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#SalTo14 - La giovane generazione romena: Cioran e Eliade

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Più approfondisco la conoscenza di Emil Cioran (1911-1995), più mi rendo conto che della necessità di un ripensamento dell’intero mondo editoriale.
Abbarbicato su se stesso, incapace di andar oltre i propri limiti o peggio di riconoscere i veri grandi autori, è alla continua ricerca di una stentata sopravvivenza economica con l’ostinato cieco utilizzo di metodi (commerciali in particolare) che lo porteranno inesorabilmente al suicidio, come ad esempio la scellerata scelta di puntare sui cosiddetti best sellers con la loro spasmodica aspirazione, tipicamente moderna, a ciò che non è prima ancora di essere.
Il rischio, ormai danno ampiamente realizzato, in sintesi, è di svilire i contenuti di qualità e di perdere inevitabilmente dei pezzi importanti della cultura passata per inseguire la cosiddetta “cultura di consumo”, per preferire cioè il “moltiplicare dei bisogni” a scapito del loro “soddisfacimento”.
Uno di questi “pezzi” è sicuramente l’opera colta e stilisticamente raffinata dell’insonne pensatore dai natali rumeni ma dalla “maturità” prettamente francese.
Si possono anche non amare i saggi e limitarsi ai romanzi-copia di serial televisivi, si può anche non conoscere qualche autoruncolo contemporaneo, dai più osannato come un dio a tempo (leggi code infinite per comici travestiti da giornalisti), ma - e mi dispiace pure ammetterlo: de gustibus non est disputandum -, non si può pensare di amare la letteratura o meglio il pensiero umano e non conoscere un autore come Cioran.
E dico ciò non tanto con senso di (aristocratico) disprezzo ma con l’amarezza di chi vorrebbe rompere definitivamente meccanismi che non si riusciranno mai a spezzare, cosciente del fatto che sono soltanto la parte minimale di una più grande decadenza intellettuale, italiana prima ancora che occidentale.
L’Agonia dell’Occidente, giusto per riprendere il titolo di uno dei pochi libri fin qui pubblicati e dedicati al Nostro, in fondo è anche questa.
Il titolo tra l’altro fa il verso a un altro libro, oggi ingiustamente dimenticato ma nel passato considerato un autentico capolavoro (che non mancava tra le letture dei contemporanei), qual è “Il tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler.
Una fiera del libro come quella di Torino rimane per me un mistero e mi lascia sempre un sapore amaro tra lo sbigottimento (per la presenza di migliaia di persone) e la rassegnazione (per i contenuti).
In mezzo a questo mistero però capita di ritrovare libri e discussioni di interesse, probabilmente difficilmente rintracciabili altrove (rigorosamente messe ai margini ma intanto ci sono: e chissà, magari un giorno non ci sarà nemmeno quello e ci si ricorderà di oggi come dei bei tempi in cui la piccola editoria di qualità aveva ancora una, benché minima, visibilità).
Il libro in questione è stato appunto presentato sabato scorso 10 maggio proprio al Salone del libro di Torino dalla casa editrice Bietti (casa editrice che si pregia di essere “anti-moderna”, come mi ha riferito con una punta d’orgoglio il suo giovane direttore editoriale, Andrea Scarabelli), contemporaneamente alla presentazione di un altro libro dedicato a un autore vicino per natalità e destino a Cioran ovvero Mircea Eliade, storico delle religioni, e precisamente a un suo scritto - curato da Horia Corneliu Cicortaş - su “Salazar e la rivoluzione in Portogallo”.
All’incontro era presente Massimo Carloni, curatore dell’Agonia, che negli ultimi anni abbiamo avuto modo di apprezzare per alcuni scritti su Cioran e in particolare per aver curato il libro particolarmente discusso di “Friedgard Thoma, Per nulla al mondo: un amore di Cioran”, da dove emerge un ritratto di quest’ultimo inedito e – anche per chi può vantare una minima conoscenza del suo pensiero - perfino disorientante, se non inconcepibile.
Oltre a Cicortaş e a Scarabelli, all’incontro, confinato in un angolino dello stand della Romania, c’era lo storico Franco Cardini (che ci ha regalato un bel quadro del periodo in cui vissero i due autori in questione, paragonandolo causticamente alla questione europea attuale) e Gianfranco de Turris, direttore dell’ottima rivista gratuita Antarès, sempre della Bietti, il cui ultimo numero, non a caso, è dedicato alla giovane generazione intellettuale rumena del dopoguerra (Cioran, Eliade, Ionesco, Noica, ecc.).

