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"La mia amica ebrea" di Rebecca Domino

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Rebecca Domino
La mia amica ebrea 
2014

pp. 297.

Iosepha è una ragazzina tedesca di 15 anni che vive con la sua famiglia a Wandesbek nel periodo della seconda guerra mondiale. Suo fratello Ralf non ha ancora 18 anni, ed è entrato a far parte della Gioventù Hitleriana. Il padre è tornato da poco dal fronte e, a causa del conflitto, ha perso un arto inferiore. La madre è una figura più defilata rispetto al resto della famiglia e spesso si dedica a piccoli lavori di cucito per preparare il vestiario che serve per i soldati al fronte. Iosepha cerca di vivere una normalità di vita, a tratti anche gaia, divisa tra la famiglia e l’amicizia molto bella con tre compagne di scuola, Anja, Trudi e Jutte con le quali trascorre del tempo all’interno di un panorama politico bellico che ha già lasciato segni devastanti:
Mi schermo gli occhi con il dorso di una mano, per cercare di mettere a fuoco una via per raggiungere l’albero di fronte al quale Jutte ha contato. La mia amica scova Trudi, che si era appiattita dietro un cespuglio. Ridacchio fra me e me. Non c'è molto da fare mentre aspetto di essere scoperta, così alzo lo sguardo verso il cielo: ne vedo solo uno spicchio fra le fronde degli alberi. Le foglie scintillano baciate dai raggi del sole. Non c'è neanche una nuvola e mi chiedo cosa vedono i soldati quando volano nel cielo così azzurro. Chissà com'è bella la Terra vista da lassù. […] Ridacchio di nuovo e le guardo: le mie tre amiche. A volte, bombardano anche di giorno. Mi chiedo come sarebbe morire adesso.[1]
La guerra è un avvenimento annichilente per tutti: il clima di terrore si respira ovunque, il cibo comincia a scarseggiare per tutte le famiglie che sono costrette a utilizzare la tessera annonaria e a razionalizzare tutto. A dominare in casa, più che la figura paterna è quella minacciosa di Ralf: l’ antisemitismo che oscura la mente del giovane lo porta spesso a dettare assurdi proclami, tanto forti da  influenzare il pensiero di Josepha e, con orrore, finiscono per aggiungere altra paura, alla già diffusa inquietudine che si respira in famiglia.
A volte mi sembra che il rumore delle bombe si affievolisca, altre volte mi sembra che aumenti: mi rendo conto che mi fischiano le orecchie, e mi fa male la testa. Sono così tesa che vorrei alzarmi, correre, ma c'è poco spazio qui dentro e, comunque, mi sembra sciocco. Il rumore delle sirene si confonde con gli scoppi in lontananza, a volte sento anche dei fischi, ma forse sono le mie orecchie: è come se piovesse, è come se qualcuno stesse sparando dei colpi ovattati poi, improvvisamente, il rumore aumenta. Mi tappo le orecchie, abbasso lo sguardo sul pavimento. […].
Io non faccio parte della Gioventù Hitleriana, non ho mai voluto farlo: ho litigato spesso con Ralf a questo proposito, lui dice che sono una stupida, come la maggior parte delle femmine, dice che non capisco che Hitler solleverà le sorti della Germania.[2]
Una sera, in assenza di Ralf, bussa alla porta una famiglia di ebrei che chiede disperatamente ospitalità in soffitta. Dopo un primo momento di smarrimento, il padre li accoglie e li fa sistemare in uno spazio abbastanza angusto in soffitta. L’avvenimento provoca inizialmente grande sconcerto in Josepha che è “costretta” a dividere la propria casa con coloro che considera estranei e con i quali non ha nessuna intenzione di instaurare un benché minimo rapporto relazionale. Ma è il padre a convincerla a mutare atteggiamento, e la prega affinché  non riveli nulla al fratello. L’uomo ha vissuto situazioni estreme in guerra e ha una visione molto più concreta e soprattutto è l’unico componente della famiglia a dimostrare un’umanità e una bontà d’animo nei confronti della popolazione ebrea. L’arroganza e la crudeltà di Ralf, in questo racconto, portano ad un sorprendente rovesciamento dei ruoli che si instaura tra un padre “intimorito” da un figlio che rappresenta l’emblema di un assurdo e incomprensibile odio verso gli ebrei.
È ancora una volta il padre a constatare come Josepha non sia simile a Ralf.
