti sapere che sono viva, co-diretto con Simona Ghizzoni, è stato proiettato in oltre dieci paesi del mondo.
Nonostante i numerosissimi impegni, Emanuela Zuccalà ha avuto la bontà e la pazienza di concedermi un'intervista a proposito di Donne che vorresti conoscere, stimolando qualche riflessione in più sulla condizione femminile in un momento storico particolarmente delicato come quello attuale.

Senza nulla togliere ad altri saggi dedicati al femminicidio, ho avuto la netta impressione, sin dalle primissime pagine, che il tuo libro proponga una visione a più ampio respiro della condizione della donna nei suoi aspetti più sofferti, delineati attraverso una sorta di lungo viaggio attraverso le varie latitudini del nostro pianeta. Latitudini che, per dirla con Wim Wenders, sono così lontane ma così vicine, seppur con sfumature diverse. Com'è nata l'idea di scrivere un libro che si innesta sulla metafora del viaggio che, da reale e concreto, diviene un viaggio introspettivo anche per chi legge?

Dal 2001 scrivo per Io donna, il settimanale femminile del Corriere della Sera: ho realizzato numerosi reportage su tematiche femminili in varie parti del mondo e in Italia, oltre che sui diritti delle donne, spesso violati, raccogliendo tantissime storie. Con alcune delle donne che ho incontrato, è persino nata un'amicizia, e con altre siamo comunque rimaste in contatto. Questi rapporti sono scaturiti dalla condivisione di interessi comuni come il giornalismo o, in altri casi, da un feeling nato spontaneamente e che trascende gli interessi condivisi. E' accaduto con Patrizia, per esempio. la protagonista dell'ultima storia che ho inserito nel mio libro. E' una donna molto diversa da me e con una vita distante dalla mia, caratterizzata da esperienze drammatiche ma soprattutto da una rinascita che lei ha fortemente voluto. E' stata lei a cercarmi affinché scrivessi la sua storia incredibile che sarebbe perfetta per la sceneggiatura di un film, ed è stata determinante, con il suo incoraggiamento, anche per la pubblicazione del libro.
Come ho detto poco fa, a un certo punto mi sono ritrovata ad avere una sorta di archivio pieno di storie e ho pensato che tutte fossero unite da un filo logico, non soltanto perché parlano della condizione femminile ma anche perché, a dispetto della grande distanza geografica, culturale e sociale fra me e queste donne, ho individuato molti aspetti che ci accomunano. Mi piace pensare che fra donne (forse lo stesso accade agli uomini, chissà), qualche punto in comune lo si trovi sempre. E ho immaginato che sarebbe stato bello proporre a un grande pubblico tutti questi elementi che le donne condividono a qualunque latitudine. Ho dunque pensato che sarebbe stato un peccato relegare tutte queste storie solo ad articoli di giornale che nascono e muoiono in breve tempo, e che sarebbe stato bello riuscire a regalare loro la vita più lunga che solo le pagine di un libro sanno concedere. Sì, io penso ancora che il libro stampato possa agire da memoria. Infinito Edizioni ha accolto molto favorevolmente fin da subito il progetto di Donne che vorresti conoscere. Inutile dire che, per questo libro, mi sono vista costretta a fare una cernita fra le tantissime storie raccolte nel corso degli anni. E, a distanza di un anno dall'uscita del libro, è davvero forte la tentazione di aggiornarlo in una nuova edizione, dando spazio agli incontri più recenti.
Per quanto concerne il tema del viaggio, devo dire che si tratta della mia dimensione naturale, anche perché il lavoro che svolgo mi porta a viaggiare tantissimo. Che siano viaggi lunghi o brevi, risultano sempre molto intensi. Le donne che incontro mi rendono partecipe dei loro risvolti esistenziali più privati, al punto che una settimana di viaggio a volte mi sembra equiparabile a mesi di esperienze di vita vissuta. E dunque mi è venuto spontaneo trasporre anche nel libro questa mia dimensione naturale del viaggio. Una dimensione che vuole sempre includere anche realtà geografiche e geopolitiche poco note o dimenticate; penso ad esempio al capitolo Amaro come la vita (Elghalia), la cui vicenda si svolge nello scenario della guerra a bassa tensione del Sahara Occidentale, un conflitto pressoché trascurato dai media internazionali. Per quanto mi riguarda, la dimensione del viaggio si estrinseca anche attraverso il bisogno di spaziare da un luogo all'altro, in senso fisico e metaforico.

