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Pillole di autore - I diari universitari di Luciano Bianciardi

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Luciano ed Ettore Bianciardi


«L'io di Bianciardi è un'ombra stesa tra l'io autobiografico nascosto e l'assenza di un vero alter ego letterario. È una maschera, un’autocostruzione, una dissimulazione. Una sorta di io opaco, in definitiva, la sua unica risorsa espressiva ed esistenziale».[1]
Siamo forse abituati a ricondurre Luciano Bianciardi (Grosseto, 1922 - Milano, 1971) alla sua Vita Agra (Rizzoli, 1962), romanzo di un'ironia acre, ai limiti della satira, che ben si potrebbe leggere ancora oggi con un gusto rinnovato per la critica sociale. I più fini lettori ricorderanno anche il precedente Il lavoro culturale, non un diario ma un ripensamento amaro, più o meno autobiografico.
La veste in cui vogliamo ricordarlo questa domenica, invece, piega verso i diari giovanili, quasi completamente inediti prima della raccolta delle opere nell'Antimeridiano, se si eccettuano piccole citazioni e stralci in rivista. Come è possibile desumere dai testi selezionati, i diari sono divisibili in due parti: la prima dedicata agli anni dell'Università e la seconda (che tratteremo domenica prossima) alla guerra.

I DIARI UNIVERSITARI (1939-1942)
Troviamo qui un Bianciardi giovanissimo, studente di Filosofia (si sarebbe laureato alla Normale di Pisa nel 1948, con una tesi su John Dewey. Le appassionanti annotazioni diaristiche sono un vademecum di goliardia, primi amori, lettere mai spedite ad affascinanti compagne di studi. Divertenti, hanno quell'ironia punteggiata d'intelligenza che lascia già intravvedere la profondità culturale e l'originalità riflessiva dello scrittore. Si notino le descrizioni insolite delle ragazze, la passione per la concretezza e per la metafora spinta, quasi ossessiva, che trasforma le lettere d'amore in micronarrazioni degne di rilettura. Tuttavia, lo scrittore in una nota meta-diaristica riafferma la base di sincerità che muove la penna sulle singole pagine:
Tutto quel che precede è stato scritto in fretta e rivela le pecche stilistiche di tutto ciò che non si è ben digerito, è insomma un insieme di episodi: ma c’è in ciò un gran pregio, quello della sincerità. Quando ho preso la penna per scrivere non l’ho fatto per la vana mania di sporcare una pagina, ma perché dovevo scrivere. Ed è per questo che io considero questo quaderno come il mio diario del primo anno di Università e lo dedico a me stesso, ma a un me stesso che è già superamento della mia personalità, diciamo così, di matricola. Insomma è il fagiolo che guarda con occhio ormai esperto e anche un po’ critico il novellino di qualche mese fa. (Pisa, giugno 1941)
Come avrete modo di notare, il diario è strutturatissimo: titoli per le diverse sezioni (quindi i singoli passi non sono disposti in ordine rigidamente cronologico), titoletti per i paragrafi e metodica indicazione di luogo e data di composizione.
La piccola gladiatrice
Son certo che sotto i tuoi capelli c'è una calotta d'acciaio:
tu sei una bambola fragile (un giorno nell'ora di Greco, mi venne la tentazione di farti a pezzi) ma hai la testa durissima. Con una zuccata potresti atterrare un uomo robustissimo, e ti assicuro che per trattare con te devo mettermi la corazza, l'elmo e gli schinieri.
La tua pervicacia mi fa paura: ti ricordi il foglietto strappato dal catalogo, in biblioteca? Che ragazza terribile. Ed i tuoi occhi, pieni di sottintesi e di allusioni, il tuo sorriso frequente e rarissimo, il tuo smalto che mette nel sangue un'arsura insopportabile! [...] Pisa, Gennaio 1941
Ritratto di me fatto da un amico
Il mio viso non è regolare; l'occhio è pensoso e turbato; i capelli corti ma sottili; un'allegria falsa; un cuore che vuole l'amore. Ecco un uomo. E, forse, egli mi comprende. Pisa, Febbraio 1941
Per finire. Idea!
Se ogni studente di lettere (o filosofia) sposasse una studentessa di lettere (o filosofia) si comprerebbe un solo libro e si terrebbe un solo quaderno di appunti, con risparmio di tempo, fatica e quattrini. Pisa, Gennaio 1941
Bianciardi non manca di fare il verso a tendenze poetiche contemporanee, come nel caso dell'ermetismo: non si tratta di critiche saggistiche, ma di sottili sorrisi d'irriverenza, sfruttando le stesse norme formali ma deviando le soluzioni criptiche e intellettualistiche dell'ermetismo. 
Critica in atto di Giuseppe Ungaretti
(Saggi pseudo poetici di ermetismo)

