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#CriticaLibera - Un caffè, un incontro e un "amante giapponese"

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Isabel Allende, L'amante giapponese,
Feltrinelli Editore, 2015.

Cosa succede quando due appassionate di letteratura si incontrano da Eataly per una chiacchierata e scoprono di aver appena finito di leggere "L'amante giapponese" di Isabel Allende?  Da questo suggestivo e piacevole pomeriggio letterario, nasce un'intervista dove si alternano due punti di vista che si intersecano sotto diversi aspetti. 


1.       Qual è stato il tuo primo incontro con Isabel Allende?

Arianna: Ho conosciuto Isabel Allende quando avevo sedici anni. Nessuno me ne aveva mai parlato prima di allora, all’epoca ero sprovvista di una connessione Internet (bei tempi!). Era estate, mi annoiavo, non avevo amici tranne i personaggi dei romanzi che leggevo. Entrai in libreria, lessi “Casa degli Spiriti” e ciò bastò a convincermi ad acquistare il libro. La lettura fu coinvolgente, non avrei mai immaginato che una protagonista tanto bizzarra potesse rappresentare al meglio la parte più misteriosa di me stessa.

Federica: Vivido è nella mia mente il momento in cui a 12 anni divorai il primo volume della trilogia per ragazzi scritta da Isabel Allende. Il nome dell’autrice non mi era affatto sconosciuto perché mia mamma ne è una sua accanita lettrice e molti dei suoi titoli erano già nella libreria di casa. Nessuno di questi, tuttavia, aveva attirato la mia attenzione, al contrario de La città delle bestie che mi colpì sin da subito. Un particolare mi scioccò durante la lettura: avevo la brutta abitudine di leggere con velocità le parti descrittive dei libri, vogliosa di conoscere le parole dei dialoghi. Questa volta, invece, rimasi incollata ad ogni singola sillaba del testo.

2.       Perché hai deciso di leggere L’amante giapponese?

A: Sarò onesta. Ѐ l’aggettivo “giapponese” ad avermi incuriosita, essendo un’estimatrice del mondo asiatico, quello giapponese e coreano in particolare. Di certo, la mia scelta non è stata dettata dall’autrice. Quando gli scrittori cominciano a sfornare best-seller come uova, tendono a deludermi. Pensavo fosse ambientato in Giappone e prevedesse un’analisi approfondita della cultura in questione. Purtroppo non è stato così.

F: Anche io come Arianna sono stata spinta all’acquisto dall’aggettivo “giapponese”, in quanto profonda appassionata di cultura nipponica. In aggiunta a questo, credo che il motivo principale sia una sorta di legame affettivo con mia mamma: abbiamo sempre comprato, nel bene e nel male, tutti gli ultimi titoli dell’Allende per leggerli e poi confrontarci. Ahimè questa volta (pur non essendo la prima) sarà difficile contenere la delusione.

3.       La storia racconta di un amore, che attraversa i lustri e rimane invariato nel corso del tempo, con gli occhi di una donna anziana. Quanto inedita e originale trovi la scelta di ambientare la storia durante la terza età, un periodo della vita che raramente è collegato all’esperienza amorosa?

A: “Le Pagine della nostra Vita” suggerisce qualcosa? No, l’idea non è per niente inedita e originale, anzi. Poi, l’aver citato il romanzo di un autore di best-seller rosa per eccellenza la dice lunga sulla mia opinione. Ѐ un tema trito e ritrito e sviluppato con le pinze. In realtà, dovrei chiederLe di specificare se sta parlando di Alma o di Irina, poiché nel corso della lettura ho avuto difficoltà a capire chi fosse più anziana nello spirito tra le due.

F: Non sono una lettrice di romanzi rosa da circa quindici anni, quando le prime pene d’amore adolescenziali trovavano sfogo nei testi di autori come Sparks o Pilcher (ognuno ha i suoi scheletri nella libreria…) per cui non ho grandi termini di paragone con cui confrontare il libro dell’Allende; secondo me, comunque, la scelta del punto di vista della terza età risulta uno (e forse l’unico) elemento originale del racconto.

4.       Alla storia d’amore fanno da sfondo numerose vicende realmente accadute. Ritieni che i temi trattati siano stati sviluppati a dovere?

