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Prendo il mio cuore spinoso e lo getto via... Bukowski e una raccolta poetica di inediti per Guanda

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Mentre Buddha sorride
di Charles Bukowski
Guanda, 2015

Con testo originale a fronte
Traduzione di Simona Viciani

pp. 140
€ 14,50 cartaceo


bevo quest'ultimo alla vostra
e alla mia.
è molto tardi adesso, un cane
solitario latra nella
notte.
e io sono giovane quanto
il fuoco che ancora
brucia
dentro. 
(da "Una bella pazzia")

Torna in libreria Charles Bukowski, con una raccolta inedita di poesie che trasuda la sua abituale inclinazione a sconvolgere il lettore. Quasi inconsciamente, e per questa spontaneità, in Mentre Buddha sorride Bukowski incuriosisce e avvince ancora una volta. 
Dalla dipendenza dall'alcol, alla difficoltà relazionale con gli altri, che «hanno solo bisogno di/espellere il loro/gas spirituale/per farmelo/annusare» (da "Cagnacci in scarpe di cemento"): non esiste pace se non nella temporanea sospensione di coscienza che l'alcol assicura. E nel po' di divertimento alle corse dei cavalli. L'amore, invece, è motivo di ulteriore ansia da prestazione: il 'tu' nella raccolta dialoga, cerca di convincere l'autore a limitare i danni, pur sapendo che è sostanzialmente fiato sprecato.


L'amarezza di Charles è solo parzialmente edulcorata dall'umorismo spietato e impietoso, come in questo passaggio, sempre tratto da "Cagnacci in scarpe di cemento", in cui un gruppo di accademici cerca un terreno di discussione parlando con fare snob di scrittori in voga o di nomi apprezzati da Bukowski stesso:
educati a
dire ciò che doveva essere detto dopo aver ricevuto
un'istruzione Umanistica
e ho guardato
il mio gatto
e ho
pensato
il mio gatto ha un aspetto
migliore
conosce più cose
e capisce meglio;
lui non deve fingere nulla
o credere in
nulla.
Foto di ©GMGhioni - Cerca CriticaLetteraria su Instagram!
La quotidianità è questa: una dimensione in cui i gatti possono danneggiare il pc, ma non possono niente contro la resistentissima macchina da scrivere («lei è una tipa/più tosta», da "Tragedia?"), tanto simile a Bukowski («mi ricorda/me stesso», ivi). La scrittura ha rinunciato alla sua dimensione ispirazionale, è qualcosa di inevitabile, ha perso la sua aura poetica e non a caso in "una bella pazzia" Bukowski rievoca l'albatros baudelairiano, tra un bicchiere e l'altro. E allora anche l'atteggiamento dello scrittore verso i suoi scritti cambia, sensibilmente, e Bukowski lo giudica con fredda ironia da aforisma:
non c'è quasi nulla come
l'arroganza di uno
scrittore alle prime armi
se non la presunzione
di
uno scrittore
di successo
(da "mentre Buddha sorride")
Come si può notare (la traduzione riproduce fedelmente, laddove possibile, la scelta degli accapo, la spaziatura, la sintassi franta e colloquiale), anche il verso è scomposto e segmentato in base alla volontà capricciosa di mettere enfasi su singole parole, di isolarne altre in strofe di un paio di versi. L'infrazione alla punteggiatura è onnipresente, a eccezione di qualche punto fermo ed è completamente abolita la maiuscola: a quali lettere dare dignità, quando neanche lo scrittore ne ha?, sembra urlare Bukowski tra i versi di queste poesie sghembe, a tratti cocentemente provocatorie, altrove colme di quell'autodistruzione che spaventa ma, inevitabilmente, avvince il lettore:
prendo il mio cuore spinoso e
lo getto via
il più lontano possibile nel buio
e rido.
(ivi)

GMGhioni