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Fugge questo reo tempo, come gli stuzzichini dalle mani degli avventori dell’apericena

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Ricette umorali – Il bis
di Isabella Pedicini
Fazi, 2015

pp. 150
€ 14



Tutto parte da una battuta, di importanza capitale, sia nella storia sociologica e antropologica d’Italia che, ovviamente, nell’economia spiccia di questo Ricette Umorali – Il Bis di Isabella Pedicini, uscito per Fazi Editore. La battuta è la seguente, pronunciata da Massimo Boldi nel film cult Yuppies -  I giovani di successo di Carlo Vanzina: “E i salatini dove sono i salatini? Lo sai che ogni volta mancano e la mia signora se li dimentica: da qui il soprannome di il feroce saladino!”.  Isabella Pedicini racconta anche e soprattutto questo: di come la società italiana sia passata, nel breve volgere di un trentennio e qualcosa (grosso modo la stessa età degli yuppies sopracitati) dal “panino con la frittata” da portare a scuola al rito pagano dell’apericena.


Isabella Pedicini scrive in punta di penna, animata da una autentica e genuina passione per l’umorismo (sempre elegante e mai triviale) e i giochi di parole, che “fanno scendere in campo” (altra frase fondamentale da tenere bene a mente, qualora ve ne sia ancora bisogno) filosofia, letteratura (tanta letteratura), cinema e storia dell’arte. Perché l’agone qui è sì la cucina e il desco in genere, ma declinato in tutte le possibili sfaccettature. Le ricette proposte infatti spaziano da quelle semplici a quelle meno semplici, come del resto sono le situazioni della vita.
Perché di vita “pulsante e palpabile” (non trovo aggettivi migliori da usare, vedendo l’argomento trattato) che qui si disquisisce. Infatti per ogni ricetta, oltre che una forma geometrica (scelta con indubbio gusto e una piccola dose di mistero), viene associato anche uno stato d’animo ed un episodio, più o meno importante, della vita dell’autrice (non si sa, fino a che punto, romanzata o meno).
È un libro leggero come una buona ricetta mediterranea cucinata dalle sapienti mani di una madre di famiglia, ma non frivola, anzi, emana un senso di profonda riflessione su una tematica, il cibo e la convivialità, che troppo spesso, a meno che non si parli di Grecia o Roma antica, viene derubricato con tanto di spallucce per abbracciare lo show-cooking che va tanto di moda.
La “mutazione antropologica” che Pedicini coglie è quella che ha reso gli individui della Penisola atavica schiavi di bizzarre abitudini, alla cui sommità si erge, quasi sorta di idolo selvaggio, l’apericena.
In questa specie di Tramonto della società occidentale visto dai fornelli, l’apericena è un brusco cambio di rotta, rispetto alle tradizioni nostrane. Infatti costringe i commensali del Centro e Sud Italia a cenare, de facto, alle ore 19.30, rinnegando la mediterraneità che non fa mai sedere a tavola per la cena prima delle ore 20.30 passate (fuso o non fuso franchista). E invece no! Potenza delle mode ecco che da Roma a Palermo interi nugoli di mediterranei si siedono, o cercano di sedersi, su traballanti catafalchi (leggasi sgabelli) tentando di afferrare il maggior numero possibile di pizzette (dal volto stantio e arcaico), agguantare noccioline (sempre tristi e unte) e di non far rovesciare l’immancabile spritz (lo scrivo con la lettera minuscolo in quanto ormai è diventato, per antonomasia, sinonimo di aperitivo, anzi ape alla milanese) sul vestito della vicina. E dire che, per stessa ammissione di Pedicini, per aperitivo nel Sud Italia si intendeva quella chiccosissima usanza per la quale, prima del fatidico pranzo, ci si ritrovava in piazza per sorseggiare un calice di vino bianco sparlando allegramente dei passanti e degli alti papaveri del Paese (Sedotta e Abbandonata e Divorzio all’italiana dominano in questo senso).
Ma, come avevo sostenuto in precedenza, è un libro profondo questo e lo si capisce bene verso il fondo quando la scrittrice si lancia in una tesi ricolma di orgoglio meridionale (tale da far disperare per il fatto che Peppino Garibaldi fosse nativo di Nizza, invece che di una più esotica Locri, Ischia o Termoli):

Il fenomeno del ritorno alle pietanze semplici e poco elaborate, la riscoperta di frutta, verdura, erbe spontanee in antitesi all’impero dei Big Mac, costituisce un tema su cui, in cucina, si intavolano grandi propositi e discussioni. E nessuno poi sparecchia. Tuttavia questa nuova recente attitudine green della città non racconta nulla di nuovo alle zone rurali, soprattutto a quelle del meridione, che non hanno mai interrotto la loro frugale fedeltà all’olio d’oliva, al vino e al grano. Fanno sorridere i decaloghi scritti da blogger coi baffi e gli occhiali doppi a proposito del mangiar sano se confrontati con i deschi del sud Italia, refrattari all’incantamento del cibo precotto. La stessa filiera corta, il chilometro zero, il genuino clandestino, l’orto sociale e co. , costituiscono attività nobilissime, ma non aggiungono niente alla gastronomia delle persone che abitano i territori di campagna. Anche per questa ragione le religioni monoteistiche del veganesimo e del crudismo hanno difficoltà ad attecchire in questi territori che preservano, tenacemente, un’idea arcadico del rapporto uomo –natura.

Ecco qui,  espresso in poche righe, il cuore messo a nudo della scrittrice di Benevento. E ora torniamo tutti quanti ai nostri blog di cucina, alle ricette che mai metteremo in pratica (e soprattutto nel forno) ed ai nostri dannati cupcake. Ma prima sorseggiamo un po’ del giallo-antico-zafferano-di-una-volta, il liquore Strega. È ancora presto per pensare alla letteratura, godiamoci un buon liquore in compagnia. Prosit!




Mattia Nesto