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Editori in Ascolto - Angelica Editore

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 Editori in ascolto
--- intervista a Lucia di Angelica Editore ---

Quando è nata la vostra casa editrice e con quali obiettivi?
L’idea di Angelica Editore è nata per la prima volta nel 2003, e ha preso forma dopo circa un anno di studi. L’idea di base era quella di portare in Italia opere di autori ritenuti significativi nel loro Paese di origine e ancora sconosciuti da noi. Poi sono subentrate una serie di altre idee.


Come è composta la vostra redazione? Accettate curricula?
Angelica è, in realtà, una “one-woman band”: non si può parlare di una redazione, il lavoro è svolto interamente da me. Posso contare sull’aiuto di mio marito, grande appassionato di libri da sempre, che mi offre assistenza costante su piccoli e grossi problemi pratici e, quando serve, un paio di occhi in più per la correzione delle bozze ed eventualmente per le altre fasi dell’editing.
La mia intenzione all’inizio dell’attività era però di abbandonare del tutto il mio lavoro di insegnante di liceo (che tuttora svolgo part-time) e dedicarmi completamente alla casa editrice, creando anche un paio di posti di lavoro. Purtroppo la situazione editoriale italiana non ha consentito questo passaggio, ma io non demordo: sono convinta che non sarà sempre così, e che in tempi relativamente ragionevoli ci sarà un incremento del settore legato al libro, con più opportunità di diffusione anche per i piccoli editori e un conseguente aumento dell’impiego.
Al momento ricevo numerosi curricola ogni settimana, e li conservo tutti nel mio archivio in attesa di tempi migliori.

Qual è stata la vostra prima collana? E il primo autore?

Le prime due pubblicazioni sono uscite quasi contemporaneamente a metà del 2005, inaugurando le collane i “Papassini” (dedicata in particolare ai bambini tra gli otto e gli undici anni) e gli “Azulejos”, che è la collana di narrativa. Il primo Papassino è stato il divertente e fortunato Petulia Tempesta e le lunghe estati che non tornano più di Annamaria Pulina, allora esordiente, e di cui l’anno dopo è uscita negli Azulejos la raccolta di racconti Lo spettacolo delle ombre. L’Azulejo n. 1 è stato invece Un calore così vicino, primo romanzo di Maruja Torres, giornalista di El País e figura di spicco nella vita culturale spagnola, vincitrice tra l’altro del prestigioso Premio Planeta.

Se doveste descrivere in poche parole il vostro lavoro editoriale, quali parole usereste?
Una sfida quotidiana, che è possibile affrontare solo credendo veramente nell’importanza della possibilità di scelta che il lettore deve (o dovrebbe) trovare in libreria. Un’attività difficile ma entusiasmante in ogni aspetto, dalla scelta di un libro da pubblicare alla stesura della seconda di copertina.

A distanza di 8 anni dalla fondazione della vostra casa editrice, quali obiettivi ritenete di avere raggiunto e a quali puntate?
L’obiettivo più importante raggiunto è sicuramente la creazione di un catalogo coerente, con una sua identità (anche grafica) di cui sempre più spesso e da sempre più persone viene riconosciuta la qualità. Quello che spero di raggiungere, e per il quale mi dico ogni giorno che non devo mollare la presa, è una distribuzione efficiente nelle librerie italiane, specialmente quelle indipendenti.

Un libro che vi è rimasto nel cuore e che continuerete a riproporre al vostro pubblico.
Credo che per tutti noi piccoli editori, che curiamo ogni singola pubblicazione come fosse un figlio, sia difficile pensare a un pargolo prediletto rispetto agli altri. Citerò Sinfonia in bianco della scrittrice brasiliana Adriana Lisboa, romanzo già vincitore del Premio Saramago Giovani 2003, perché, lo ammetto, avere in catalogo un romanzo per il quale José Saramago in persona ebbe parole di grande ammirazione mi dà gioia e mi fa andare avanti per questa strada, non importa quanto in salita.