Giovane generazione che possiamo considerare come figlia spirituale del professore Nae Ionescu, un controverso Socrate antirazionalista romeno, forse poco originale come filosofo ma trascinatore di indiscusso fascino per moltissimi intellettuali, angosciati dalla marginalità della cultura romena e quindi desiderosi di riscatto (a questo proposito rimando alla lettura di un saggio ben strutturato, scritto da Emanuela Constantini, Nae Ionescu, Mircea Eliade, Emil Cioran, Morlacchi Editore, Perugia, 2005).

Non è un caso che molti alla fine si ritroveranno in una Parigi frizzante, dove la cultura era vita quotidiana e legata a nomi altisonanti come quelli di Sartre o Camus e che rinnegarono, non senza imbarazzo e più o meno esplicitamente, un passato ambiguo, nazista e antisemita, di adesione alla violenta e nazionalista Guardia di Ferro di  Corneliu Zelea Codreanu.
Eliade, prima di ciò, fece tappa in India e poi nel Portogallo di Salazar e ne fu affascinato a tal punto da scrivere un saggio proprio sul dittatore, adesso appunto riproposto assieme al libro di Cioran.
Studioso esoterico affascinato dalla cultura italiana (Papini, Evola), Eliade seguì comunque la via accademica, a differenza di Cioran che preferì invece la strada di un insolito isolamento pseudo-monastico nella (famosa) mansarda di rue de l’Odéon, 21, a due passi dall’omonimo teatro, circondato in realtà da molti amici e conoscenze di un certo spessore.
E soprattutto in corrispondenza letteraria con essi, tanto che questo corpus epistolare fa parte (e molto ancora dovrebbe far parte) di diritto dell’opera di Cioran, assieme a quello straordinario capolavoro che sono i Cahiers recuperati dalla compagna Simone Boué e pubblicati da Adelphi nel 2001 (Quaderni, 1957-1972).
Le lettere a Wolfgang Kraus (da non confondere con il più famoso Karl) sono state recuperate per caso: George  Gutu, occupandosi di una ricerca su Manes Sperber presso l’Archivio Letterario della Biblioteca Nazionale austriaca di Vienna, si ritrovò con una serie di lettere scambiate con Cioran in un periodo di ben diciotto anni, dal 1971 al 1990 e soprattutto ne intuì subito il valore.
Da qui e dall’opera encomiabile di Massimo Carloni sono nate queste ben 158 lettere scritte in tedesco: un carteggio che rappresenta il lavoro italiano culturalmente più interessante degli ultimi anni su Emil Cioran.

A proposito, mi sia consentito fare un cenno agli altri due libricini su Cioran che quest’anno (timido cenno di risveglio?) sono apparsi in Italia, questa volta su iniziativa della Mimesis Edizioni: Il nulla. Lettere a Marin Mincu (1987-1989), a cura e traduzione di Giovanni Rotiroti e L’intellettuale senza patria a cura di Antonio Di Gennaro. Entrambi i libri presentati al Salone (purtroppo non sono riuscito ad andare agli incontri) curati da due studiosi molto attivi nella diffusione del pensiero cioraniano in Italia e a cui pertanto va il mio ringraziamento personale (per quel che vale, diciamo da modesto attento lettore e curatore del blog su Cioran: http://tuttocioran.com).
Vado così via dalla fiera in serata – proprio nel momento in cui lentamente incomincia ad attenuarsi l’incessante formicolio che la contraddistingue - con questo prezioso stimolo.
E’ proprio vero che tutti o quasi si lamenteranno (fiera troppo commerciale, troppa confusione, troppo costosa), ma alla fine tutti o quasi si ritroveranno, un altro anno ancora (il prossimo?), nei capannoni di questa sorta di “mercatone del libro”, incastonato in una Torino che non cessa mai di stupire.


Giuseppe Savarino