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Pillole d'Autore: "Quando si spengono le luci" di Erika Mann

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Erika Mann ha trentaquattro anni quando, nel 1939, tiene a Princeton una conferenza in cui legge di fronte al pubblico americano alcuni brani da The Lights Go Down, libro che ha appena finito di scrivere. Da sei anni la primogenita di Thomas Mann ha lasciato la Germania insieme al fratello Klaus, scegliendo, come molti giovani tedeschi della sua generazione, la via dell'esilio intellettuale. 
Scrittrice, giornalista, attrice, reporter, eccellente conferenziera, ha intrapreso una carriera che l'ha portata in Svizzera, in Inghilterra, negli Stati Uniti. 
Dall'Europa e dall'America non abbandona mai la riflessione sulla situazione politica della Germania e dell'intero continente, da poco affacciatisi sul baratro del secondo conflitto mondiale. 
The Lights Go Down (traduzione italiana: Quando si spengono le luci) è la prova brillante di un'intellettuale che ha colto con straordinaria lungimiranza tutte le dinamiche - anche le più sotterranee - della macchina dello Stato totalitario. 
Il libro è una raccolta di racconti brevi ambientati nella Germania del 1938; animata dalla volontà di comprendere la natura degli orrori e degli errori nazisti, Erika Mann ha scritto un testo che sta sottilmente al confine tra la narrativa e la saggistica di taglio sociologico. Le storie, dieci in tutto, sono ispirate a fatti realmente accaduti. Ogni singolo racconto si basa sulla raccolta precisa di testimonianze e documentazione: la fiction si serve dei tasselli del reale per costruire un discorso che racconta la vita politica e sociale della Germania del Terzo Reich. 
Ogni vicenda è uno spaccato di vita comune, non ci sono né eroi da film che titanicamente sfidano il destino, né eserciti di buoni e cattivi. Ci sono impiegati, professori, medici, ufficiali, intellettuali, contadini che ogni giorno vivono immersi nella pubblica menzogna, piccoli soldatini di uno Stato che se ne serve per volontà di potenza. 
Come scrive Agnese Grieco nell'ottima postfazione dell'edizione Il Saggiatore, "le verità di regime penetrano infatti nelle menti come l'aria nei polmoni, simili a un pericoloso, sottile miasma capace di avvelenare un paese intero". Senza un filo di retorica l'autrice dialoga direttamente con il lettore, gli mostra lo spirito nazista nel suo divenire, indaga come questo prende corpo nelle azioni, nei silenzi, nelle paure e nelle scelte di personaggi comuni, personaggi che potremmo essere tutti noi. 
L'unica retorica che emerge è quella della propaganda, eccessiva e stonata come una macabra marcia militare durante un giorno di festa. 
The Lights Go Down è scritto nello stesso anno in cui Hitler invade la Polonia dando inizio alla Seconda guerra mondiale; per acume di indagine sociale e psicologica potrebbe sembrare una lucida riflessione a posteriori e invece ne è una testimonianza contemporanea. 
Questo libro è stata un'illuminazione - accostabile ad Addio a Berlino di Cristopher Isherwood - e da solo permette di avvicinarsi all'universo di una studiosa, un'artista eclettica che ha vissuto la propria missione con coraggio, opponendo alle ombre scure che calavano sul mondo la luce abbagliante della propria coscienza critica e dell'onestà intellettuale. 

Edizione di riferimento: Erika Mann, Quando si spengono le luci (a cura di Agnese Grieco), Milano, Il Saggiatore, 2013, pp. 268


Berlino era di una luce abbagliante, un tumulto di città; i suoi ristoranti erano pieni fino all'ultimo tavolo di gente che rideva, e nessuno sembrava avere di che preoccuparsi. Non si percepiva alcun segnale di paura, da nessuna parte. Io odio tutte quelle chiacchiere - lo straniero scosse irritato la testa - odio quel parlare a vanvera del "terrore della dittatura". Questo Hitler ha fatto grandi cose, chiede ai tedeschi di compiere sacrifici assai gravosi, ma loro non lo danno a vedere. Come sono belle queste bandiere di colore rosso, anche sopra il piccolo negozio di oggetti sacri sventola la croce uncinata. 



La Marktplatz era piena zeppa di gente. Doveva essere successo qualcosa. Forse un tram era uscito dai binari, cosa che negli ultimi tempi succedeva spesso. Il cuore di Marie prese però a battere pi veloce quando avvicinandosi, vide che la folla si accalcava proprio intorno alla casa dei suoi genitori. Sentì qualcosa scricchiolare sotto la suola delle scarpe: erano schegge di vetro. La vetrina del negozio, pensò. L'hanno rotta!

Scesero le scale, l'uno accanto all'altra. Hannes Schweiger non aveva il coraggio di mettere il braccio attorno alle spalle della moglie. Tra di loro cresceva il sospetto, un sentimento sporco e paralizzante. Quel sentimento li accompagnò lungo la strada ed entrò con loro nell'appartamento, si infilò nel grande letto, in cui rimasero sdraiati lontani l'uno dall'altra, come se a dividerli ci fosse un abisso. 

Il giovane seduto in prima fila diede un piccolo colpo sul banco con la matita. Il professor Habermann lo guardò e vide comparire sulle sue labbra un leggero sorriso di approvazione, appena accennato. Poi lo studente gettò indietro la testa e fece una risata, breve, ma che era difficile non sentire. La classe iniziò a pestare i piedi. In questo modo gli studenti esprimevano approvazione e plauso.  

Franz Diglemeyer venne consegnato alle autorità naziste. La sua ultima lettera, scritta alle quattro e mezzo del mattino in carcere, è una testimonianza resa tra le lacrime. La calligrafia è tremante, tuttavia le parole rivelano calma interiore e l'autocontrollo di questo eroe perduto. "Sono le quattro e mezzo del mattino" scrive Franz Diglemeyer. "Desidero comunicarvi in tutta fretta che il peggio sta accadendo. Vengono a prendermi. Già tra un paio d'ore, al confine, verrò consegnato alle autorità tedesche. Che cosa succederà, non lo so..." 

A cura di Claudia Consoli