Come vi ponete nei confronti delle nuove tecnologie?
Vedo il confrontarsi con queste come un aspetto che è necessario valutare e prendere in considerazione. Personalmente le guardo con curiosità ma non ancora con la fascinazione necessaria per buttarsi nella pubblicazione di un e-book, e mi chiedo se, quando succederà (perché so che succederà!), sarò spinta più dall’entusiasmo o dalla consapevolezza che bisogna adeguarsi alle esigenze dei tempi.

Cosa pensate delle mostre-mercato del libro? Hanno accusato forti cambiamenti negli ultimi anni?
Le mostre mercato mi piacciono molto, non tanto i mega-saloni per tutti, quanto quelle dedicate specificamente alla piccola e media editoria. In particolare, non manco mai all’appuntamento che ogni ottobre mi porta in Toscana per il Pisa Book Festival. È un momento che attendo perché costituisce un’occasione unica di incontro e confronto sia con i colleghi che con i lettori, i quali tornano nello stand da un anno all’altro e hanno parole di apprezzamento per i libri comprati l’anno prima. Certo, lo stand è un punto di osservazione dal quale la crisi economica risulta  particolarmente tangibile, ed è innegabile che, per dirla brutalmente, la maggior parte delle persone ha sempre meno soldi da spendere in libri: un dato che ho notato in modo crescente negli ultimi tre anni.

Come vi ponete nei confronti dell’editoria a pagamento e del print-on-demand?
Sono contraria, per diversi motivi, a pubblicare qualcosa con un contributo, anche minimo o sotto forma di acquisto di copie, da parte dell’autore. E devo dire che non mi piace nemmeno l’editoria fai-da-te. Sono favorevole solo alla commitenza di pubblicazioni da parte di enti privati o pubblici, e la mia collana “Semes”, l’ultima che ho inaugurato, è rivolta ai Comuni della Sardegna ma anche ad altre istituzioni, e consente una valorizzazione del patrimonio culturale della mia regione che altrimenti non sarebbe possibile. Tuttavia, dubito che riuscirei a includere in questa collana un libro che non mi piace o che non mi interessa.

Ritenete che il passaparola informativo, tramite blog o siti d’opinione, possa influenzare il mercato librario? E la critica tradizionale?
Ritengo che entrambi i fenomeni siano fondamentali, e spero che in entrambi si dia progressivamente più spazio alla piccola editoria indipendente. Conto molto sui blog e sui siti per fare arrivare in modo sempre più diffuso notizia non solo dei libri di Angelica Editore, ma di tutti i colleghi che pubblicano cose eccellenti le quali però riescono a raggiungere un numero troppo esiguo di persone.

Pubblico: quali caratteristiche deve avere il vostro lettore ideale?
Mi verrebbe da dire che deve essere curioso e sensibile, ma credo che sia una risposta che darebbero in molti. E poi, in realtà, che soddisfazione se i miei libri finissero invece nelle mani di persone poco curiose e sensibili, e magari la lettura cambiasse il loro modo di essere! Ma qui viene fuori molto dell’insegnante, che dentro di sé vorrebbe sempre educare tramite la letteratura…

