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#CriticARTE | Photolux 2015: scelte ardite, tra sacro e profano

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Photolux (Lucca, 21 novembre - 13 dicembre 2015), nuova edizione della biennale internazionale di fotografia promossa e ospitata dalla città di Lucca, è un’iniziativa culturale che nasce e si svolge all'insegna del dialogo: dialogo tra le due polarità tematiche intorno a cui ruotano le diverse mostre, il sacro e il profano, variamente e splendidamente declinati; dialogo tra artisti e pubblico, in una serie nutrita di incontri, workshop, spettacoli e conferenze; soprattutto, però, dialogo tra il festival e il tessuto urbano, continuamente attraversato e compenetrato: le esposizioni sono infatti dislocate in numerosi palazzi storici del centro e sta al visitatore muoversi da un punto all'altro, seguendo l’ispirazione o costruendo un percorso estetico-percettivo del tutto personale, che rispecchi il bisogno del momento o semplicemente assecondi il caso e l’urbanistica. Le vie della cittadina toscana diventano il luogo eletto di una caccia al tesoro dedicata alla bellezza, in cui ogni tappa rappresenta un tassello che contribuisce alla ricostruzione di un mosaico complessivo.

© Aurelio Amendola, Basilica di San Pietro. La Pietà di Michelangelo, 1998 

Il motivo preponderante indagato dagli artisti coinvolti è senza dubbio la religione, sempre però vissuta in chiave problematica, fra tradizione e attualità, come fede sincera o come cieca superstizione (e il confine tra l’una e l’altra è continuamente rimesso in discussione). Gli arditi scorci architettonici della basilica di San Pietro di Aurelio Amendola e le vacche sacre addobbate a festa della tradizione hindu collazionate da Toni Meneguzzo perdono il loro valore sacrale e diventano quasi elementi figurativi astratti, godibili nel loro insieme, nell’armonia delle geometrie (nel primo caso) e dei colori (nel secondo). Amendola, peraltro, si lascia sedurre dal rigore delle linee architettoniche quanto dalla sinuosità armoniosa delle curve scultoree, in alcuni toccanti e quasi sensuali dettagli della Pietà michelangiolesca.

© Joana Choumali, dalla serie Resilients, 2014
Altri autori leggono il tema religioso nei suoi risvolti politici: France Keyser descrive in due serie di fotografie la vita dei musulmani francesi, prima e dopo la strage di Charlie Hebdo, mentre Nicolò Degiorgis denuncia l’isolamento a cui sono condannati nel nord est italiano i fedeli islamici, costretti a professare il loro credo in luoghi degradati, come garages, vecchi magazzini e fabbriche in disuso. Molti artisti preferiscono invece soffermarsi sugli aspetti pratici e rituali del culto: dai travestimenti e le maschere grottesche di Charles Fréger alle autorappresentazioni iniziatiche delle giovani madri pigmee di Patrick Willocq, dalle cerimonie sacre del monastero buddista di Phyi-Yang di Enrico Rondoni alle pratiche vudù immortalate da Stanley Green durante la sua permanenza ad Haiti.

Ma gli elementi più interessanti della rassegna si incontrano quando il fotografo ha avuto il coraggio di valicare il limite letterale del sacro per addentrarsi nel territorio del profano: un profano, quello esibito a Photolux, che può essere confuso con il blasfemo, ma che in verità blasfemo non è quasi mai. Spesso profano è semplicemente l’uomo nella sua esistenza terrena e quotidiana, nel suo rapporto con un passato che pare dimenticato ed è invece sempre presente (ieratiche e toccanti come icone bizantine sono ad esempio le madonne nere, laicissime, ritratte dalla fotografa ivoriana Joana Choumali). Profano è il mondo naturale, che rivela all’uomo una nuova forma di religiosità, una nuova possibilità di fede in qualcosa che lo trascende e lo lascia attonito grazie alla propria magnificenza (non a caso fa riferimento alla Creazione la mostra di Ernst Haas, che riconosce i segni della presenza divina e dell’origine del cosmo in ciò che tuttora lo circonda). 

Profano è anche il cristianesimo oggi, epurato della sua sacralità rituale per tornare a comunicare con la gente: irriverenti e coraggiose sono allora le attualizzazioni evangeliche di Andrés Serrano e soprattutto di Bettina Rheims. Facendo riferimento a un’estetica camp ammiccante e patinata, adottando un linguaggio visivo di stampo pubblicitario, con modelli dai lineamenti perfetti, la fotografa francese viola le convenzioni senza paura, ma con piena consapevolezza dei materiali biblici che sta “profanando”. E ci propone una versione del Vangelo sconvolgente eppure efficace, che trasporta Cristo nelle periferie degradate e lo rende nuovamente vivo agli occhi del pubblico.

© Bettina Rheims, Le chemin de croix, juin 1997, Majorque
Si inizia a comprendere allora che profano non è soltanto ciò che non appartiene alla sfera del religioso, ma ciò che estende il religioso, lo forza dall’interno, lo costringe ad ampliare il proprio campo concettuale. C’è chi non avrà il coraggio di affrontare la cifra di verità contenuta in tali rappresentazioni; c’è chi - come il padre che sfilava rapido accanto a me nelle sale della mostra, coprendo gli occhi del figlio adolescente con il programma per impedirgli di vedere i seni nudi di una procace Maddalena - non avrà il coraggio di fermarsi e provare a guardare, capire, spiegare. C’è chi uscirà sconvolto e disgustato dall'esposizione di Joel-Peter Witkin, vedendoci solo i deliri onirico-fotografici di un pazzo. Queste stesse persone respingeranno con forza l’idea che proprio le immagini di Witkin siano quelle che incarnano maggiormente lo spirito di Photolux 2015 (come denuncia del resto la scelta di Cupid and Centaur in the Museum of Love come manifesto reale e ideologico del Festival). Witkin ci dice che vita e morte, sacro e profano, armonia e deformità sono binomi inscindibili: gli elementi si muovono di pari passo e non ha senso provare a distinguerli, bisogna piuttosto riconoscerne l’indissolubilità e accettarli come parte integrante dell’esistenza umana. 

È da questo che scaturisce la bellezza che le mostre di Photolux provano in vario modo a riproporre allo spettatore.

Carolina Pernigo