Le storie che racconti non sono obiettivamente semplici da metabolizzare. Oltre alla violenza domestica, che getta un'ombra molto cupa sull'attuale condizione di molte donne non solo italiane, nelle vicende descritte in Donne che vorresti conoscere si parla di mutilazioni genitali femminili, del traffico di bambine, dello stupro come arma di guerra. Ciononostante, la tua capacità di empatizzare con le protagoniste di queste storie ci aiuta ad accorciare le distanze, soprattutto mentali, dalle nostre sorelle meno fortunate di noi, e ad uscire dal nostro recinto di egoismi. Potrebbe essere una chiave di lettura di questo libro?

Come giornalista, una delle mie aspirazioni è quella di informare i lettori, anche per spingerli ad affrancarsi da stereotipi e luoghi comuni spesso dovuti alla non conoscenza di alcune realtà. Attraverso questo libro, propongo una sorta di mappatura dei diritti delle donne violati. Affrontare tematiche come quelle della mutilazione genitale femminile o del traffico di bambine è importante; diciamo però che a me piace approfondire un po' tutte le realtà. Anche se noi donne in Italia e in Europa non subiamo la mutilazione genitale e non veniamo obbligate a sposarci a 9 anni, è innegabile che siamo tuttora discriminate su più fronti, poiché ancora manca una reale parità di genere. Nell'introduzione, cito per esempio una ricerca di EIGE (l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, che conduce studi per conto della Commissione Europea); è la più completa a livello europeo sulla violenza contro le donne, che attesta come in Italia l'indice di uguaglianza di genere sia uno dei più bassi di tutta l'Unione Europea. E, ultimamente, sono emersi ulteriori dati sconfortanti sulla disparità di retribuzione fra uomini e donne di cui, obiettivamente, non si comprende la ragione. Anche il tasso dei femminicidi è molto elevato in Italia. Va comunque detto che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il femminicidio non è circoscritto alle fasce di popolazione più disagiate, ma rappresenta un fenomeno trasversale. C'è poi il fatto che ora da noi non esiste più un Ministero delle Pari Opportunità; è stato declassato a un dipartimento che dipende dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma non è certo la stessa cosa. Inoltre le donne, nel nostro Paese, sono ancora ostacolate nella conciliazione tra lavoro e famiglia a causa della carenza di strutture di supporto per le madri lavoratrici al punto che, qualora non possano contare sull'aiuto della famiglia, si vedono spesso costrette a rinunciare al posto di lavoro. E non dimentichiamo che molte donne si vedono costrette a rinunciare alla maternità per non essere licenziate. Mi piacerebbe pertanto che le donne italiane leggessero questo libro, non solo per ampliare la loro conoscenza della dimensione femminile a livello mondiale ma, anche e soprattutto, per comprendere che parlare di diritti della donna equivale semplicemente a fare il punto sul rispetto dei diritti umani.

A margine di quanto hai appena evidenziato, vorrei aggiungere che, per una serie di motivi storico-antropologici, la cultura italiana tende a sposare una visione più individualista e poco incline a quella coesione che spinge ad unire le proprie forze per rivendicare i diritti della collettività nel tentativo di mutare il corso degli eventi.

In effetti, uno degli aspetti più interessanti, che ho avuto modo di riscontrare nelle realtà che ho toccato con mano in occasione dei miei reportage, è la capacità di queste donne di coalizzarsi, di fare associazione, riuscendo così ad opporsi ad alcune tradizioni che sembravano immutabili, e che invece sono state sradicate almeno in parte grazie alla tenacia con cui hanno combattuto unendo le loro forze. Mi viene in mente una signora Masai nel sud del Kenya che, dopo anni trascorsi a fare la tagliatrice (colei che pratica la mutilazione genitale femminile, n.d.r.), si è ritrovata a seguire un percorso formativo organizzato da un'associazione di donne. Ebbene, questa signora mi ha rivelato con grande orgoglio di non essersi limitata ad abbandonare quella professione, ma di essere diventata addirittura un'attivista contro la pratica della mutilazione genitale femminile. Una volta ha persino picchiato alcune coppie di genitori per impedire loro di sottoporre le figlie a quell'atroce tortura.
Va da sé che queste forme di ribellione a un sistema atavico e cruento sono favorite anche dal fatto che le donne di quell'associazione riescono a farsi coraggio a vicenda, e ad affermare nella loro comunità l'idea che anche le donne possono avere una voce. Ma non solo: essendo così tante e così unite, nessuno osa più attaccarle. Queste realtà del Sud del mondo, in cui le donne si coalizzano per reclamare i loro diritti, possono essere d'ispirazione anche per una società tanto distante come quella italiana, dove a volte la sorellanza e la coesione femminile sbiadiscono.