Un aspirante scrittore può proporvi i propri manoscritti? Come deve fare? Sono graditi consigli!
Per i primi tempi ho pensato, in una sorta di delirio di onnipotenza, di essere in grado di gestire la lettura dei manoscritti che mi venivano inviati. Non avevo idea, però, di quanto si scrive in Italia, e di come la mole del materiale inviato sarebbe aumentato in modo esponenziale col passare del tempo. Poi mi sono resa conto che non posso farcela: tenendo presente che la peculiarità del mio catalogo è la letteratura straniera, e che il tempo a disposizione è quello che è, non posso mettermi a leggere le decine di cose che mi vengono mensilmente proposte. Il problema riguarda un po’ tutti i piccoli editori, e negli ultimi tempi anche quelli un po’ più grossi, ed è legato a una specie di inflazione della scrittura (ebbene sì, siamo un poopolo che scrive più di quanto non legga): perciò mi sono convinta che in questo panorama sia diventato fondamentale il ruolo dell’agente letterario. Purché sia una persona competente e richieda un compenso onesto. Naturalmente io ho un’agenzia di riferimento, che consiglio ormai a chi si rivolge a me per propormi i suoi scritti. E dal momento che l’agente che io consiglio conosce bene i miei gusti e la linea del mio catalogo, so per certo che se saltasse fuori qualcosa che davvero potrebbe stare bene in una delle mie collane me la segnalerebbe immediatamente. Perché questo dovrebbe fare un buon agente: non semplicemente trovare un generico sbocco per chi scrive, ma individuare in modo chiaro una casa editrice nella cui linea un dato romanzo o saggio si possa inserire senza forzature. Oltre, naturalmente, a dare consigli su eventuali modifiche e ancor prima sulla reale pubblicabilità di uno scritto. 
A chi proprio non vuole accettare l’idea di passare per un agente, in genere perché non vuole sostenere nemmeno una spesa minima (la mia agenzia di riferimento però in caso di pubblicazione restituisce alla fine la somma, non alta, richiesta inizialmente a un aspirante scrittore), mi sento di dare questo consiglio: prima di proporvi dovete avere dimestichezza con il panorama editoriale, e non inviare le vostre proposte a pioggia, senza una reale conoscenza dell’identità delle varie editrici. Se vi rivolgete a un editore mostrando di conoscere bene la sua produzione, e di averlo selezionato con cognizione di causa, raddoppiate le vostre possibilià di riuscire nel vostro intento.

Avete un sassolino nella scarpa o un piccolo aneddoto da raccontarci circa la vostra casa editrice?
Eh, quanti sassolini… ma è meglio sempre svuotare le scarpe ogni sera nel silenzio dell’ufficio prima di spegnere le luci. Aneddoti, invece, ce ne sarebbero tanti, come minimo uno per ogni libro pubblicato. Vi racconto di quando sono entrata in contatto con Adrian Villagra.
Ho usufruito per alcuni mesi, qualche anno fa, della preziosa collaborazione di Isabel Espinosa Arronte, allora dottoranda in filosofia all’Università Complutense di Madrid. Isabel aveva scovato i due romanzi della Vicens e li aveva divorati, parlandomene poi con un entusiasmo tale che non non potei fare a meno di darci uno sguardo. Quando uno scrittore non è più in vita è spesso molto più difficile ottenere i diritti di pubblicazione: i familiari, infatti, in genere chiedono delle cifre proibitive. Decidemmo comunque di provare a contattare gli eredi, ma l’unico riferimento che potemmo ottenere fu un numero di fax. Bene, il nostro messaggio partì, ma per un mese non ci fu risposta. Isabel mi spronava a non disperare, perché si sa che i messicani hanno i loro tempi. E  in effetti la risposta arrivò, e suggeriva di continuare il dialogo via e-mail. Subii un piccolo interrogatorio sulla mia attività: in fin dei conti Adrian, che è il nipote più anziano della Vicens, è un avvocato. Pensai che quella pignoleria non preludesse a niente di buono, ma dopo un altro mesetto Villagra scrisse dicendo che, sentiti tutti gli altri eredi, mi cedeva i diritti di Los años falsos, il romanzo più breve. E me li cedeva gratis. Non riuscivo a crederci. Curai l’edizione con particolare entusiasmo, consapevole che i nipoti mi avevano fatto quel regalo perché sapevano che la scrittrice avrebbe tanto desiderato che i suoi libri fossero pubblicati in Italia, e per loro era importante ricordarla con questo omaggio. Dopo mesi di lavoro ecco la nostra edizione de Gli anni falsi. Era da parecchio che non sentivo Adrian Villagra, e prima che riuscissi a contattarlo per dirgli dell’uscita ricevetti una sua chiamata, da Roma. Volevo dargli la notizia, ma non ne ebbi il tempo: mi disse che veniva in Sardegna con sua moglie per conoscere l’editore italiano di sua zia. Dopo due giorni eravamo insieme ad Alghero a bere qualcosa in un bar. Fu lì che, a quel punto volutamente a sorpresa, tirai fuori una copia del libro e gliela parai improvvisamente davanti agli occhi. Pianse a lungo. Poi mi raccontò un’infinità di cose di quel personaggio complesso e affascinante che fu Josefina Vicens.
Lo scorso novembre, in occasione del centenario della nascita della Vicens, l’Università di Città del Messico ha organizzato un convegno di una settimana per ricordare la scrittrice, invitando tutti i traduttori dei suoi libri nel mondo. Così sono stati invitati anche i due traduttori del mio Gli anni falsi (clicca per la recensione), che hanno partecipato ciascuno con una relazione. Tante le conferenze e le tavole rotonde su Josefina, ma la cosa che mi ha commosso di più è stata la cerimonia tradizionale in rito Maya:  la Vicens era originaria del sud del Paese, dove questi riti sono ancora molto sentiti. Sul piccolo altare, insieme alla foto di Josefina e ad alcune offerte, c’era l’edizione italiana de Gli anni falsi.

