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#PagineCritiche - Salinger: la guerra privata di uno scrittore

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Salinger
di David Shields e Shane Salerno
ISBN edizioni, 2014

pp. 762
€ 49



Ho riflettuto a lungo di fronte alla pagina bianca prima di scrivere questo pezzo. Per quelli della mia generazione cresciuti nel mito americano, J. D. Salinger ha rappresentato una delle figure più affascinanti, enigmatiche e leggendarie del panorama letterario del Dopoguerra. Nell’Olimpo degli dei-scrittori del Novecento americano, insieme a Hemingway, Fitzgerald, Kerouac e soci, fino ai contemporanei D. F. Wallace, Franzen, Roth, Eugenides, Bret Easton Ellis, un posto privilegiato è senza dubbio di Salinger, grande maestro della short story diventato leggenda con l’unico romanzo pubblicato Il giovane Holden manifesto dei dilemmi esistenziali/adolescenziali di lettori di tutto il mondo. Un romanzo degli anni ’50 del secolo scorso che, come ogni classico che si rispetti, non smette mai di affascinare a distanza di generazioni che di volta in volta vi danno letture diverse ma per tutti la stessa, sorprendente sensazione: che quel breve romanzo parli proprio a noi, il disagio di Holden simile al nostro. E soprattutto, sentiamo nei confronti del misterioso Salinger un’empatia difficilmente provata prima, lo stesso desiderio di Holden di fronte a quei libri
che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.
Come lui avremmo voluto davvero bussare alla porta della casetta nei boschi di Cornish, New Hampshire, dove Salinger si era ritirato a vivere lontano dalla fama, affrontare un viaggio scomodo e assumersi il rischio di un’accoglienza sicuramente poco cortese per conoscere l’uomo che come pochissimi altri ha saputo parlare davvero e così profondamente a generazioni diverse di adolescenti (e no solo) in crisi esistenziale. Fitzgerald ci aveva affascinato con il luccichio dei ruggenti anni Venti, amori struggenti e fiumi di champagne, un mondo già adombrato dal crollo del mito borghese, dalla crisi che di lì a poco avrebbe cancellato ogni bagliore e il profondo disagio di quei giovani figli tormentati nella frenetica ricerca del proprio posto nel mondo. Intanto Papa Hemingway diventava il simbolo di una virilità esibita ed eroica, un’immagine così lontana dalla tradizionale idea di scrittore misantropo e riflessivo che ha segnato per sempre l’immaginario collettivo e ha affascinato milioni di lettori con quella lingua diretta, asciutta, essenziale, in cui il non detto era la parte immersa e più importante di un iceberg tutto da scoprire. Poi è arrivato Salinger, che lentamente ma con caparbietà diventa uno degli autori di punta sul New Yorker (un posto conquistato faticosamente, dopo un considerevole numero di rifiuti da parte della rivista) il testo sacro e la legittimazione per chiunque in quegli anni avesse ambizioni letterarie; una passione per la scrittura che si portava dentro da sempre, in qualunque luogo la vita lo aveva condotto: dall’elegante appartamento di famiglia nell’Upper East Side fino all’orrore dei campi di battaglia europei nella Seconda Guerra Mondiale.

