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"Inventario della casa di campagna", lo sguardo "a ritroso" di Piero Calamandrei

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Inventario della casa di campagna

di Piero Calamandrei
Edizioni di Storia e Letteratura
euro 28

La riscoperta di ciò che è rimasto indietro, archiviato nella memoria, si compie attraverso la natura e le valli toscane, in un "erbario di ricordi" e sensazioni fine e meticoloso, dove ogni antico gesto, ogni ramo, ogni insetto con cui Calamandrei aveva confidenza nella giovinezza, richiama la vita trascorsa e ritrovata per simboli.

Il ritorno nei luoghi dell'infanzia ha quindi un sapore al contempo storico, intimo e magico: "In una stanza terrena di quel palazzo, chiamata prudentemente "scrittoio" per non far sapere che era un laboratorio di alchimista - ricorda Calamandrei -  il nonno mi iniziò nell'arte magica della scrittura [...] io vi entravo tutte le mattine all'ora stabilita con una certa compunta trepidazione, fatta insieme di repugnanza e di curiosità, come se entrassi a far di negromanzia". 
E attraverso il racconto - che proprio grazie a quella scrittura da negromante riaffiora e si fissa nella storia e sulle pagine - Calamandrei dialoga con le piante, con gli uomini e con i ricordi. Recupera i tempi in cui la lentezza e l'attenzione al particolare limavano il linguaggio. E la scrittura era un'arte: "L'inchiostro nel calamaio - ricorda - che sapeva forte d'aceto, era coperto da una morchia di polverino, che per intingere bisognava forar con la penna, come fa il pescatore nello strato di alghe che galleggia sulle acque degli stagni". Come premio per i compiti fatti ad arte, ricorda ancora Calamandrei, "il nonno" gli permetteva di saggiare l"l'acqua melata", un intruglio melenso che viene raccontato così: "il nonno era convinto che io ne fossi ghiotto, e per questo me lo dava; io, nel vedere con quanta premura me la offriva, ero convinto che col rifiutarla lo avrei offeso, e per questo mi rassegnavo a buttarla giù, trangugiandola tutta d'un fiato per non sentire lo schifo. Eppure, nonostante il terrore di quel premio, imparai a leggere e scrivere lo stesso; non per l'acqua melata, ma per l'onore". 

Di pari passo con le citazioni sulla vita casalinga della sua giovinezza, Calamandrei recupera i ricordi e le metafore sull'uomo attraverso le piante. E vale allora la pena riportare un dialogo che l'autore ricorda o immagina di scambiare con un amico letterato che così lo apostrofa:

"Tu pensi dunque di conoscere il mondo, solo perché, quando t'imbatti in un fiore o in un insetto, la sua vista suscita nella tua memoria una iscrizione con un doppio nome latino? Ecco il solito omuncolo poveretto, che quando gli è riuscito di affiggere sulla porta di un mistero una tabella con un nome, gli par di averlo svelato e di aver annesso al suo regno ciò che rimane dietro la porta serrata. Ma non ti accorgi che dietro i cartellini scolastici, apposti dalla tua memoria di primo della classe sui vari aspetti di queste campagne, rimangono ugualmente inafferrabili e impassibili le forme di una vita estranea che fermenta per suo conto e che ti ignora? E tu ti aggiri solitario e invisibile, come esiliato in una quarta dimensione, per questo mondo che tu credi familiare e benevolo, e che invece non ti fa neanche l'onore di esserti ostile -
L'amico letterato ha ragione; ma io, per aver ultimo la parola nel colloquio, mi ostino a replicargli così:
 - Lasciami questo ingenuo gusto di chiamar questi aspetti della natura coi dolci nomi di allora: e la pretenziosa ma innocente illusione di considerar l'incontro con un fiore come l'incontro con un vecchio amico. Lo so che il fiore tace e non risponde al mio saluto; ma tu credi sul serio che gli uomini, tra i quali viviamo in consorzio, siano l'un per l'altro creature meno inaccessibili delle piante e degli insetti? Non sai se lo stelo d'erba che sfiori passando percepisca la tua carezza, né se lo scarabeo che fai camminare sul palmo della tua mano intraveda la tua grande ombra di uomo; ma sei tu più certo di sapere che cosa pensa quando gli passi accanto colui che tu chiami tuo simile? [...] Nel giorno del mio più disperato lutto, il tremito della mia angoscia non riesce a farsi sentire oltre il chiuso cerchio del mio cuore: e non impedisce al mio vicino, anche a quello più stretto e più caro, di avere il cuore in festa, per una fortuna che gli è toccata in quella stessa ora. Ognuno, tra gli uomini o tra le piante, vive e muore in segregazione cellulare: a malapena l'amore può aprir per istanti qualche varco nella parete.
Dunque amico, non mi dar del matto se quando vado per i monti parlo ad alta voce coi fiori e colle farfalle: credi tu di esser meno matto quando parli cogli uomini nella speranza che quelli ti rispondano?"

La natura e il percorso a ritroso - con echi che richiamano inequivocabilmente Quasimodo ("Ed è subito sera") - diventano allora una preparazione alla morte, un cammino di recupero di un'età sincera che ciascuno dovrebbe ritrovare, quella della giovinezza e del contatto con la natura, quando il mondo era ancora scoperta, sorpresa e simbolo. Dove i nomi attribuiti ad animali e oggetti erano il canale di dialogo con la natura e con il paesaggio circostante. 

Ed è così che Calamandrei, a poche pagine dalla fine scrive di sé e dei suoi luoghi: "in quelle stanze si aggirano, accennanti con mesto sorriso, ombre care che solo quando questa casa crollerà saranno morte davvero: e i paesaggi che si scoprono da quelle finestre sono anch'essi vivi come persone [...] quanto al mio erbario, che racchiude il vecchio odore di questa terra, quello bisognerà che me lo seppelliscano accanto, come mia suppellettile personale".