Se dovessi utilizzare due parole per definire l'essenza delle protagoniste delle tue storie, sceglierei senza esitazione coraggio e dignità. Come hai scritto tu stessa, sono voci fuori dal coro: tutte hanno osato dire no a qualcosa che rientra in quella subalternità femminile che va sradicata in nome dei diritti dell'umanità intera. Forse, dal nostro osservatorio privilegiato, che in alcuni casi strizza l'occhio alla superficialità e al lamento fine a se stesso, dignità e coraggio sono due concetti che potrebbero essere distorti. Secondo te, soprattutto in una società come la nostra, c'è ancora spazio per questi valori, oppure sono appannaggio pressoché esclusivo delle civiltà non industrializzate?

Direi proprio di sì, come dimostrano i tantissimi esempi di donne che, in un'Europa e in un mondo occidentale dilaniato da una crisi economica culminata in una progressiva perdita dei diritti fondamentali, primo fra tutti quello del lavoro, stanno prendendo in mano il loro destino. E, perfino nelle situazioni più drammatiche, le donne si sono chiamate fuori da atteggiamenti improntati al vittimismo. A maggior ragione, le donne che vivono in contesti socio-antropologici molto lontani dal nostro, non solo dal punto di vista geografico, si sono dimostrate capaci di affrontare a viso aperto situazioni di una complessità per noi difficile da immaginare, e di mutare in molti casi il corso degli eventi.
Purtroppo, il sentiero che conduce alla parità di genere è molto lungo e tortuoso, a quelle latitudini non meno che alle nostre, seppur con sfumature e connotazioni diverse. Qualche risultato è stato raggiunto, ma c'è ancora molto lavoro da fare. E, per poter proseguire lungo questo sentiero, occorre certamente una buona dose di coraggio e dignità.

Credi dunque che, nella nostra società occidentale, ci sia ancora spazio per il coraggio e la dignità o ritieni che questi valori siano maggiormente diffusi in alcune realtà, non vorrei dire più disagiate ma, quanto meno, molto diverse dalla nostra?

Nel mondo occidentale, questi valori non si sono affatto persi. Il problema è che i media mainstream si concentrano esclusivamente sui risvolti più tesi del nostro tessuto sociale, alimentando un clima di paura e ostilità. Si tratta di un fenomeno davvero inquietante, soprattutto se pensiamo che la maggior parte della nostra popolazione considera questi bombardamenti di notizie a tinte fosche come la verità assoluta, come l'unico riflesso fedele della realtà circostante. Consapevoli della scarsa propensione del grande pubblico ad approfondire con maggior attenzione la genesi di questi tragici eventi, i media ne approfittano per fomentare un clima di terrore e intolleranza.
Come abbiamo potuto osservare dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, sono state allestite numerose campagne stampa anti-musulmane, nelle quali veniamo puntualmente esortati a prendere le distanze dal Medio Oriente, additato come un pericoloso nemico da combattere.
Tutto ciò finisce inevitabilmente per mettere in ombra le innumerevoli iniziative di solidarietà che vedono costantemente impegnati in prima linea numerosi volontari; penso naturalmente ai centri di accoglienza per i profughi, ma anche alle associazioni e ai gruppi che investono tempo ed energie in queste cause. Mi viene in mente Nawal Soufi, una ragazza di origini marocchine che da sempre vive a Catania. Il suo impegno costante a favore dei profughi, soprattutto siriani, le è valso addirittura un premio della Fondazione Ismu. Dopo un viaggio ad Aleppo per portare aiuti umanitari, il suo numero di telefono è passato di mano in mano tra i profughi che tentano di raggiungere l'Europa. Era l'alba di una giornata d'estate del 2013, quando giunse la prima chiamata da parte di un uomo che l'aveva pregata di allertare i soccorsi. Con altri 500 profughi, si trovava su un barcone che stava per affondare. Da allora, le chiamate e i messaggi si sono susseguiti giorno dopo giorno, e questa ragazza è diventata per tutti Lady SoS. I profughi la chiamano, lei si fa inviare le coordinate dell'imbarcazione e le comunica alla Guardia costiera. Così facendo, è riuscita a salvare oltre 20mila persone. Da qualche mese fa la spola fra Catania e Lesbo, l'isola greca su cui approdano centinaia di migliaia di profughi che si imbarcano dalla Turchia. Quello di Nawal è solo uno dei tanti esempi di solidarietà pura che non fanno notizia. E' un vero peccato, perché così si preclude al grande pubblico l'opportunità di riflettere sull'importanza di osservare gli eventi da una prospettiva svuotata da ogni rigurgito di terrore e più improntata all'alterità e alla coesione, oltre che a una reale conoscenza dei fatti.