Si è dedicato totalmente alla scrittura e i riconoscimenti non hanno tardato più di tanto ad arrivare, fino all’esplosione del mito e la fama mondiale in seguito alla pubblicazione del romanzo su Holden. Ma qualcosa si è presto incrinato: forse le conseguenze della fama che turbavano il desiderio di privacy e il meticoloso lavoro di scrittura, traumi del passato mai del tutto superati, una vita sentimentale inquieta, o forse ancora la creatività meno dirompente rispetto ad un tempo. Sono sempre gli stessi gli interrogativi ai quali ancora non abbiamo trovato risposta sui motivi che hanno spinto Salinger ad allontanarsi sempre più dalla fama e dal suo pubblico, scegliendo di ritirarsi in un anonimato impossibile da raggiungere quando i pellegrinaggi di lettori devoti non smettono mai di portare curiosi ed appassionati in quella provincia lontanissima dalla New York fredda e un po’ crudele del tormentato Holden. Interrogativi che hanno senza dubbio alimentato la leggenda di uno scrittore sfuggente come mai nessuno prima di lui e il mistero dei tesori che in tanti ci auguriamo si celino protetti in una cassaforte e che prima o poi speriamo di vedere pubblicati.
Inevitabile quindi che una figura tanto misteriosa e contraddittoria sia stata oggetto di curiosità spesso anche morbose, spingendo autori, giornalisti e fotografi alla scoperta del segreto Salinger. Non sono mancati saggi, articoli e biografie non autorizzate che di volta in volta hanno cercato – e finora diremmo con scarsi risultati, vedi per esempio la terribile biografia di Ian Hamilton, pubblicata in Italia da Minimum fax con il titolo In cerca di Salinger- di svelare il mistero di un uomo che dopo aver inseguito tenacemente l’affermazione letteraria è stato sopraffatto dalla fama e si è ritirato sempre di più, proteggendo la propria vita privata e il proprio lavoro contro chiunque cercasse di intromettervisi, professionisti o semplici curiosi, perfino famigliari o ex amanti pronti a rivelare i segreti dell’uomo che hanno avuto il privilegio di conoscere.

Questa lunga premessa mi scuserete, per rimandare quanto più possibile l’inevitabile: un altro saggio si aggiunge alla lista dei lavori di media o scarsa qualità con cui si è cercato in questi anni di raccontare l’uomo Salinger, a quanto pare per molti più interessante delle opere straordinarie di cui è stato autore. E proprio questo a mio avviso – anche se basta un rapido giro in rete, sui principali siti di riviste letterarie, per rendersi conto che è un giudizio piuttosto condiviso - è probabilmente uno dei saggi meno riusciti, inutilmente costosi, il cui clamore suscitato appare magistralmente costruito. 

Salinger di David Shields e Shane Salerno è stato preceduto di qualche mese dal documentario omonimo realizzato dal duo, frutto di 9 anni di ricerche e interviste, con lo scopo di consegnare al pubblico la biografia definitiva sullo scrittore più misterioso del secolo scorso, la cui uscita nelle sale e nelle librerie è stata anticipata come si diceva da una campagna promozionale costruita ad arte, capace di creare un’attesa isterica che purtroppo non è stata adeguatamente ricompensata. Per quello che riguarda il mercato italiano, l’attesa per questo nuovo lavoro su Salinger si era presto accompagnata alla delusione di fronte alle resistenze di Einaudi e altre case editrici di rilievo nel panorama letterario nazionale nell’acquistare i diritti per la pubblicazione italiana; sui social network ci si interrogava sui motivi di tanta reticenza, dopotutto parliamo di Salinger, scrittore amatissimo di cui sentivamo la mancanza già cinquant’anni prima della sua morte, quando senza dare spiegazioni aveva smesso di pubblicare.

Ora, che da un paio di mesi il libro è tra le nostre mani, intuiamo i motivi di tanta cautela: in primo luogo il costo decisamente eccessivo sia per l’editore che infine per il lettore che si trova a dover spendere 49 euro per un’edizione di media qualità, che possiamo solo in parte giustificare oltre ai già citati diritti di acquisizione da parte della casa editrice stessa con un discreto apparato fotografico e materiali interessanti come lettere e citazioni dai lavori di Salinger; poi sicuramente non hanno giocato a favore nella compravendita dei diritti le recensioni negative che una dopo l’altra sono apparse su riviste autorevoli come The Guardian e New York Times solo per citarne un paio. Questo per dirvi che alla morbosa curiosità iniziale che l’autrice stessa di questa recensione-fiume ha provato di fronte a quella che si preannunciava come LA biografia su Salinger, si è presto aggiunto il sospetto, poi purtroppo confermato, di un lavoro di marketing ben congegnato ma che ha davvero scarso valore critico e biografico.

