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Aperitivo con Fabio Bartolomei | Incontri a cura delle Edizioni e/o

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Non si vede in giro tanto spesso, Fabio Bartolomei, rispetta in pieno l'immagine dello scrittore schivo, riservato, un po' timoroso del confronto con il pubblico, seppure abbia tanto da dire.
Ha incontrato però alcuni lettori in un piccolo locale romano, in compagnia dell'editor Claudio Ceciarelli e dei fondatori della casa editrice Edizioni e/o: un aperitivo e le sue riflessioni su come si diventa scrittori. 
Decisamente insolito il modo in cui Bartolomei è stato pubblicato, racconta Ceciarelli, perché aveva inviato il suo manoscritto per email: nei mesi in cui la casa editrice decide di aprire agli invii per posta, in genere arrivano centinaia di proposte e davvero pochi vengono scelti per la pubblicazione, precisa Sandra Ozzola. Solitamente i manoscritti vengono segnalati.

Ceciarelli racconta di come il romanzo di Bartolomei, Giulia 1300 e altri miracoli, fosse già ad un ottimo livello, per cui sarebbe stato necessario solo un editing poco incisivo, data la predisposizione dell'autore al lavoro di rifinitura dei suoi testi, nonché all'autocritica.
«Scrivo da quando avevo vent'anni» dice Bartolomei, e racconta di come abbia sempre prediletto la forma del romanzo, confessa di non aver mai amato le forme brevi. Ha avuto la possibilità di accostarsi alla scrittura sin da bambino, quando, per giocare con le bambole, sua sorella gli imponeva di rispettare una sceneggiatura. Scritta. E ancora, da ragazzino gli piaceva reinventare articoli di giornale insieme ai suoi compagni di gioco, che fortuna condividere un modo di giocare così insolito e stimolante, riflette l'autore a voce alta, perché gli ha permesso di scrivere sin da piccolo. "A scuola scrivere è più noioso" dice Bartolomei, perché il tema è sempre imposto, per lui bisognerebbe lasciare gli studenti liberi di scrivere, ne scoprirebbero il lato più bello, quello creativo.

Quanto alla lettura, la sua passione erano i fumetti, fino ai diciott'anni più o meno, quando scoprì i libri per amore di una ragazza: Siddharta non gli piacque poi molto, Marquez lo prese tanto da leggere tutte le sue opere.

L'autocritica in uno scrittore è fondamentale, precisa l'editor Ceciarelli: prima di proporre un manoscritto a una casa editrice bisognerebbe riflettere seriamente sul livello del proprio lavoro, ed è senz'altro un'abilità che riconosce in Fabio Bartolomei. In questo senso, aggiunge l'autore, può essere importante lo scambio di idee con chi cura buoni corsi di scrittura: il confronto continuo, dice, può essere d'aiuto a chi voglia scrivere.

A chi, tra il pubblico, chiede se si senta più uno scrittore o un narratore, Bartolomei risponde di sentirsi un cantastorie. E poi con autoironia aggiunge:
«Gli scrittori hanno un posto importante nella storia della letteratura, per me è fantastico avere un posto in libreria». 
Continua precisando che lo scrittore riveste una funzione nella letteratura, cosa che non a tutti i narratori è concessa; quanto a lui, si sente perlopiù un autore di storie. Gli piace raccontare di persone comuni, nuclei familiari o amici che hanno difficoltà e di come le superano. Giulia 1300 e altri miracoli, per esempio, è nato da uno sfogo personale su carta, per poi diventare una storia di riscatto di personaggi non proprio brillanti. Ha preso forma così bene da fargli pensare che potesse essere proposto per la pubblicazione. Diventerà un film, annuncia Ceciarelli.
Un'altra domanda riguarda la costruzione dei personaggi, che a volte hanno vita propria, si impongono all'autore, o viceversa, è l'autore il demiurgo che li controlla del tutto: Bartolomei non decide a priori delle sorti di un personaggio, mentre ne scrive si preoccupa di vedere fin dove può arrivare.
La scrittura ha molto a che fare con l'intuizione, chiosa poi.

Ceciarelli mette in luce un altro aspetto dei suoi libri: l'attenzione alla società in cui viviamo, a prescindere dal periodo storico in cui Bartolomei ambienta i suoi romanzi. I camorristi in Giulia 1300, il presidente Berlusconi ne La banda degli invisibili, o le riflessioni sulla politica di Al, il protagonista di We are family: "l'occhio sociale", dice l'editor è vivo e mai didascalico, seppure non sia il fine ultimo dell'autore.

Si è dato spazio anche a domande più concrete: qualcuno tra il pubblico chiede se si possa vivere di sola scrittura; l'autore ammette che non si può, racconta del suo lavoro nell'ambito della comunicazione, dei sacrifici per poter scrivere con costanza:
"Cominciavo a scrivere alle cinque del mattino e alle sette mi preparavo per andare al lavoro", 
dice, finché non ha scelto la scrittura. Se non avesse lavorato per anni, aggiunge, probabilmente non avrebbe potuto permettersi questa scelta.
A chi voglia incontrarlo, a chi abbia la passione per la scrittura, segnaliamo i suoi corsi di scrittura creativa a Roma, ospitati di volta in volta in delle librerie indipendenti.


Lorena Bruno