Qual è il vostro ultimo libro in uscita? Lo consigliereste perché…
Sto seguendo diversi lavori, quasi tutti per la collana di saggi, che si chiama i “Sottolio” (titolo che vorrebbe suggerire qualcosa di buono che si conserva bene nel tempo). Il primo, che dovrebbe essere pronto per l’editing tra due mesi, lo consiglio davvero a tutti: si tratta del manifesto della cucina neotradizionale, scritto da Piero Careddu, in cui questo straordinario chef sardo propone un’interessantissima riflessione su come ci alimentiamo e come dovremmo scegliere e preparare il nostro cibo nel rispetto delle regole etiche, delle nostre migliori tradizioni e delle norme che ci garantiscono una nutrizione sana, senza mai trascurare la stagionalità dei prodotti della terra. Il libro conterrà esempi pratici oltre che considerazioni utili, basate, oltre che su una preparazione teorica, su un’esperienza sul campo ormai trentennale. E almeno per questa volta non si potrà dire che il titolo della collana non c’entra niente con l’argomento del libro.

Volete preannunciarci qualche obiettivo per il vostro futuro?
Vorrei continuare la mia ricerca di autori stranieri, individuando ulteriori scrittori ancora ignoti ai lettori italiani e provenienti da aree geografiche spesso trascurate dalla grossa editoria. Allo stesso tempo vorrei continuare a lavorare con la collaborazione dello scrittore sassarese Nello Rubattu, che ne è l’ideatore, alla collana “Sola andata”, dedicata alle storie di sardi fuori dall’isola: mi sta dando grande soddisfazione, e mi permette di rapportarmi alla mia terra diminuendo notevolmente i rischi di quella che Alberto Mario DeLogu, autore di Sardignolo (un libro molto divertente e originale) chiama “autonfaloscopia”, ossia l’abitudine a osservare il proprio ombelico.

Perché in Italia le stesse persone che comprano rigorosamente il cioccolato nelle botteghe del commercio equo e solidale non dimostrano altrettanta consapevolezza quando vanno ad acquistare un libro, ignorando l’importanza del lavoro delle librerie indipendenti e le pesanti regole di mercato che stanno costringendo la maggior parte di queste a chiudere bottega?
Perché viviamo in un Paese in cui cinque o sei gruppi editoriali hanno quasi il monopolio della produzione, la distribuzione e la vendita al lettore, e per anni ci è andato bene così. E forse anche perché chi opera nel settore (quindi anche noi piccoli editori) forse non ha fatto abbastanza per educare la gente: solo ora, in modo sommesso, si sta levando qualche timida voce.

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Intervista a cura di Gloria M. Ghioni

Il sito della casa editrice: http://www.angelicaeditore.it/