in

CriticaLibera - Saperi e Sapori

- -



Pare che il cibo e la cucina siano uno degli argomenti più attuali del periodo: in la televisione e c'è sempre qualcuno che sforna lasagne e arrosti e gli scaffali delle librerie si affollano di libri, libretti e ricettari su come fare il “cupcake perfetto”. Anche il peridio natalizio è certamente uno dei più golosi e le abbuffate sono all'ordine del giorno (o meglio, dei giorni: Vigilia, Natale, S. Stefano, Capodanno, la Befana, la cena aziendale, la cena con gli amici, la cena con gli ex compagni …) Alto rischio di indigestione, ma cosa c'è di meglio che l'estasi delle papille gustative, dello stare insieme attorno a un tavolo, di cucinare un piatto per chi vuoi bene? Semplice: leggere qualcosa che racconti tutto questo!

Il cibo, così come è fondamentale per la nostra vita, si intreccia con l'espressione letteraria, anch'essa nostra fedele compagna. La letteratura è quindi, passatemi la metafora – che tornerà – “sazia” di testi e racconti che parlano di cibo e di gustosi manicaretti, gronda di intingoli e sughi, è pervasa da profumi e da sapori. Alcuni ci diventano esemplari: le polpette e la polenta bigia di Renzo, Tonio e Gervasio; il timballo di maccheroni de Il Gattopardo; le sarde alla veneziana del Goldoni; le raffinate ostriche che D'Annunzio fa assaporare ai suoi personaggi.
Molti sono i libri o racconti costruiti attorno a una tavola: mi piace ricordare Il pranzo di Babette di Karen Blixen, poi diventato un film, e la protagonista intenta a cucinare un pranzo gustoso per i suoi commensali. O anche Cosciotto d'agnello di Roald Dahl, dove però il cosciotto diventa un'arma letale.
In questi casi i piatti servono per descrivere e “dare sapore” alle stesse narrazioni, per dirci qualcosa in più sui gusti e i modi di vita di questi personaggi o come pretesto per lo stesso sviluppo narrativo.

Altrove però l'unione cibo-letteratura può aprire nuovi orizzonti, e portare con sé significati più profondi. È il caso della celebre madeleine di Proust, immagine emblematica di un ricordo che affiora, spesso involontariamente, quando si assaggia un sapore che risale a un “tempo perduto”.
Dice Proust: 
“... Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione di un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzo di madeleine. Ma nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di dolce toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso mi aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa (…) colmandomi di un'essenza preziosa. (…) Sentivo che era legata al sapore del tè e della madeleine, ma la sorpassava incommensurabilmente”.

Isabel Allende invece sottolinea il rapporto cibo-amore nel suo Afrodita, un insieme di racconti e di ricette afrodisiache, dal sapore speziato e intenso. Il retro di copertina riporta 
“... Mi pento delle diete, dei piatti prelibati rifiutati per vanità... Non posso separare l'erotismo dal cibo... Da qui nasce l'idea di questo libro, un viaggio senza carta geografica (…) là dove i confini tra l'amore e l'appetito sono talmente labili da confondersi completamente”. 
Amore e appetito: un connubio vincente e che il detto “prender per la gola” conferma.

Ma c'è anche un altro campo in cui la metafora culinaria emerge, quello filosofico, legato al sapere e alla conoscenza. Platone per esempio scrisse il Simposio, un'intera opera tutta svolta attorno a un pasto. Feuerbach afferma che “l'uomo è ciò che mangia”, interessante se pensiamo a forme di “estremismo” alimentare: la cultura vegana, la cucina molecolare, gli ogm. Dante scrive il Convivio perché vede la sua opera enciclopedica come un banchetto al quale ogni suo lettore si può rivolgere per placare la sua “fame di sapere”.
Proprio questa mia ultima espressione, che ognuno di noi avrà usato a sua volta mi porta a una considerazione in più. Parola e cibo sembrano essere legati profondamente, ed è lo stesso linguaggio a dimostrarlo. Così noi abbiamo “sete” di conoscenza, “digeriamo” a fatica alcuni concetti contorti, “mastichiamo” un po' di inglese, “beviamo” una storia raccontata particolarmente bene e siamo attratti da storielle “piccanti”. Emerge un rapporto profondo tra due ambiti essenziali della nostra vita di animali pensanti, definizione che essa stessa evidenzia questa duplice nostra natura.

Cibo che ci viene descritto, cibo che ci fa ricordare, cibo che ci fa innamorare, cibo che ci fa pensare.

Da amante della cucina e della letteratura, profondamente sicura del connubio meraviglioso che i due ambiti ci offrono, non posso che consigliarvi di approdare al mondo goloso della letteratura sul cibo, così ampio e del quale qui mi son permessa di darvi “un assaggio”, appunto.

E se invece cercate un qualche consiglio su che primo piatto proporre ai vostri commensali per Natale affidatevi al primo ricettario di cucina Italiana: Scienza in cucina, di Pellegrino Artusi. Un manuale che ha insegnato a generazioni come cucinare un risotto alla milanese, e altri piatti che troviamo oggi nella sezione “grandi classici” dei ricettari “moderni”, ma che sappiamo essere i più genuini e gustosi, e che ricerchiamo quando andiamo per trattorie o visitiamo le città della nostra Italia.

Elena Sizana