In alcuni casi, l'apparente benessere materiale, nel quale siamo immersi, ci ha resi incapaci di vivere all'insegna del coraggio. Con il sopraggiungere della crisi finanziaria, molte persone si sono incattivite per aver perso alcuni privilegi materiali (e a volte anche solo per il timore di perderli). Chi vive una condizione di disagio viene spesso emarginato. In molti casi, le donne vittime di violenze tendono a non denunciare i loro aggressori, sia perché poco tutelate giuridicamente, sia perché temono l'ostracismo della famiglia e dell'ambiente in cui vivono. Basandoti sulla tua esperienza di giornalista e reporter, che ti ha spesso condotto in territori dilaniati da guerre civili o comunque in realtà che possono trascendere il nostro immaginario, ritieni che questo atteggiamento omertoso rappresenti una costante diffusa pressoché ovunque o sia perlopiù appannaggio delle civiltà di stampo maschilista?

Partendo dal presupposto che, salvo rarissime eccezioni, tutte le società sono di stampo maschilista, si può intuire come, per le donne vittime di violenza, in Italia come altrove, sia molto difficile poter contare su un supporto valido e risolutivo da parte delle istituzioni.
Non parlerei di omertà, ma di impossibilità oggettiva, per molte donne, di fuggire da un contesto familiare violento a causa della mancanza di quell'indipendenza economica necessaria per non dover cedere ai ricatti di mariti o padri violenti. In linea di principio, in Italia le donne sono ancora troppo poco tutelate anche a livello giuridico.

Le protagoniste del tuo libro sono accomunate da una purezza d'animo che non ha intaccato il loro amore per la vita, a dispetto di sofferenze atroci o comunque di sentieri decisamente in salita. Sorridono alla vita anche quando il buio sembra avere il sopravvento, portando avanti le loro battaglie con coraggio e dignità. Come dici tu, alle persone pure basta pochissimo per cacciare l'inferno sotto un tappeto e tornare a credere alla bontà degli uomini. Forse la purezza d'animo da sola non basta per contrastare violenze e sopraffazioni, ma potrebbe essere un buon antidoto al vittimismo e alla rassegnazione. Secondo te, cosa si potrebbe o si dovrebbe fare per sensibilizzare maggiormente l'individuo sull'importanza del rispetto reciproco, del dialogo pacato e di un'alterità scevra di asimmetrie o perlomeno di dissonanze?

Torno a ribadire l'importanza dell'onestà intellettuale in chiunque faccia informazione. E, per onestà intellettuale, intendo l'intenzione di descrivere gli eventi così come sono, senza abbellirli per spettacolarizzarli. E' questo il compito di ogni cronista: riferire fatti ed eventi senza inutili sensazionalismi o, peggio ancora, falsando la realtà oggettiva facendo volutamente leva su una paura destinata a generare intolleranza e odio. Sappiamo benissimo che per molte persone risulta molto più comodo trovare un alibi che metta a tacere la loro coscienza, senza neppure prendersi la briga di andare a verificare l'attendibilità delle informazioni ricevute dai media. Eppure, paradossalmente, mai come ora tutti quanti abbiamo facile accesso agli strumenti della conoscenza, tramite Internet e le infinite fonti di notizie di cui disponiamo: gli eventi del mondo non sono mai stati così vicini. Credo che non abbiamo più nessuna scusa per rinchiuderci nel nostro privato, guardando a ciò che sta fuori come una potenziale minaccia.

Nella foto: Emanuela Zuccalà con una donna tuareg rifugiata a Nouakchott, in Mauritania, dal nord del Mali, dove c'è tuttora uno stato di guerra. Foto riprodotta per autorizzazione dell'autrice.


Cristina Luisa Coronelli