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La metamorfosi di Roth

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Il seno
di Philip Roth
Einaudi L'Arcipelago, 2005

pp. 66
€ 8.80

Traduzione di S. Stefani

Perché questo grosso sacco di tessuto senza cervello, desiderabile, muto, che è manipolato e non manipola, indifeso, immobile, pendulo, lì, come è che pende un seno? Perché questa identificazione primitiva con l’oggetto principe della venerazione infantile? 
 E' una mattina come un'altra quando David Kepesh, già protagonista dell'Animale morente (2003), si sveglia nel suo letto, improvvisamente mutato. Il "Gregor Samsa" di Roth non diventa un insetto, né qualche altro ripugnante animale che susciti repulsione. No, Kepesh si sveglia improvvisamente trasformato in un seno femminile: pur mantenendo inalterate le sue capacità razionali, la voce dell'uomo risulta flebile perché schiacciata dalla grande massa lipidica e muscolare; la vista è del tutto oscurata, ma non la capacità di discernimento. La trasformazione si compie dopo una notte di fastidi e dolori che seguono, a loro volta, una particolare florescenza del membro virile di Kepesh. Ricoverato in ospedale su una singolare amaca, Kepesh non può muoversi, ma attraverso il capezzolo che è diventata la sua testa può ancora godere e provare una qualche sensazione di vitalità. Non sorprende dunque che, coerentemente con quanto fatto in vita, persegua il piacere domandando continue frizioni e abluzioni a infermiere e alla fidanzata, a costo di mettere a repentaglio la sua relazione.
Una sorta di contrappasso? Forse addirittura un doppio contrappasso. In primo luogo, potrebbe trattarsi di un contrappasso erotico: l'edonismo più o meno sfrenato, il ruolo centrale della sessualità nella vita di Kepesh, il risvolto soprattutto sensuale della sua relazione con la fidanzata... E ancora, il lavoro (e dedizione) di Kepesh, accademico di letteratura, che tanto spesso si è occupato di Kafka e di Gogol'. E' forse un doppio ammutinamento, esistenziale e professionale al tempo stesso? Il dubbio ce lo fornisce lo stesso Kepesh:
Questa non è una tragedia come non è una farsa. È soltanto la vita, e io sono soltanto umano. È stata la narrativa a ridurmi così?
Stravolto e annichilito da questa beffarda trasformazione, Kepesh soffre la solitudine (Dovunque mi mettano, chiunque mi stia a guardare, sono solo come nessun altro potrà mai essere), poi ipotizza di essere vittima di una forma singolare di pazzia, ed è convinto che le persone attorno a lui gli stiano mentendo solo per rassicurarlo. Ma il medico è determinato:
“[…] Lei non è pazzo. Lei non è nella morsa di una fissazione, o meglio non lo è stato fino ad ora. Lei è un seno, del tutto particolare. È stato eroico nel suo sforzo di adattarsi a questa misteriosa disgrazia. Naturalmente si può capire la tentazione di cedere alla seducente idea che sia tutto un sogno, un’allucinazione, una fissazione – persino uno stato di alterazione da droga. Ma di fatto non è niente di tutto questo.”
Altra via che percorre la mente prigioniera di Kepesh è il pensiero di essere oggetto di grandi riprese televisive, di essere una cavia scientifica continuamente monitorata e osservata. Ma anche questa estrema ricerca di attenzioni è negata via via, perché all'inizio della degenza Kepesh aveva richiesto la massima riservatezza. Dunque, non c'è rimedio né sfogo per l'immane solitudine del professore, incapace persino di suicidarsi, perché totalmente disabile.

Fuor di metafora, la solitudine dell'uomo moderno, totalmente concentrato sul binomio sesso-lavoro, annichilisce. E per quanto ci si incazzi, non c'è modo di muoversi e cambiare. Parziale ripresa parodica della Metamorfosi kafkiana in chiave ancor più crudele, con questo libretto Roth si conferma maestro scomodo nell'urlare senza filtri il disagio e il vuoto contemporanei.

Gloria M. Ghioni