I primi difetti che subito disturbano il lettore di questo saggio sono correlati l’uno all’altro: innanzitutto l’uso di una lingua decisamente troppo colloquiale e inadatta alle ambizioni critiche che gli autori perseguivano e che finisce col dare l’impressione di una veloce stesura sulla pagina delle numerose ore di conversazione con le persone intervistate per il documentario piuttosto che una biografia-saggio ragionata e adeguatamente composta. A questo si collega l’enorme difetto strutturale di costruire il saggio in un susseguirsi mal organizzato di brani piuttosto brevi dalle sopracitate interviste, messi insieme probabilmente con lo scopo di costruire un discorso organico a più voci intorno al tema scelto nei vari capitoli del libro, ma con il risultato di un dialogo troppo frammentario e disordinato, al quale prendono parte troppe persone per ricordarle tutte. Sono davvero tante le voci utilizzate per comporre questo libro, non tutte ugualmente autorevoli e a quanto sembra in diversi casi pronte a prendere le distanze dalle chiacchiere su Salinger confluite nel lavoro di Shields e Salerno.

Difficile anche definire univocamente la tipologia del libro che ci troviamo davanti: non possiamo considerarlo una biografia a tutti gli effetti perché manchevole di troppi elementi caratteristici del genere e se volessimo basarci solo su questo lavoro sarebbe davvero difficile avere un ritratto esaustivo della vicenda biografica di Salinger, coglierne la crescita umana e intellettuale e collocare la sua opera nel contesto storico culturale del tempo; quest’ultimo punto poi ci ricollega all’impossibilità di etichettare il libro come saggio critico sul lavoro dello scrittore newyorkese, per via di già citati difetti come la mancanza di voci realmente autorevoli in grado di riformulare magari anche già espresse interpretazioni dell’opera di Salinger anziché limitarsi ad un chiacchiericcio che inevitabilmente finisce per risultare solo fastidioso.

Dalla lettura del saggio (che va ricordato, è oltretutto un lavoro quantitativamente notevole da più di 700 pagine) non è possibile quindi ritrovare il ritratto né dell’uomo né dell’autore Salinger, nessun mistero è svelato, le scarse notizie inedite o hanno poco valore o sono mere speculazioni. È intorno a pochi elementi che in fondo gli autori hanno basato questo lavoro, su cui hanno in qualche modo costruito un saggio decisamente troppo lungo eppure senza riuscire comunque ad esaurire la questione. Alcuni di questi spunti potevano anche essere interessanti se adeguatamente trattati: l’esperienza di un giovane figlio della borghesia newyorkese deciso a ribellarsi ad uno stile di vita conformista finendo per vivere la devastazione e l’orrore della seconda Guerra Mondiale; un trauma che come è ovvio non lo abbandonerà mai del tutto e sulla base del quale sono state fatte negli anni diverse letture delle sue opere in tale luce, fino a questo saggio in cui ci si spinge a cercare tracce di un disturbo post traumatico che avrebbero profondamente condizionato non solo la vita e il lavoro di Salinger ma che sarebbero anche uno dei motivi che lo spingeranno dopo la pubblicazione del romanzo su Holden a ritirarsi sempre più nel suo isolamento.

