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Kundera e "La festa dell'insignificanza"

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La festa dell'insignificanza
di Milan Kundera

Adelphi, 2013



Un'opera eclettica, uno scrittore onniscente che spacchetta in paragrafi, periodi e segmenti i pensieri dei personaggi, li intreccia quasi fosse una trama teatrale, con gli attori che entrano ed escono continuamente dal palcoscenico della pagina: momenti - quasi tutti insignificanti agli occhi del mondo - poche battute a ricordare la vita di ciascuno.

"La festa dell'insignificanza", l'ultimo romanzo di Milan Kundera pubblicato da Adelphi, non è una lettura semplice per gli intrecci e i voli pindarici che l'autore concede ai protagonisti. Romanzo mentale prima che di trama, con una scrittura leggera Kundera mette il lettore davanti ai misteri irrisolti della vita, sostrato drammatico alle azioni e al vivere quotidiano. E quell'irrisolto che ognuno si porta dentro è al contempo tanto pesante, individuale (ma l'individualismo non esiste, fa dire Kundera a uno dei suoi personaggi), da essere insignificante e universale. E allora tutto diviene insignificante: i gesti, le parole, le bugie, gli scherzi, le assenze, gli amori mancati, la morte. In una parola: ad essere insignificante per Kundera è l'individuo, la vita stessa di personaggi del tutto comuni e senza storia. Ma insignificanti e quasi clowneschi appaiono anche grandi personaggi storici come Stalin e Cruschev che Kundera fa comparire nell'opera: tutti leggeri, inconsistenti come una piuma che all'improvviso qualcuno s'accorge cadere dal soffitto alto di una sala da ballo. Una scena affollata, costellata di esistenze che trascolorano nel personaggio successivo, incapaci di segnare un sentiero, di lasciare traccia. Tanto nella vita quotidiana quanto nella storia.

Ed è così che un personaggio del romanzo, Ramon, esclama rivolto ad un suo ex collega di lavoro:

C'è una cosa, D'Ardelo, di cui volevo parlarle da tempo. Del valore dell'insignificanza. [...] l'insignificanza mi appare sotto un aspetto del tutto diverso, sotto una luce più forte, più rivelatrice. L'insignificanza, amico mio, è l'essenza della vita. E' con noi ovunque e sempre. E' presente anche dove nessuno la vuole vedere: negli orrori, nelle battaglie cruente, nelle peggiori sciagure. Occorre spesso coraggio per riconoscerla in condizioni tanto drammatiche e per chiamarla con il suo nome. Ma non basta riconoscerla, bisogna amarla, l'insignificanza, bisogna imparare ad amarla. [...] Respiri, D'Ardelo, amico mio, respiri questa insignificanza che ci circonda, è la chiave della saggezza, è la chiave del buonumore..."

Eppure, Kundera non sminuisce i piccoli drammi personali - insignificanti nella storia ma cruciali nel presente - il fardello di ogni personaggio lo caratterizza, lo misura rispetto alla vita e agli altri. Si potrebbe quasi azzardare che è quell'insignificanza che ciascuno si porta dentro a renderci persone, a contraddistinguerci e a farci comuni, nell'illusione della differenza.