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La scelta di Giulia: segreti e peccati nella Napoli alto borghese a cavallo di due secoli

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La scelta di Giulia
di Brunella Schisa
Mondadori, Milano 2013

pp. 312
cartaceo € 16.50
ebook € 9,99

Ci sono libri difficili da recensire: non per la materia che trattano o il virtuosismo stilistico ma perché inaspettatamente ti hanno conquistata e delusa quasi in egual misura. Succede con l’ultimo romanzo di Brunella Schisa, giornalista, critico e scrittrice che nelle opere precedenti ha dimostrato un fine talento per la narrazione, sempre accompagnata da una solida ricerca storica e da una notevole capacità di dare vita sulla pagina a personaggi interessanti e psicologicamente sfaccettati che si muovono in una realtà e un mondo di sentimenti altrettanto complessi. 
Questa volta, con La scelta di Giulia, la magia non si ripete con pari intensità e il romanzo che ne scaturisce avvince per alcuni aspetti, ma non sono purtroppo sufficienti a mascherarne le debolezze. Innanzitutto la storia, una saga familiare ambientata nella Napoli alto borghese tra fine Ottocento e anni Ottanta del Novecento che richiama le narrazioni della grande stagione del romanzo tardo ottocentesco per esempio, ma manca di una trama abbastanza solida da reggere adeguatamente cento anni di storia di una famiglia e di un Paese, mentre segreti ed intrighi non sono tanto difficili da immaginare dopo pochi capitoli.
Lo spunto della narrazione è anche in questo caso qualcosa di già sentito, un topos letterario piuttosto consolidato di una giovane che mediante le vicende famigliari cerca di costruire la propria identità e trovare il coraggio di avventurarsi nell’ignoto dell’età adulta: nell’ultima estate prima della maturità riceve in dono da una vecchia zia (Carolina), con la quale non aveva mai avuto un rapporto particolarmente affettuoso, un bellissimo anello che ricorda un sigillo con incisa una figura e retto da una catenella d’oro; un oggetto prezioso appartenuto alla bisnonna Giulia, madre della zia Carolina, che aveva portato al dito fino al giorno della morte dell’amatissimo primogenito Sasà, quando sopraffatta dal dolore si era spogliata di ogni orpello. Grata per il misterioso dono ricevuto e intenzionata a scoprirne la storia, Emma –voce narrante della vicenda- acconsente di trascorrere parte di quell’estate dopo la laurea insieme alla zia per aiutarla a sistemare i vecchi documenti di famiglia. 

Attraverso i racconti della zia, documenti d’epoca, foto e lettere a tratti incomprensibili, ricerche e le storie ricostruite nei suoi libri da Clara la scrittrice di famiglia, Emma svela segreti e peccati della propria famiglia ed insieme alla scoperta delle radici prende coscienza di se stessa, spogliandosi delle incertezze della gioventù per diventare adulta. Uno spunto narrativo quindi non originalissimo, per una storia popolata di numerosi personaggi –non tutti indimenticabili- e fonti diverse che rischiano di rendere caotica la narrazione e difficile filtrare la realtà familiare dall’abbellimento fatto a posteriori dagli eredi rimasti a raccontare parte dei segreti. 
Storie di tradimenti, matrimoni difficili, piccoli uomini e matriarche, di successi e fallimenti, gelosie e incomprensioni; sorelle in competizione, genitori in crisi e madri-bambine da lasciare andare, eredità celate, vite sospese ed altre spezzate, forti passioni e insicurezze. Tanti, tantissimi sentimenti e storie si mescolano tra passato e presente, forse anche troppe per rendere appieno giustizia ad ognuna di esse, finendo col lasciare sospese molte di queste emozioni e vicende, che non possono trovare spazio nel così caotico mondo della famiglia Cortesi. 
Su tutto risalta la figura fierissima del capostipite, Alessandro, amato dalle donne, apprezzato dagli uomini per intelligenza e modi, avventuriero e punto di riferimento per ogni membro della famiglia Cortesi. Ma come gli altri affetto dal male di famiglia, l’incapacità di essere fedele ad una sola donna: una maledizione che coinvolge tutti i matrimoni in casa Cortesi ognuno infelice a proprio modo, di cui i piccoli, deboli uomini sembrano incapaci di liberarsi. “Ricordati di dimenticare” è il motto delle donne di famiglia, che con stoicità sopportano tradimenti e solitudine, inseguendo i propri uomini da Napoli a New York; donne colte e appassionate, tenacemente corteggiate dai futuri mariti ma inesorabilmente condannate alla solitudine pochi anni dopo l’unione, non più compagne e confidenti ma “educatrici” dei figli generati, unica consolazione e ragione di vita. 

