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Tropico del Capricorno: Alla conquista del Brasile. 1893 – Sulla rotta degli emigranti di Ferruccio Macola

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Alla conquista del Brasile. 1893 – Sulla rotta degli emigranti
di Ferruccio Macola
Curato da Vittorio Bocchi
MnM Print Edizioni,  marzo 2015
 


pp. 157
€ 13




Del conte Ferruccio Macola da Padova in Italia non è che si serbi un grande ricordo. Nonostante egli fosse un uomo di cultura e tra i più attivi nel campo politico e giornalistico di fine Ottocento (collaborò infatti con Il Progresso di Genova e il periodico Epoca, fu tra i fondatori de Il Secolo XIX per poi dirigere, nel 1888, la Gazzetta di Venezia), al suo nome è legato un unico fatto: ovvero l’uccisione, nel corso di un duello, il 6 marzo 1898, del garibaldino e “bardo della democrazia” Felice Cavallotti. In quell’epoca le querelle in ambito giornalistico si risolvevano spesso a schioppettate, ma poche volte ci scappava il morto, con però tragiche eccezioni. Ma il conte Macola non è tutto qui, è ben altro, è colui il quale, con uno sguardo talvolta quasi divinatorio, ha raccontato le mille storie dell’emigrazione italiana in Brasile. Una finestra aperta sul futuro di ieri: ecco  Alla conquista del Brasile. 1893 – Sulla rotta degli emigranti.

Il libro, proposto in un’edizione ben curata da Vittorio Bocchi per MnM Print Edizioni, è un resoconto/reportage del viaggio, con partenza dal porto di Genova (“la porta per i Sette Mari”), che gli emigranti italiani compivano, con destinazione ora Buenos Aires ora, come in questo caso, Rio de Jainero. Non superfluo sottolineare come (e Macola ce lo ricorda spesso e volentieri) all’Italia, specialmente nell’ultima parte del secolo diciannovesimo, fosse subito corrisposta, quasi biologicamente, una vocazione all’espatrio, verso i tanti nuovi Mondi che all’epoca punteggiava il Vecchio Mondo.  Macola però non è un emigrante, è un uomo di cultura, un giornalista e scrittore. Uno spirito assieme d’avventura e di reporter degli albori animava questi uomini che, imbevuti della cultura positivistica,  leggevano tutto attraverso le lenti di una presunta scientificità che spesso lasciava il passo a forme, più o meno latenti, di pseudo-razzismo, tenendo sempre e comunque fermo il concetto per il quale “l’Europa è la civiltà, il resto è folklore e barbarie”.

Non dimentichiamo che l’anno dopo l’uscita del libro in questione, Edmondo De Amicis, “lo scrittore più popolare del Regno d’Italia”, scriverà Sull’Oceano, un vero e proprio best-seller fin de siècle, volume che raccontava l’emigrazione italiana in Nord America il quale fu ristampate plurime volte da Treves. Questo per ribadire come, il tema “emigrazione/ immigrazione”, argomento su cui ancora oggi, tristemente, si dibattete, fosse una delle questioni più controverse duecento anni fa dalle nostre latitudini.

Ma che mondo è questo “mondo nuovo” chiamato Brasile? Macola lo descrive, nel classico italiano forbito e toscaneggiante che allora andava tanto di moda (molte digressioni di natura scientifico-etno-botanica non compaiono per volontà dello stesso curatore Bocchi, alleggerendo il testo e la sua fruizione di parti non vitali) come un universo sterminato, in cui la natura, grande e meravigliosa, esplode in tutta la fantasia e la rarità diffusa dei tropici. Ma ben presto, quasi a fare da contraltare alla lussureggiante verzura brasiliana, si descrivono i metodi con i quali vengono accolti i nostri connazionali in terra straniera. Partiti dal porto di Genova con la “faccia ancora sporca dal carbone della Galleria dei Giovi”, piemontesi, lombardi, veneti, romani, napoletani e siciliani si ritrovano catapultati in una realtà aliena, in balia di capi e caporioni, spesso loro conterranei, che prima li fanno albergare, per qualche giorno appena, in stanzette sudicie nei dintorni del porto di Rio per poi spedirli, senza tante spiegazioni, a lavorare la terra in fazende sperdute nella jungla brasiliana.

L’alienazione e l’abbruttimento psico-fisico che quasi subito colpiscono gli italiani è uno dei fattori che Macola sottolinea con più forza, soprattutto perché, e qui viene fuori l’uomo anche razzista di fine Ottocento, il contatto con le popolazioni locali, senza che vi sia stata prima una decente istruzione, porta all’imitazione dei gretti usi e costumi di quel posto. Il padovano scaglia inoltre una violenta j’accuse nei confronti del Governo nazionale, reo di lasciare coscientemente soli i propri concittadini, non intuendo le enormi potenzialità di questa “colonizzazione dolce” incarnata nell’emigrazione.

Il tema centrale del libro (e ragione per la quale sia così tanto attuale) è racchiuso nelle pagine finali, quando il giornalista, scrivendo le proprie riflessioni, utilizza parole che se fossero poste in bocca a qualche politico italiano dei nostri tempi farebbero sussultare d’orgoglio più di una persona di buon senso:

Non si vive più che di illusioni e di memorie; in Europa siamo i soli che non abbiano pensato agli sbocchi riservati alle future nostre generazioni (…). I bisogni crescono, premono e segnano quello che sarà il nostro futuro, coll’indice di un fenomeno sociale che i Governi non possono frenare, l’emigrazione. Osserviamo questo fenomeno; seguiamolo, studiamolo; poiché come una voce della provvidenza esso ci suggerisce: Italiani spalancante gli occhi al di là dei mari: è al di là dei mari il vostro avvenire.

Certo, si può obiettare che il conte Macola si riferisse all’emigrazione e non all’immigrazione (il fatto che qualche straniero volesse trasferirsi nella “Grande Proletaria Italia” sarebbe parso irreale ai più) ma il senso non cambia. Queste parole vengono da un uomo fondamentale conservatore che negli anni si avvicinò sempre più alla destra moderata , il quale però si rende conto di come vi siano certi fenomeni “che non possono essere fermati” e che l’unica cosa che si può fare, che un Governo e uno Stato debbono fare, è saperli comprendere e intercettare nel migliore modo possibile. Non bisogna fermare l’emigrazione o l’immigrazione, sono fenomeni più grandi di noi. La cosa da approntarsi al più presto è fare in modo che l’emigrazione o l’immigrazione non sia lasciate ai banditi, agli scafisti e ai mafiosi.  Umanità, controllo, tecnologia e scelta: sono queste le futuribili direttive che arrivano dal nostro passato. Italia, sei tu pronta ora ad accoglierle?



Mattia nesto