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"La sarneghera" di Laura Mühlbauer

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La sarneghera
di Laura Mühlbauer
Elliot, Roma 2013

pp. 157
€ 16


"Ehi, calmati un momentino", e Dorina la zittì stringendole il polso. Prese un fazzoletto dalla tasca e le pulì la faccia da bambina con un unico gesto, invitandola a soffiarsi il naso dentro l'angolo ancora asciutto. "Una donna se la cava sempre, sai" (p. 65)
Raccontare un tempo, una famiglia, più generazioni, un paesino sulle rive del lago d'Iseo: un'impresa notevole, ancor più difficile se si è al primo libro e si conoscono solo queste realtà attraverso i racconti dei vecchi. E poi c'è l'ambizione sull'ambizione: Laura Mühlbauer recupera non solo gli usi di un paese tra gli anni Venti e gli anni Cinquanta, ma anche i pregiudizi, le superstizioni, i modi di dire e, quel che è più interessante ancora, la lingua. 

Sì, perché questa Sarneghera è una stimolante reimmersione nei tempi andati attraverso un recupero dialettale, operazione favorita dal fatto raro che il dialetto della zona è largamente comprensibile. Anche un lettore che mastica poco i dialetti nord-italiani non fatica a intuire là dove il lessico non è perfettamente aderente all'italiano. A muoverlo, la curiosità per quel che succederà alla famiglia del Buèl, un uomo rozzo e anaffettivo, che resta vedovo con tre figlie da crescere. E in realtà il romanzo si trasforma subito in una grande epica al femminile, perché il padre di famiglia ha più una funzione limitante che protettiva, e anzi è bloccato nelle sue amare nevrosi; saranno le tre ragazze, Giulia, Matilde e Agnese, a prendere le redini delle loro vite fin da giovanissime, ereditando la pazienza e l'amore per la famiglia dalla madre Gianna la Santa. 
E le redini vanno tenute ben forte, perché di tanto in tanto arriva la "sarneghera", una tempesta estiva violentissima e imprevedibile, che sconvolge il paese e i suoi abitanti. Chiara metafora per le passioni umane, la "sarneghera" è un personaggio attivo, in grado di innescare fughe e ritorni. Così, ad esempio, la piccola Agnese prova un sentimento per don Sergio, giovane e appassionato curato del paese, non del tutto indifferente alla vivacità della ragazzina. Eppure non siamo affatto alla presenza di un Uccelli di rovo all'italiana; la scelta di Laura Mühlbauer è più sobria e realistica, e forse questo ha conquistato meno i lettori a caccia di scandali. Così andava, molto spesso: La sarneghera è una storia a mezzetinte, le passioni eccessive sono mal considerate, e anzi segno del demonio, come si legge spesso:
"Sta' atenta, perché quelli come lei hanno ol diàol in corp" (p. 128).
Allora l'esorcismo - pur presente - fa da contraltare a matrimoni assennati (ma senza grandi innamoramenti) e, in generale, a quell'aurea mediocritas che in un paesino coincide con la tradizione e l'adeguamento ai venti e alle tempeste. Così una stoica resistenza ricorda l'ideale dell'ostrica verghiano: chi prova a cambiare, soffrirà e rischierà la vita. Per provare tutto ciò, Laura Mühlbauer opera uno strappo temporale violento, di una ventina d'anni: scelta non del tutto convincente, più che altro perché narrativamente interrompe un flusso ben costruito, e impedisce di mantenere la suspense. O - forse - anche la suspense è una sarneghera, e il lettore deve mantenere una razionale pacatezza? 

Gloria M. Ghioni