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"Trecento secondi" di Patrizia Fortunati

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Trecento secondi
di Patrizia Fortunati
Falco Editore, 2015

pp. 174


Sono stanco. Stanco e svuotato. Non ho più niente dentro. Nemmeno la paura che mi ha tenuto con gli occhi sbarrati per troppi anni, né la rabbia e l'odio che mi hanno tenuto a galla le troppe volte che stavo per affondare. Mi hanno tolto tutto.  
Bastano trecento secondi, il tempo di leggere le ventuno pagine dell'accusa più infamante, per mandare in frantumi la vita di un uomo.
Non si dilunga in logorroiche quanto inutili perifrasi Paolo Mazzini, voce narrante di questo romanzo, ma sferra, anzi, una sorta di fendente al cuore di chi intuisce la presenza di un dolore immane, troppo lacerante e troppo profondo per poter essere compreso nella sua vera essenza. Si può forse tentare di coglierne un riflesso neutralizzando l'ego e cedendo il passo a un'immedesimazione che è figlia dell'ascolto compassionevole.
Ha 26 anni quando conosce Francesca, che all'epoca è iscritta al primo anno di Matematica. Entrambi sono giovani e spensierati, perlomeno all'apparenza poiché, di fatto, si sentono profondamente soli.
Francesca fugge da  
un passato difficile e tormentato, che fingeva o credeva di essersi lasciato alle spalle e che invece era solo sopito.  
Dal canto suo, Paolo è reduce dalla fine di una relazione importante. E' assai probabile che lo stato di fragilità emotiva, nel quale si trova, abbia fatto erompere con prepotenza il desiderio di crearsi una famiglia tutta sua, proiettandolo su questa ragazza appena conosciuta. A voler ben guardare, la fragilità emotiva, che appanna notevolmente la componente razionale e la capacità di formulare una valutazione obiettiva del contesto nel quale ci si trova, mal si concilia con la fuga da se stessi e dal proprio passato. Molti rapporti di coppia fanno perno su questi due fattori che, se non elaborati con attenzione consapevole, finiscono per innescare uno schema di interazione distruttivo e devastante.
Nel giro di un anno, Paolo sposa Francesca, ignorando le perplessità di alcuni amici e parenti che forse avevano intuito le insidie di tali fattori, paventandone le conseguenze, soprattutto a causa del passato difficile della giovane donna, che da molto tempo ha interrotto i contatti con la madre, ed è praticamente cresciuta con le zie materne. La figura paterna è pressoché assente.
Ciononostante, quasi a voler smentire le più fosche aspettative, il matrimonio scorre sui binari della serenità. A venticinque anni, Francesca è già madre di tre figli e comincia a sentirsi oppressa dalle responsabilità; in cuor suo invidia un po' la condizione delle amiche di un tempo che si stavano laureando, andavano in discoteca, cambiavano fidanzato e pensavano a costruirsi la loro vita senza condizionamenti.
Sono forse le primissime avvisaglie di una crisi che, a dispetto della sua connotazione transitoria, affonda le radici in un tessuto invisibile agli occhi dei più, ma irreversibilmente compromesso. Negli anni a seguire, l'abitudine e una certa incomunicabilità tendono ad avere il sopravvento né più né meno come avviene in molte coppie. Forse Paolo, per sua stessa ammissione, ha peccato di superficialità e disattenzione nei confronti dei segnali in codice che gli lanciava sua moglie. Nulla però che lasciasse presagire l'incombere di una catastrofe.
Una sera, varcando la soglia di casa, viene accolto da un silenzio assordante: Francesca e i bambini se ne sono andati, quasi fossero repentinamente svaniti nel nulla.
Una cosa è certa: quell'immagine di famiglia modello, che tanta benevola invidia suscitava in amici e conoscenti, si è sgretolata sotto il peso di un rancore e di un odio saldamente avvinti al subconscio di Francesca.  
Sentimenti incancellabili, che erano rimasti sopiti e che erano esplosi all'improvviso, contro la persona che lei dapprima aveva amato e che poi in qualche modo l'aveva delusa. Esattamente come aveva fatto sua madre tanti anni prima.
Quella stessa sera, al telefono, sua moglie gli comunica in modo lapidario che lei e i bambini se ne erano andati via [...] perché la loro convivenza era diventata impossibile. Un colpo a tradimento per Paolo: da tempo, il matrimonio era in crisi ma non avevano mai parlato di separazione. 
L'uomo è annichilito, si arrampica sugli specchi nel disperato tentativo di comprendere i motivi che lo hanno fatto piombare dritto all'inferno, senza immaginare che di lì a poco si scatenerà un inferno ben più atroce. A tre giorni di distanza da quella telefonata, due carabinieri gli notificano quattro denunce, le prime quattro delle trentasette che riceverà nell'arco di tre anni. 