A: La Allende ha creato un background storico notevole, come in ogni romanzo da lei scritto. La trama pullula di temi importanti. In particolare Topaz, ghetto in cui vengono isolati tutti i giapponesi durante la Seconda guerra mondiale. Altri temi importanti sono l’omosessualità e l’AIDS, l’abuso di minori, la pedopornografia e il femminismo. L’unica pecca è che questi temi ricorrono nel romanzo esattamente come li ho citati. Così, en passant, senza il minimo approfondimento. Mi chiedo a che pro dato che l’autrice non approfondisce nemmeno la trama principale, sempre che ce ne sia una vera e propria.

F: Proprio il susseguirsi dei temi precedentemente citati dalla mia collega hanno acuito il mio giudizio negativo nei confronti dell’opera, anche confrontandola con i precedenti romanzi dell’autrice. L’Allende mi aveva sempre abituato a una lettura concentrata, dove il background scelto veniva sviscerato in tutte le sue parti (come in Paula o Il mio paese inventato). Leggere come questa volta temi di così ampio spessore e spesso inediti (ammetto di non conoscere le vicende legate alla deportazione dei giapponesi nella California degli anni ’40) siano stati trattati così superficialmente, mi ha davvero stizzito.

5.       Leggendo il romanzo, quanti fili narrativi hai riscontrato? La trama è omogenea o frammentata?

A: Ci sono tanti di quei fili narrativi nel corso del romanzo da averne perso il conto. Tuttavia, la narrazione scorre rapida e senza intoppi, sebbene si intersechino diverse voci, punti di vista e storie.

F: Da lettrice Fantasy (quasi) accanita, i fili narrativi introdotti dall’Allende sono quasi bazzecole; il punto secondo me non è tanto quante trame e sotto-tramesiano presenti, quanto piuttosto se queste abbiano un ruolo nell’economia della storia. Nel caso de L’amante giapponese, pur non avvertendo stacchi netti e riuscendo a leggere senza difficoltà, alcuni spunti narrativi risultano inutili e gettati lì senza ragione: perché raccontare la storia del fratello di Alma, sepoi non se ne vogliono approfondire le vicende?

6.       Se dovessi definire il genere de L'amante giapponese saresti in difficoltà? Perché?

A: A malincuore, lo definirei un “romanzetto rosa”. “L’amante giapponese” di certo non è ciò a cui la Allende ci ha abituati. Ho avuto l’impressione di leggere “Un amore così raro” di Danielle Steel. A dire il vero, ho talvolta immaginato la Allende intenta a gareggiare con l’autrice americana per rubarle il podio di scrittrice di romanzi rosa. Spero tanto di essermi sbagliata. Non critico i romanzi rosa né tantomeno chi adora il genere. Ritengo solo che “L’amante giapponese” non valga nemmeno come romanzo rosa tout court, semplicemente come una sua bozza mal riuscita. Credo che l’autrice avesse buone idee ma troppo poco tempo (o voglia) per svilupparle, ahimè.

F: Mi troverei seriamente in difficoltà, sì. Molti dei testi dell’Allende non rientrano sotto un’unica categoria.  Tuttavia il problema serio, questa volta, è quello di aver aperto troppe porte e di non essere riuscita a chiuderne nemmeno una. Che l’autrice cilena sia oramai in preda al meltingpot culturale di marca U.S.A e abbia perso il piglio narrativo sudamericano che l’ha resa tanto famosa?

7.       Condividi la scelta dell'autrice di inserire due figure femminili forti e dalla storia importante in egual misura? Quale hai preferito? Ritieni che abbiano spessore psicologico o che siano abbastanza abbozzati?

A: Non contesto la scelta di due personaggi femminili di età differente (nel fisico, non nello spirito) ma dalla storia pressoché simile. Contesto invece la mancanza di approfondimento psicologico. Le due donne sembrano personaggi di romanzi ottocenteschi. Non si scruta nel profondo; al contrario, le due protagoniste sembrano nate da un’insieme di stereotipi sui Paesi dell’Est cuciti ad hoc sulla loro pelle. Riguardo a se io ne preferisca una piuttosto che l’altra, posso riconoscere in tutta onestà di non aver alcun personaggio preferito.

F: In realtà non trovo che nessuna delle due sia abbastanza forte da riuscire a primeggiare sull’altra, e parlo sia di forza d’animo che psicologica. Il mio personaggio preferito? Né Irina né Alma ma, Nathaniel, l’unico ad apparirmi coerente in tutto il racconto.