Quiete
Oggi
riposo

Contrasti
Pastasciutta
metafisica

Autoritratto
Longilineo
chiassoso asceta
il mio stile
è gotico
un poco
barocco

[...]
Università
Quattro mura
appena
non contengono 
la mia pazzia

[...]
Domani
Un giorno di meno
e uno di più.

Pisa, Gennaio 1941
Scritto in biblioteca
È inutile, cari  colleghi, che vi diate tante arie.
È inutile che tu, biondo tedesco, entri in biblioteca, direi anzi in sala di lettura, con pesanti volumi legati in pelle sottobraccio. È inutile che tu, caro piccolo Campanile, ti prenda la testa tra le mani e guardi il soffitto al di sopra delle lenti. È inutile che tu, mio sconosciuto vicino, sottolinei i passi che tu chiamo forse più importanti e ti morda le unghie. 
Tanto ormai non me la fate: so bene che il biondo tedesco leggerà appena il titolo dei suoi libroni, che Campanile non pensa, ma sbadiglia, che il mio vicino sottolinea a caso le frasi che capisce meno. Sempre così, tra parentesi: quando in biblioteca si trova una frase sottolineata, con accanto magari scritto "bene" "benissimo" "profezia", la frase è stupida, insignificante o al massimo oscura. 
Ed allora, cari colleghi, perché ci scrivete quelle parole, accanto alla frase? Siate sinceri, buoni, umani: anch'io non capisco tutto, anzi, capisco abbastanza poco e non me ne vergogno. 
Confessate dunque che non sapete cosa sia di preciso "l'esegesi del libro ottima e sobria" come avete scritto in quel mezzo foglio dimenticato (a bella posta?) fra le pagine di una rivista.
Non fingete di prendere appunti, fate come me, al massimo, dite qualcosa a qualcuno.
Oppure fate come quelle due care bambolone, là davanti, che se la ridono delle "humanae litterae" pensando alla primavera e forse alla margherite. O, se colete, fate come il mio amico, chiudete la finestra con una sedia.
O anche, ve lo concedo, restate seduti al calduccio della sala di lettura. Ma con le mani in tasca e le gambe distese sotto il tavolino: non fate quelle grinte severe, siate buoni. E soprattutto non fingete, tanto con me, ve lo ripeto, non attacca.
Pisa, Dicembre 1940   
INCIPIT VITA NOVA. Ricordi baldanzosi e pieni di promesse del secondo anno di Università.
Giustifichiamo il motto latino
Ma è proprio vero che comincia una nuova vita? Certo, perché è fuori di dubbio che il mio so muove e anch'io son cambiato, e che sulla mia tessera ci son due bolli: si tratta solo di dire quale sarà questa nuova vita, lasciando andare i bei proponimenti e le rosee speranze.
Quest'anno, rientrando tra le colonne grigie di Sapienza, mi son sentito smarrito: mi son domandato quale sarebbe stata la mia parte nella vita del 41-42, quale il mio nuovo abito mentale di fagiolo e non ho trovato la risposta giusta. I compagni e le compagne dell'anno passato erano quasi tutti scomparsi, le matricole troppo distanti da me. Ed io sentivo il bisogno di assumere un contegno qualsiasi, per avere almeno l'illusione di non essere assente. Ma ho trovato ostilità.
Poi son venuti gli amici di Grosseto, è cominciata la "moseca", ma anche allora ho sentito che dovevo far qualcosa di meglio, che non ero soddisfatto.