Con la complicità dei genitori, ai quali si è riavvicinata, Francesca ha architettato un piano diabolico, prendendo spunto dai numerosi episodi di femminicidio che in quel periodo fanno scorrere fiumi di inchiostro e stimolano accesi dibattiti. Per sette lunghi anni, Paolo dovrà difendersi dalle accuse di essere stato un marito e un padre violento, che abusava sessualmente dei suoi tre figli,  
in un clima di terrore causato da un uomo che scattava per ogni minima cosa rompendo oggetti e dando pugni e schiaffi. 
Alla devastazione interiore generata da simili calunnie, si aggiungono le iniquità di un apparato giudiziario farraginoso, che sputa sentenze sulla scia di procedimenti cavillosi, ambigui e talora faziosi, dove la presunzione di reato è quasi sempre sinonimo di colpevolezza anche perché spesso, come nella vicenda di Paolo, nessuno indaga sin dall'inizio sul fondamento delle accuse mosse dalla controparte. Accuse che, denuncia dopo denuncia, diventano sempre più gravi e circostanziate.
Con simili presupposti, è più che comprensibile che quel pover'uomo sia stato più volte sfiorato dal pensiero che in tempi diversi, e con una cronaca nazionale che non avesse raccontato di così tante donne ammazzate da mariti e fidanzati, la sua vicenda avrebbe potuto avere sviluppi diversi. [...] In tempi diversi, forse, meno carichi di tensioni e di ansie, chi di dovere avrebbe ragionato e indagato a mente più libera, senza condizionamenti tanto forti e pressanti.
Sono considerazioni dalle quali è legittimo dissentire, ma sulle quali è doveroso riflettere.
Se Paolo non è sprofondato nel baratro della follia, lo deve forse al supporto dei suoi genitori, degli amici e di un sacerdote che gli rimarrà accanto, senza inutili ipocrisie, anche quando la fede sembra in procinto di abbandonarlo, quando all'incredulità iniziale subentra una rabbia distruttiva che rivolge contro se stesso, dandosi dell'imbecille per aver sposato quella donna, per aver creduto che un passato pesante come il suo potesse essere cancellato e che lui fosse stato in grado di aiutarla: è stato una zavorra che l'ha trascinata a fondo insieme a lui.
Ogniqualvolta tenti di vedere i suoi figli anche solo da lontano, appostandosi davanti alla scuola che frequentano, quel tanto che basta per scorgere i loro sguardi tristi e persi nel vuoto, Paolo viene minacciato brutalmente dalla moglie e dai suoceri, oppure si vede recapitare l'ennesima denuncia a distanza di pochi giorni, con l'accusa di essersi avvicinato troppo ai bambini usando parole volutamente intimidatorie. Tutto ciò culminerà nella sospensione della potestà genitoriale da parte del Tribunale dei Minori, A Paolo vengono concessi cinque giorni per lasciare la sua casa a Francesca, dando credito ad accuse senza una prova concreta, [...] senza nessun certificato medico, senza nessun riscontro oggettivo. Oltre che da sua moglie e da sua madre, deve difendersi dalla giustizia italiana.
Sarà un magistrato, nel corso dell'ennesima udienza sfibrante, a imprimere una svolta al corso degli eventi. Per la prima volta, Paolo trova un interlocutore attento e disponibile a valutare la possibilità che tutte quelle accuse siano inserite in un teorema diabolico volto unicamente a distruggerlo come una sorta di agnello sacrificale, immolato sull'altare di un odio atavico e strisciante che Francesca proietta su di lui, per la sua infanzia rubata da una madre immatura e superficiale, e da un padre debole e assente. Adesso è lei, Francesca, a rubare l'infanzia ai suoi figli.
La strada è ancora in salita, ma alla fine Paolo sarà prosciolto da ogni accusa. Dopo un calvario di sette anni, questa vicenda giudiziaria viene definitivamente archiviata.
Rimane la devastazione di un uomo e dei suoi tre figli che comunque desiderano provare a ricostruire un rapporto con il loro padre, a dispetto di una ferita che difficilmente potrà cicatrizzarsi. 
Non c'è un lieto fine in questa vicenda, ma tanta amarezza. Non ci sono vincitori né vinti, ma solo vite spezzate.
La storia di Paolo rappresenta certo un caso limite; resta comunque il fatto che la mancanza di dialogo, l'incapacità di guardarsi dentro e l'eccessiva propensione ad assumere il duplice ruolo di vittima e carnefice rappresentano un viatico per l'inferno domestico declinato nelle sue varie sfumature.
E come ci ricorda l'autrice, attraverso le parole del protagonista del suo romanzo, non sono solo le donne a subire violenze e vessazioni.


Cristina Luisa Coronelli