8.       Prima di procedere con la prossima domanda, ti chiedo se ti è mai capitato di piangere durante la lettura di un romanzo. Se sì, c’è stata una scena ne L’amante giapponese commovente al punto da farti piangere?

A: Non mi commuovo facilmente, tranne quando si tratta di violenza sugli animali. Questo non significa che non abbia un cuore o che non sia suscettibile. Mi ha toccata la scena in cui Alma, in punto di morte, incontra il defunto Ichimei. Paradossale, certo, ma toccante.

F: La prima volta che ho pianto su un libro è stato a 8 anni leggendo Piccole Donne e da allora non mi sono mai più fermata. Sarò anche dalla lacrima facile, ma la scena in cui Alma e Lenny sono riuniti sul letto di morte di Nathaniel mi ha davvero colpito e non sono riuscita a trattenere le lacrime pur trovandomi in metropolitana mentre la leggevo.

9.       La tendenza abituale di Isabel Allende era quella di non sfornare titoli spendibili esclusivamente per la vendita ma di scrivere storie vere, che rimanessero nel cuore e che non fossero solo un compendio di aforismi da riciclare sui social network.Secondo te, perché Isabel Allende ha scritto questo romanzo? Per clausole di contratto o per assuefazione da scrittura?

A: Decisamente per clausole di contratto. Se non avessi letto “Isabel Allende” sulla copertina, avrei dubitato che fosse stato scritto da lei. In più, ammetto di aver sfornato un bel po’ di citazioni dal suo romanzo da sfoggiare sul mio account Twitter. Mi chiedo se debba darle un’altra possibilità, in futuro. Credo che sarò tentata solo nel momento in cui l’autrice prenderà una pausa di tre o quattro anni per scrivere con calma uno dei suoi romanzi. La fretta con la quale scrive non le rende giustizia.

F: Non so se la “voglia-di-fare-più-soldi-possibili” sia una vera e propria clausola di contratto o un loop in cui uno scrittore viene risucchiato e da cui può uscire solo se veramente grande.

10.   Uno dei meriti che vengono attribuiti all’Allende è il suo stile di scrittura. Tuttavia la maggioranza dei suoi lettori non legge i testi in lingua originale (lo spagnolo della scrittrice cilena, ndr) ma in traduzione. Vorresti spendere qualche parola sul ruolo dei traduttori in editoria?

A: Ho studiato spagnolo ma non abbastanza da leggere in lingua originale. Mi affido volentieri alle traduzioni in italiano dato che il mondo traduttivo ha fatto passi da gigante in tal senso. Per questo motivo, quando leggo le traduzioni italiane, sono riluttante all’idea di commentare lo stile o il lessico dell’autore o dell’autrice di turno. Può capitare che il traduttore e/o la traduttrice si serva di una sintassi o di un lessico più appropriato rispetto all’autore originale. Mi è capitato di constatarlo leggendo autori americani e la loro traduzione. Per questo motivo, farò i complimenti a Elena Liverani, traduttrice de “L’amante giapponese”. Essendomi occupata di traduzione, so quanti sacrifici costi e so riconoscere una traduzione ben fatta da una influenzata dalla lingua originale.

F: Spesso i traduttori vengono dimenticati ma per chi non legge le opere in lingua originale il loro è un ruolo importante, forse anche di più di quello dello scrittore. Non è un caso che Calvino intitoli un suo saggio “Tradurre è il modo migliore di leggere un testo” (1982).

11.   In conclusione, a chi consiglieresti la lettura de L’amante giapponese e lo inseriresti nella tua lista personale di libri da leggere prima di morire?

A: Non inserirei il romanzo nella mia lista personale di libri da leggere prima di morire. Devo però riconoscere che regalerei il libro a chi ha meno aspettative di me e non guarda il pelo nell’uovo. Lo regalerei alle amiche romantiche e alle seguaci di Nicholas Sparks, Danielle Steel e Sveva Casati Modignani. Lo regalerei alle casalinghe, alle adolescenti e alle sognatrici. Di certo, non lo regalerei a chi come me fa dell’originalità e della precisione narrativa una devozione.


F: Di certo prima di morire ci sono così tanti altri libri che vorrei leggere che fare un po’ di spazio giova comunque. Tuttavia sono dell’idea che l’importante sia leggere, anche Isabel Allende insieme a Fabio Volo o Federico Moccia. Largo quindi a tutti coloro che abbiano gusti meno pretenziosi dei miei.