Solo ieri sera mi son ritrovato: mentre le castagne bollivano brontolando sul fornello a gas, ed io, soddisfatto di una compagnia con così poche pretese, scorrevo una novella di Pirandello, mi sono sentito contento ed ho avuto la forza di dare un giudizio non del tutto banale su quel che leggevo. Forse sto trovando la strada giusta e lavorerò. E adopero il futuro non ironicamente, ma con la coscienza e la speranza di far qualcosa di buono. In fin dei conti, poi, questo stesso proponimento sincero non è già "qualcosa di buono"? Allora coraggio e all'opera.
Pisa, Novembre 1941
Innamorati
Quest'anno ho conosciuti diversi innamorati, ho fatto esperienza di passioni altrui: prima Manlio, il ragazzo cattivo che pare un cinico e parla con la serenità di un apostolo o di un sacerdote e sa dare alle frasi  più volgari un sapore ricercato e gentile. Era un innamorato originale. L'ho visto correre dietro a tutte le gonnelle e alzarsi alle tre per cercare di rivedere lei, dormire con il suo ritratto al posto della bottiglia dell'acqua, sul comodino, e sostituirlo, la mattina, con quello di una cocotte che mostra le gambe.
Poi Menicarocci, il bimbo viziato, che voleva attaccare la fotografia di lei nell'interno del comodino per rivederla sempre, quando prendesse il vaso da notte.
Ed Enzo, che quella sera ingollò un litro di vermouth in quaranta minuti, per dimenticarla subito e ricordarla sempre.
Ora ecco Aldo, che negli occhi di una bambina sta finalmente trovando un luogo per pregare, dopo che ha trasformato le chiese in sale da ballo.
Grosseto, Marzo 1942
La mia libertà
Ho sentito solo ora di avere vent'anni e che a vent'anni non ci si può contentare di fare la corte a una ragazza. Non può essere quello il mio capolavoro e non può la mia meta essere la casetta col fiorellino grande grande.
Non rinnego i miei sentimenti però, anzi li metto in salvo: di fronte alla sua incomprensione, di fronte alla sua leggerezza, di fronte al mondo che non va come deve andare, contro tutti.
La mia libertà nasce dal terriccio di una esperienza di schiavitù: finché tutto era roseo e faceva da scenario, potevo accettarlo, ora che minacciava di diventare episodio e di prendermi alla goladebbo rinnegarlo, o meglio, chiuderlo nell'archivio dei fatti e andare oltre.
Perciò avanti: più serio, senza quel continuo ridicolo motteggiare di buffone che nascondeva un pessimismo atroce e inconfessato, con la coscienza che si può fare di più e di meglio.
Lei ha temuto la mia fanciullezza: ha temuto l'incostanza del ragazzo, ma in realtà ha ucciso l'eterna fedeltà del bambino. Dal bambino sta nascendo l'uomo e l'uomo lascia dietro di sé i luoghi comuni del suo egoismo borghese e se ne va, solo e forte. In due si canta meglio, ma da soli si va più lontano.
Ora sono solo, ma forte, e andrò lontano.
Grosseto, Aprile 1942

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Notarelle introduttive e selezione testi a cura di Gloria M. Ghioni
(Opera di riferimento: LUCIANO BIANCIARDI, Diari giovanili (1939-1946), in L’antimeridiano. Tutte le opere, a cura di Luciana Bianciardi, Massimo Coppola e Alberto Piccinini, Isbn Edizioni - Ex Cogita Editore, Milano 2005, i, 1909-2077).

[1] Massimo Coppola e Alberto Piccinini, Luciano Bianciardi, l’io opaco, ), in Luciano Bianciardi, L’antimeridiano. Tutte le opere, a cura di Luciana Bianciardi, Massimo Coppola e Alberto Piccinini, Isbn Edizioni - Ex Cogita Editore, Milano 2005, i, VII.