Ma non mancano come si è detto anche alcuni punti di forza e originalità in questo terzo romanzo della napoletana Schisa, che per la prima volta sceglie di ambientare la sua storia nella terra natia, qui brillantemente rievocata. Innanzitutto quindi la capacità di ricreare un mondo, la Napoli bellissima e torrida a cavallo di due secoli, i suoi colori, i suoi odori, le vie, il cibo, le voci, il dialetto che esplode qui e là nella storia. Una vicenda di ambientazione alto borghese, scelta inusuale e fortunata che colma un vuoto nella letteratura di ambientazione napoletana, tradizionalmente più concentrata sugli estremi aristocratici/popolari. L’accurata ricerca storica poi rende pulsante di vita ed estremamente realistico il mondo evocato dall’autrice, finendo col rappresentare la componente più riuscita e indimenticabile del romanzo, che la Schisa costruisce dosando sapientemente naturalismo e immaginazione, verità e finzione narrativa, rendendo credibile le vicende ambientate a Napoli come quelle che si svolgono nelle colonie italiane in Eritrea. Proprio su quest’ultimo punto vale la pena soffermarsi per un momento: se le pagine napoletane sono dal punto di vista dell’ambientazione assai interessanti, non da meno lo sono le avventure dei Cortesi in Eritrea, grazie ai quali la Schisa riporta alla luce una pagina della storia italiana non molto esplorata dalla letteratura nostrana, un passato coloniale che abbiamo cercato di dimenticare ma che dal punto di vista narrativo non manca di suggestione. Giunti nel Nord Africa per costruirsi un patrimonio mediante la costruzione di moderne ghiacciaie, gli uomini Cortesi si immergono completamente nella vita coloniale, lasciando lontane mille miglia mogli devote e figli ancora in fasce, tra successi e fallimenti, fiducia nel sogno imperiale e brucianti sconfitte quando l’ombra della Guerra si allunga oltre la penisola. 
A turno molti degli uomini di famiglia passano per quei territori, da Alessandro fondatore della fortuna, a Carlo, Sasà, Luigi. Ognuno di loro a suo modo resta affascinato dalle tradizioni di quel paese straniero, stralci di vita che la Schisa ricrea sulla pagina; colori, sapori, indigeni, lavoro e vita sociale in una colonia che per un momento ha dato all’Italia l’illusione di poter competere con le potenze imperiali d’Europa, finché la Guerra non ha distrutto ogni cosa, imprese di famiglia, affetti, sogni di gloria o semplicemente ne ha mostrato le debolezze intrinseche, la vacuità del progetto. Guerra (il secondo conflitto mondiale soprattutto, ma anche il primo lontano al Nord tra le trincee) che occupa alcune pagine centrali della storia, in cui ancora una volta l’autrice dimostra il proprio talento nel rievocare con fascino e precisione l’irrompere nella quotidianità di avvenimenti più grandi e incontrollabili; sono pagine in cui il cuore si stringe per quella Napoli affamata e sovrastata dal fragore delle bombe, in cui i sentimenti si confondono, una madre cerca la morte per ricongiungersi al figlio, un altro è disperso lontano da casa, quelli che prima erano nemici pronti a distruggere ora sono da chiamare Alleati. 

Il terzo romanzo della Schisa suscita quindi grandi contrasti, tra elementi assolutamente originali nei quali si rivela inequivocabile il talento narrativo dell’autrice, ad altri punti deboli che purtroppo in alcuni casi finiscono col soffocare o quanto meno mettere in secondo piano le qualità della storia. 

In conclusione, La scelta di Giulia non è certo un cattivo romanzo ma di un’autrice che prometteva altre altezze narrative quest’ultimo lavoro non lascia del tutto soddisfatti ed è l’occasione per riflettere in generale sul panorama letterario contemporaneo, italiano almeno, concedendoci qualcosa che purtroppo è finito con l’assomigliare ad un lusso eccentrico, snob e un po’ antipatico nel nome di una “critica popolare e buonista” che tutto promuove: come lettori abbiamo invece il dovere morale di essere più esigenti, di pretendere sempre di più dai libri che scegliamo, affinché dopo la parola fine non restino su uno scaffale ad impolverarsi ma siano capaci di lasciare un segno dentro di noi, anche minimo, ma sufficiente a farci credere ancora una volta che la letteratura abbia tuttora qualcosa da insegnarci.


Debora Lambruschini