Altro elemento che il saggio prende in esame, portando la teoria fino all’esasperazione, è il sospetto di una certa morbosità in Salinger nei confronti di giovani adolescenti con il quale negli anni ha intrecciato rapporti sempre più al limite della molestia sessuale; alcune delle sue relazioni, platoniche o meno, erano già note al pubblico (un esempio su tutte: il legame sentimentale con Oona O’Neill, figlia del drammaturgo premio Nobel Eugene e poi compagna di vita di Charlie Chaplin) e il libro in esame ambiguamente gioca su questo aspetto per incuriosire il lettore ma rivelando anche in questo caso una certa superficialità di indagine. Senza dubbio Salinger provava una fortissima attrazione per il periodo dell’adolescenza e come autore si è fatto interprete straordinario dei turbamenti e del disagio di giovani sulla soglia dell’età adulta, età della vita che sentiva congeniale e verso la quale forse aveva una curiosità effettivamente un po’ morbosa, come dimostrano i numerosi scambi epistolari (in qualche caso evolutisi in relazioni sentimentali) intercorsi tra lo scrittore e ragazze adolescenti che sapeva conquistare grazie al fascino di una mente brillante, matura e una personalità accattivante. Una parentesi a parte a proposito di amanti, è per la scrittrice Joyce Maynard: anche lei adolescente conquistata dal fascino di Salinger e pochi anni dopo, quando l’innocenza della gioventù lasciava il posto alla consapevolezza dell’età adulta, gettata via senza molti riguardi; difficile dimenticare la relazione con un personaggio tanto enigmatico e seducente e senza dubbio impossibile per la Maynard resistere alla tentazione di inserire l’esperienza nel suo memoir, o sfruttare le lettere private tanto a lungo conservate per venderle in un momento di difficoltà economica, il mondo sempre affamato di qualsiasi mezzo potesse svelare almeno in parte il segreto Salinger. Anche le parole della Maynard raccolte in questo saggio dipingono ancora una volta un ritratto spietato di Salinger e forse nel giudicare l’uomo glaciale e presuntuoso che senza troppe cerimonie la mette alla porta non dobbiamo dimenticare che sono pronunciate da una ex amante ferita, forse non proprio oggettiva e desiderosa di gettare un’ulteriore ombra su un personaggio da sempre enigmatico. Probabilmente però l’elemento più insopportabile a cui il saggio in questione dedica ampio spazio è la relazione che intercorrerebbe tra The Catcher in the Rye e almeno tre omicidi o tentati tali che hanno segnato in maniera diversa gli anni Ottanta: l’assassinio di John Lennon per mano di Mark David Chapman, quello della giovane attrice Rebecca Schaeffer (l’assassino, John Robert Bardo) e il tentato omicidio del presidente Reagan (John Hinckley jr). Shields e Salerno insistono infatti sull’elemento comune a tutte e tre le vicende, ossia una certa passione-ossessione per il romanzo di Salinger che ad una nuova lettura mostrerebbe non poche tracce di violenza e insofferenza verso la società dominata da quel mondo di “fasulli” contro cui Holden continuamente si scaglia e un desiderio malcelato di morte. Anche in questo caso però gli autori spendono anche troppe parole nel rievocare l’assassinio di Lennon di cui tutti in qualche modo abbiamo memoria e non danno in fondo alcuna concreta interpretazione critica alla teoria formulata, dimostrando quindi nuovamente di aver costruito un saggio più sensazionalistico che un testo di qualsiasi valore critico.

Infine, insieme all’insofferenza verso tutti i limiti riscontrati in questo libro, impossibile non notare anche la sorprendente contraddittorietà e incoerenza degli autori: per più di 700 pagine ci ricordano l’ossessiva ricerca di privacy da parte di Salinger che per oltre cinquant’anni ha cercato di difendersi dalle intrusioni del mondo, dai paparazzi appostati dietro i cespugli, da parenti, amanti e conoscenti pronti a rivelare ombre e misteri dell’uomo che hanno conosciuto in una gara senza esclusione di colpi; un desiderio di anonimato e rispetto per la propria vita con cui – nonostante la curiosità da fan che inevitabilmente ci portiamo dietro- abbiamo imparato a convivere, “accontentandoci” di scoprire Salinger solo attraverso i suoi scritti; ecco, eppure nessuna remora negli autori a pubblicare foto scattate proprio da quei paparazzi in agguato, scatti rubati di un uomo che non desiderava altro che essere lasciato in pace a vivere e, noi ci speriamo, a scrivere indisturbato, non più preoccupato forse di compiacere il mondo. Se davvero esiste la tanto citata cassaforte misteriosa che racchiuderebbe gli ultimi tesori dello scrittore più sfuggente d’America, resterà probabilmente ancora un mistero. Shields e Salerno sembrano anche in questo caso aver trovato le loro risposte, dichiarando (ma neanche a dirlo senza alcuna prova inoppugnabile) l’esistenza di manoscritti inediti pronti per la pubblicazione, come da volere di Salinger stesso, tra il 2015 e il 2020. Di questo, tra non molti anni avremo prova o smentita, per ora ci resta solo l’amarezza per un prodotto commerciale ben confezionato, ma di scarso valore letterario.

Personalmente, ciò per cui ringrazio Shields e Salerno è il nascere in me di un nuovo sentimento verso Salinger: è venuta meno la morbosa curiosità di scoprire i segreti dietro quel lungo silenzio raramente interrotto, dei motivi che hanno spinto un uomo (perché non ce ne ricordiamo? Prima di essere scrittore, Salinger come tutti era un uomo, con difetti, debolezze e desideri personali) all’apice del successo a nascondersi per sempre al mondo. Ancora una volta il mistero Salinger resta velato.