Tu sei ancora molto giovane, Josepha, ma non sei più una bambina piccola – dice mio padre, e le sue parole mi stupiscono. Mi sembra di sentir parlare Anja, ma lo spessore degli argomenti è molto diverso. Anja dice che presto crescerò e risveglierò l’interesse dei ragazzi, mentre papà mi fa capire che presto potrò avere un ruolo attivo nella politica e nella Storia della nostra Nazione. - Voglio che tu mi ascolti, e voglio che tu ricordi queste parole – riprende papà, sfiorando il dorso di una delle mie mani con la sua – al fronte, ho visto cose terribili. Ho visto persone sparare ad altre persone, senza neanche un senso di colpa. Allo stesso modo, ho visto uomini che si conoscevano da pochi giorni sacrificare la vita l’uno per l’altro. Ho visto la compassione e l’odio più barbaro. Ho visto il meglio e il peggio del genere umano, e sai cosa ho capito? – Scuoto la testa; - Siamo tutti uguali, Josepha – le sue labbra s’increspano in un sorriso – Dobbiamo essere noi a capire che non ha senso lottare gli uni contro gli altri. Voglio che tu pensi a queste parole, Josepha: so che tu non sei come Ralf, so che non credi a quella propaganda che sentiamo ovunque, da anni –. Annuisco, perché è quello che papà si aspetta da me, e anche perché è vero.[3]
Josepha si reca quotidianamente in soffitta per portare un cibo e inaspettamente un giorno si vede recapitare una lettera da Rina, la ragazza ebrea sua coetanea. Lentamente inizia una corrispondenza tra le due ragazze che diviene il fulcro dell’intero racconto. L’iniziale avversione che Josepha prova nei suoi confronti, piano piano si risolve in un’amicizia difficile e connotata da un percorso irto di improvvisi silenzi, rotture, sorrisi e di pianti, ma che possiamo interpretare di rilettura e di profondo risveglio della coscienza di Josepha: la ragazza sente che il rapporto con Rina sta crescendo e inizia a osservare le cose con una prospettiva differente.
Nonostante questo, anche se non lo ammetterei mai ad alta voce, non vedo l’ora di ricevere la sua lettera: quello che voglio scoprire con più interesse è se ha avuto un ragazzo per la testa. So che se mi rispondesse di sì, se mi scrivesse addirittura di avere un fidanzato, mi deluderebbe davvero. Non so perché, ma se la immagino come Anja – prima di doversi nascondere nelle soffitte, s’intende – mi accorgo che in fondo saremmo ancora più diverse di quanto non siamo già. [4]
Grazie alla corrispondenza con Rina, Josepha riprende anche la sua passione per la scrittura; è sicura che un giorno riuscirà a pubblicare un racconto che le darà la possibilità forse di diventare una scrittrice. I suoi pensieri sono quelli di una ragazza in piena età adolescenziale, con le aspirazioni, i desideri e i sogni, i primi amori di una qualunque ragazza; speranze che sono anche quelle di Rina la quale riesce a vedere il mondo che sta fuori attraverso i racconti scritti da Josepha.
È così che immagino l’apocalisse. Una volta, scrissi un racconto al riguardo: era prima della guerra e probabilmente, se avessi quel racconto fra le mani adesso, lo giudicherei infantile. Il fatto però è che queste scene mi ricordano davvero quelle che descrissi nel racconto, il giorno dopo la fine del mondo. Qua il mondo non è finito, ma sembra di sì: le persone sono solo sagome che si muovono al rallentatore, c'è fumo da tutte le parti, e un odore che rende difficile perfino respirare. All’inizio, c'è silenzio: o forse sono le mie orecchie a essere ovattate, la mia mente confusa. Poi, è come se qualcuno mi svegliasse bruscamente e improvvisamente sento le grida, vedo le lacrime sui visi, mi guardo intorno ma mi sembra che tutti gli edifici della via siano ancora in piedi.[5]
Il racconto, che in parte rinvia ad altre letture tematiche diaristiche, si snoda su diversi piani che si intersecano in alcuni punti: la tenera amicizia epistolare che si rafforza giorno dopo giorno tra le due ragazze, è un segreto all’interno della vita familiare della famiglia di Iosepha, che subisce, essa stessa, tutto ciò che riguarda l’orrore del mondo esterno. Il cordone che unisce le due famiglie durerà a lungo? Ralf rimarrà per sempre all’oscuro di tutto? Quale destino riserverà la vita alle due ragazze?
La lunga narrazione ha, nella terza parte, il suo punto di svolta e di riscatto morale e sociale. Toccherà infatti a Rina, il compito importante di testimoniare, attraverso un simbolico e toccante passaggio di consegne ciò che è accaduto perché ancora una volta il ricordo degli avvenimenti possa vivere e  imprimersi nella mente del lettore. 




[1] R. DOMINO, La mia amica ebrea, …p. 28.
[2] Ivi, p. 8.
[3] Ivi, p. 55.
[4] Ivi, p. 117.
[5] Ivi, p. 123.