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Io non ci volevo venire qui di Angelo Orlando Meloni

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Io non ci volevo venire qui
di Angelo Orlando Meloni
Del Vecchio Editore, 2010

€ 14.00

È il caso di dirlo: io non ci volevo venire qui. A causa di questo libro, infatti, ho saltato la mia fermata del treno, scendendo a due dopo, evento mai accaduto in anni da pendolare.
Io non ci volevo venire qui è il primo romanzo di Angelo Orlando Meloni (qui il link a speraben, il suo blog): un libro che ti viene voglia di inviare, letteralmente scagliare contro molte persone, coloro che troppo facilmente associano il proprio nome all’Arte, che pensano essa sia alla portata di chiunque e pretendono di raggiungere risultati senza studio e dedizione. Certamente il loro ego è gonfiato dai molti messaggi che, da un lato, moltiplicano le possibilità di esposizione, ma dall’altro, costituiscono delle armi pericolose per chi pecca di autostima. 

Io non ci volevo venire qui è l’autobiografia di un personaggio immaginario, un giovane privo di ogni talento che, contro la sua volontà, si ritrova a vivere improbabili esperienze artistiche: performances teatrali, concorsi di cinema, fino alla partecipazione alla prestigiosa quanto dubbia scuola di scrittura creativa Harold Frescon. Il protagonista si cala in contesti popolati da pseudointellettuali che nelle sue invettive assumono queste caratteristiche:
“E la sera cominci a frequentare gente pacifica, e rottami i vecchi sodali della sbronza cattiva per individui inoffensivi, remissivi, di una cordialità sospetta.
Per lo più maschi con pochi capelli e petti villosi, i cui peli irti fanno capolino dai colletti delle t-shirt bianche, indossate sotto le camicie per paura dell’ascella pezzata. Uomini dalle braccine secche, con il fisico a pera da soffiatori di minestra, sempre pronti a inginocchiarsi ai piedi di primedonne veneratissime dalla personalità bizzosa e il culo grosso. In qualsiasi momento incombe un brano dell’Enrico 4 nel tentativo di fare colpo sulla tettona dagli occhi neri, una maggiorata che tutti amano disperatamente. O che la tettona si produca in un acuto degno della Callas e venga meno chiedendo i sali.
È gente così. Non ci si crede, ma non hanno niente di meglio da fare che riempirsi la bocca di Rimbaud e Baudelaire, ne parlano come se li avessero conosciuti, come se fossero i loro alleati segreti”.

Il libro coglie alla perfezione quel mood votato all’arte che ci avvolge: l’arte viene declinata in tutte le sue varianti, anche quelle che non le appartengono, fino a svilirla, a renderla materia per tutti, abbassandone, così, il livello. 
Ad esempio, chi frequenta gli ambiti umanistici, saprà che le aule delle facoltà di Lettere e filosofia sono frequentate da inquietanti personaggi, personalmente potrei fare numerosi nomi! Tutta gente che, come nel libro di Meloni, ha qualcosa da dirti, non sai come, ma ha sempre qualcosa da dirti sulla loro vita di poeti, pensatori, aspiranti registi e che spesso finisci per guardare con ammirazione. Ti basterà approfondire la conoscenza per renderti conto che la sostanza non è all’altezza dell’ostentata apparenza. Certo, chiunque coltiva aspirazioni e ritengo che il libro rifletta in maniera indiretta le frustrazioni di chi l’arte vuole davvero farla, forse non quelle di un personaggio come l’odioso Biagio Patanè, conosciuto con il nome d’arte di Igor Bio, il cui ultimo corto “parla dello spaesamento sociale nella contemporaneità, o della perdita dell’io nella società tecnologica”. Il corto in questione si intitola Pensieri perduti non molto lontano da il Sogno perduto, romanzo incompiuto del protagonista. Quest’ultimo viene fagocitato dal mondo dell’arte e quando insieme ad un gruppo di amici partecipa ad un concorso di cinema, ecco che cosa prova:
“Il senso di onnipotenza cancella il senso della realtà. In breve consideri Teoria generale del montaggio di Sergej M. Ejzenstejn un testo divulgativo opera di un buon dilettante. Dopo qualche giorno la parola “panoramica” non indica più il viale della tua città dove gli insospettabili vanno a caccia di marchettari, e “dolly”, non si riferisce alla prima pecora clonata. Il tuo vocabolario si colma di gergo tecnico e nel momento in cui scopri che puoi sintetizzare macchina da presa con “m.d.p” ti senti in possesso del sapere d’un iniziato”.
Il concorso è un fallimento e dopo di esso ritroviamo il protagonista alle prese con altre avventure nel tentativo di seguire e contemporaneamente fuggire il richiamo dell’arte. Il giorno del diploma alla Harold Frescon è finalmente una liberazione. Un fischio all’amico Alfio e… “niente di più semplice. Niente di più bello. Andate a casa di amici. Mangiate e bevete, ma non c’è birra, e non ti senti in vena di beveroni. Stai troppo bene, per festeggiare meglio un chinotto”.

Io non ci volevo venire qui è un libro divertente dall’ironia tagliente, ma a mio parere è anche una prova sofferta nella quale lo scrittore sottolinea difficoltà e ostacoli del perseguire questa professione in una realtà dove chiunque sembra coronare sogni di gloria senza molti sforzi. Offre uno sguardo ironico e distaccato con l’intelligenza di chi sa bene che cosa significhi il mestiere dell’autore, complice un tratto che, a mio parere, distingue questo libro da molti esordienti, cioè una lingua veloce ed incalzante, che emerge spontanea dalla penna dello scrittore.
Il libro di Angelo Orlando Meloni è una delle opere più interessanti da me scoperte di recente, a metà tra un romanzo e un saggio di sociologia e che vedrei benissimo in una trasposizione cinematografica, magari meglio realizzata dell’impresa filmica del protagonista!

Martina Pagano